Le sfide di Ursula von der Leyen sono e saranno molto complesse. Ma Lady Europa ha il giusto coraggio e l’intuizione per un’azione storica
Il discorso sullo Stato dell’Unione di Ursula von der Leyen dello scorso 16 settembre è stato uno dei più attesi di sempre. La Presidente della Commissione europea ha parlato in un momento cruciale: ancora sull’onda dell’entusiasmo per il raggiungimento del Recovery Fund – Next Generation EU ma già di fronte alle avvisaglie di una seconda drammatica ondata di Covid-19. Nel suo discorso von der Leyen ha ovviamente parlato della pandemia, ma si è anche concentrata sul ruolo primario del nuovo Green Deal, oltre ad aver affrontato la questione della sovranità digitale europea e il sempre spinoso tema dell’immigrazione. Sono stati questa volta meno diretti, invece, i riferimenti di von der Leyen a quell’Unione geopolitica che lei stessa aveva annunciato nel 2019, subito dopo la nomina a Presidente. Tuttavia, a ben guardare, non c’è ormai più niente di quello che la Presidente della Commissione dica che non rimandi alla questione centrale di un’Unione che sappia agire geopoliticamente. Intanto, se non è ancora scontato che l’avvio del Next Generation EU verrà ricordato come momento “hamiltoniano”, è almeno chiaro che Ursula von der Leyen abbia oggi l’occasione di sviluppare una Presidenza storica e di svolta (à la Jacques Delors?). Dove le opportunità sono molte, tuttavia, è anche più grande il rischio di fallire.
La leadership di Ursula von der Leyen
La Commissione ha avuto probabilmente pochi Presidenti così capaci di rappresentare il passato, il presente (e il futuro?) europei come Ursula von der Leyen. Laddove per europeo si intende la stessa Ue nella sua forma politica, culturale e istituzionale. Von der Leyen, figlia di Ernest Albrecht (che fu tra i primissimi funzionari europei), respira europeismo praticamente da sempre. Medico e madre di 7 figli, dopo aver vissuto anche negli Stati Uniti, von der Leyen è arrivata alla politica tedesca alla soglia dei 40 anni, passando dalla politica locale in Bassa Sassonia al primo team di Governo di Angela Merkel. Dal 2005 fino al 2019 von der Leyen è stata presente in ciascuno degli esecutivi della Kanzlerin, prima come Ministro della Famiglia, poi del Lavoro e, infine, alla Difesa. Proprio l’ultima esperienza governativa tedesca, in un ministero storicamente stronca-carriere, non è forse stata la sua migliore. Anche per questo, quando Merkel l’ha personalmente proposta come inaspettata candidata a Presidente della Commissione, von der Leyen si è subito dedicata con estrema convinzione a un ruolo che ha ritenuto molto adatto al proprio profilo europeista.
La conferma al Parlamento europeo di von der Leyen nel luglio 2019 è stata di misura (383 voti favorevoli, 327 contrari), ma ha anche mostrato come la Presidente potesse subito muoversi su segmenti di consenso bipartisan (al di là della sua affiliazione politica al PPE) e transnazionali (al di là della sua storica vicinanza alla Kanzlerin). Con il già citato discorso sull’Unione geopolitica, von der Leyen ha inoltre immediatamente dimostrato di intendere la Presidenza con un ruolo e un’incisività necessariamente nuovi. Del resto, anche solo usando una parola come “geopolitica” (per decenni dimenticata proprio nella sua nativa Germania), von der Leyen ha dimostrato la piena consapevolezza di assumere la leadership della Commissione in un momento epocale di stravolgimenti del mondo multipolare. Un momento in cui il legame tra Ue e Washington è stato messo parzialmente (e temporaneamente?) in crisi e in cui diventa sempre più pressante l’attivismo strategico di Cina, Russia e Turchia (per nominare solo i più importanti).
La crisi da Covid-19
L’agenda iniziale della Presidenza von der Leyen, tuttavia, ha subito nel 2020 una brusca rimodulazione con l’arrivo del Covid-19. Un cigno nerissimo che ha innanzitutto costretto l’Unione europea a sviluppare tutt’altra geopolitica, non fatta solo di proiezione esterna ma anche di decisive urgenze e dinamiche interne. Nei primi giorni della crisi sanitaria che ha colpito l’Italia, von der Leyen si è trovata incagliata nella lentezza e nella scarsa reattività dell’Unione europea. Già l’11 marzo 2020, però, la Presidente della Commissione ha scelto di rafforzare l’impatto comunicativo del proprio ruolo, pubblicando su tutti i canali social un messaggio di sostegno all’Italia (pronunciato anche in lingua italiana). Una scelta ritenuta giustamente fondamentale per l’interesse immediato dell’Ue, visto che proprio in quei giorni partiva verso l’Italia (e non solo) l’ampia offensiva PR della Cina. L’attenzione per le pubbliche relazioni di von der Leyen, spesso criticata dai suoi oppositori, si è così velocemente rivelata un valore aggiunto. Ma, soprattutto, quando a inizio aprile si è consumato il drammatico scontro nord-sud di fronte alla crisi economica da Covid-19, la Presidenza von der Leyen ha assunto un ruolo decisivo nel portare a un accordo i due maggiori player europei della partita, Germania e Francia, curando con il Next Generation EU la pericolosa ferita europea della solidarietà interna (o così si spera).
L’attuale seconda ondata di Covid-19 è però un nuovo, grande e tragico rischio per il tentativo di von der Leyen di fare della propria presidenza un momento di potenziamento dell’europeismo. Se la corsa esponenziale dei contagi Covid non verrà domata in tutta l’Ue, gli stessi eventuali risultati del Recovery Fund si riveleranno insufficienti e saranno necessari nuovi, ancora più difficili, accordi. Von der Leyen sembra più che consapevole di come il dramma del Covid-19 possa imporre all’Unione un susseguirsi di ulteriori momenti decisivi, tutti posti al bivio tra rafforzamento e dissoluzione dell’unità europea. Il 29 ottobre scorso, la Commissione ha stilato un piano per creare un fronte comune anti-Covid, basato su più informazione, tracing-tracking europeo, testing massiccio e costante condivisione delle conoscenze. Già nel suo discorso sullo Stato dell’Unione, la Presidente aveva sottolineato l’urgenza di un’unità sanitaria europea. Sul tema fondamentale del vaccino, von der Leyen ha descritto come best case scenario una massiccia produzione europea (fino a 700 milioni di dosi) a partire da aprile 2021, ma ha anche ribadito le numerose incognite presenti e la necessità di una strategia di vaccinazione condivisa da tutti i Paesi.
Il futuro dell’Europa
Un’evoluzione che, sul lungo periodo, significherà anche che l’Europa dovrà muoversi sul mercato globale della fornitura medica con molta più autosufficienza. Uno sviluppo che avrà quindi precisi risvolti internazionali, così come li avranno anche gli altri punti cruciali dell’agenda complessiva di von der Leyen. Sviluppare un’autonomia strategica dell’Europa nel digitale e nell’AI significherà ad esempio affrontare la questione 5G e quella del ruolo dei colossi digitali (con rispettive conseguenze sui rapporti transatlantici). Mentre una rivoluzione produttiva green dell’Unione significherà puntare su modelli definiti da nuovi standard anche in merito all’import-export sul mercato globale. Nel frattempo, però, saranno anche le dinamiche più immediate di politica estera a essere tra le più difficili da gestire per la Commissione.
Negli ultimi mesi sono bastate le tensioni provocate dall’attivismo turco nel Mediterraneo e la questione democratica in Bielorussia per sollevare un gioco di veti incrociati tra membri Ue. Non a caso già nel suo discorso del 16 settembre von der Leyen ha spronato gli stati europei a “essere coraggiosi e muoversi finalmente verso una maggioranza qualificata nelle decisioni Ue in politica estera”. La Presidente sembra più che consapevole del fatto che sia meglio avere discussioni aspre che portino a una decisione piuttosto che cautele reciproche che continuano ad arenarsi nell’immobilismo strategico.
Le sfide che von der Leyen ha di fronte sono e saranno quindi molto complesse. Ma, malgrado tutto, la Presidenza della Commissione ha la personalità e l’opportunità per un’azione storica. Opportunità che resta legata all’intuizione iniziale di Ursula von der Leyen: l’Unione europea sarà geopolitica o, di fatto, non sarà.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di novembre/dicembre di eastwest.
Il discorso sullo Stato dell’Unione di Ursula von der Leyen dello scorso 16 settembre è stato uno dei più attesi di sempre. La Presidente della Commissione europea ha parlato in un momento cruciale: ancora sull’onda dell’entusiasmo per il raggiungimento del Recovery Fund – Next Generation EU ma già di fronte alle avvisaglie di una seconda drammatica ondata di Covid-19. Nel suo discorso von der Leyen ha ovviamente parlato della pandemia, ma si è anche concentrata sul ruolo primario del nuovo Green Deal, oltre ad aver affrontato la questione della sovranità digitale europea e il sempre spinoso tema dell’immigrazione. Sono stati questa volta meno diretti, invece, i riferimenti di von der Leyen a quell’Unione geopolitica che lei stessa aveva annunciato nel 2019, subito dopo la nomina a Presidente. Tuttavia, a ben guardare, non c’è ormai più niente di quello che la Presidente della Commissione dica che non rimandi alla questione centrale di un’Unione che sappia agire geopoliticamente. Intanto, se non è ancora scontato che l’avvio del Next Generation EU verrà ricordato come momento “hamiltoniano”, è almeno chiaro che Ursula von der Leyen abbia oggi l’occasione di sviluppare una Presidenza storica e di svolta (à la Jacques Delors?). Dove le opportunità sono molte, tuttavia, è anche più grande il rischio di fallire.
La leadership di Ursula von der Leyen
La Commissione ha avuto probabilmente pochi Presidenti così capaci di rappresentare il passato, il presente (e il futuro?) europei come Ursula von der Leyen. Laddove per europeo si intende la stessa Ue nella sua forma politica, culturale e istituzionale. Von der Leyen, figlia di Ernest Albrecht (che fu tra i primissimi funzionari europei), respira europeismo praticamente da sempre. Medico e madre di 7 figli, dopo aver vissuto anche negli Stati Uniti, von der Leyen è arrivata alla politica tedesca alla soglia dei 40 anni, passando dalla politica locale in Bassa Sassonia al primo team di Governo di Angela Merkel. Dal 2005 fino al 2019 von der Leyen è stata presente in ciascuno degli esecutivi della Kanzlerin, prima come Ministro della Famiglia, poi del Lavoro e, infine, alla Difesa. Proprio l’ultima esperienza governativa tedesca, in un ministero storicamente stronca-carriere, non è forse stata la sua migliore. Anche per questo, quando Merkel l’ha personalmente proposta come inaspettata candidata a Presidente della Commissione, von der Leyen si è subito dedicata con estrema convinzione a un ruolo che ha ritenuto molto adatto al proprio profilo europeista.
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