Oggi, l’Unione Europea si trova davanti a una nuova prospettiva di allargamento. Nei Balcani, ma anche ai confini con la Russia dove, per ragioni geopolitiche, la candidatura di Ucraina, Moldavia e Georgia è supportata da molti.
Sono passati vent’anni dalla più grande e significativa espansione dell’Unione Europea. Era il primo maggio 2004 e l’UE si allargava a nord con le tre Repubbliche baltiche, Estonia, Lettonia e Lituania. Aggiungeva al suo corpo centrale Polonia, Slovacchia, Repubblica Ceca e Ungheria, spingendosi per la prima volta fino ai Balcani con l’ingresso della Slovenia. E nel Mediterraneo includeva Cipro e Malta.
In una notte, entravano a far parte del grande progetto europeo 10 nuovi stati membri e 74 milioni di nuovi cittadini europei: l’Unione arrivava così a contare oltre 450 milioni di persone e 25 Paesi – oggi sono 27, dopo l’entrata di Bulgaria, Romania e Croazia e l’uscita del Regno Unito.
Soprattutto, Bruxelles cancellava con un colpo di spugna la cortina di ferro e la divisione del continente che c’era stata dalla fine della seconda guerra mondiale in avanti. La gran parte dei nuovi membri avevano fatto parte del Patto di Varsavia e la caduta del Muro di Berlino non era bastata ad annullare le differenze con l’Europa occidentale, da anni unita sotto una bandiera comune.
L’allargamento dell’UE segnava quindi un cambiamento enorme. “Non è stata solo la nascita di un’Unione più grande; è stata la nascita di una nuova era – ha dichiarato la Presidente della Commissione Europea, Ursula Von der Leyen, nel discorso con cui ha celebrato l’anniversario – È stata una notte di promesse, perché l’Europa è una promessa di libertà e stabilità, pace e prosperità. E nei vent’anni successivi, questa promessa è stata mantenuta”.
In due decenni, l’espansione dell’Unione ha attratto giudizi estremamente contrastanti. Che, se ci limitasse ad osservare i dati economici, sarebbero incomprensibili.
Da un punto di vista della crescita e del benessere, l’allargamento del 2004 è stato infatti un successo. Quando sono entrati a far parte dell’UE, i 10 nuovi membri avevano un Pil medio che arrivava al 59% di quello europeo: oggi, questa percentuale arriva a quota 81, mostrando quanto gli standard di vita dell’Europa orientale si siano avvicinati a quelli del resto dell’Unione. Anche il reddito pro capite dei dieci stati è aumentato sensibilmente, avvicinandosi alla media europea e anche superandola, nei casi di Malta e Cipro. Ma non sono stati solo i 10 nuovi membri a beneficiare dell’allargamento: tutta l’UE è stata infatti positivamente colpita da un sensibile aumento degli scambi commerciali, al suo interno.
Se però i risultati economici e sociali sono stati ottimi, non è facile sostenere lo stesso dal punto di vista politico. “In questo ambito ci sono alcuni ostacoli sulla strada, altrimenti noti come Polonia e Ungheria, e forse Slovacchia” osserva Michael Emerson, ricercatore presso il think tank CEPS.
L’espansione dell’UE era pensata in realtà proprio per avere un effetto politico, in modo da portare i nuovi membri fuori dall’orbita sovietica e verso una democrazia sempre più solida. Non sempre ha funzionato, però: negli ultimi anni in Ungheria e Polonia si è registrata una forte erosione dello stato di diritto, e anche Slovacchia e Repubblica Ceca hanno portato a forti preoccupazioni. A Cipro, poi, l’ingresso nell’Unione Europea non è bastato per sbloccare la situazione del Paese, che da decenni è diviso in due parti. E negli ultimi anni Malta ha fatto parlare parecchio, per i suoi problemi legati alla corruzione.
Non tutti però credono che gli effetti politici dell’espansione vadano considerati negativamente. “La realtà è più complessa” sottolinea il giornalista David Carretta sul Foglio. “La Polonia dimostra che le forze delle democrazie liberali possono riconquistare il potere, anche quando un regime illiberale ha preso il controllo delle redini dello stato per quasi un decennio. In Repubblica ceca Andrej Babiš non è diventato un Orban. Nei Baltici le forze politiche filo russe non sono riuscite a destabilizzare il corso occidentale dei loro governi pro europei e filo atlantisti”. Inoltre, le fragilità dello stato di diritto non sono visibili soltanto nei 10 stati entrati in blocco nel 2004, anzi, la crisi della democrazia è un fenomeno più trasversale e comune a tutto il mondo occidentale.
La valutazione di quanto accaduto in questi vent’anni e di quanto l’espansione abbia effettivamente funzionato potrebbe sembrare un esercizio di analisi fine a se stesso, ma non è così. Oggi, infatti, l’Unione Europea si trova nuovamente davanti alla prospettiva di un allargamento. Nei Balcani, soprattutto, con Montenegro, Macedonia del Nord e Albania che sono i più vicini ad un ingresso nell’UE. Ma anche ai confini con la Russia dove, per ragioni geopolitiche, la candidatura di Ucraina, Moldavia e Georgia è supportata da molti.
Questa volta, però, Bruxelles eviterà delle adesioni di gruppo, a meno che non avvengano cambiamenti radicali. Se anche l’espansione del 2004 non viene considerata un insuccesso, i casi di Polonia e Ungheria hanno portato a imporre paletti più rigidi per l’ingresso di nuovi stati membri. E la crescita del populismo obbliga le istituzioni europee a muoversi con attenzione, per evitare ulteriori difficoltà al progetto europeo.
Sono passati vent’anni dalla più grande e significativa espansione dell’Unione Europea. Era il primo maggio 2004 e l’UE si allargava a nord con le tre Repubbliche baltiche, Estonia, Lettonia e Lituania. Aggiungeva al suo corpo centrale Polonia, Slovacchia, Repubblica Ceca e Ungheria, spingendosi per la prima volta fino ai Balcani con l’ingresso della Slovenia. E nel Mediterraneo includeva Cipro e Malta.
In una notte, entravano a far parte del grande progetto europeo 10 nuovi stati membri e 74 milioni di nuovi cittadini europei: l’Unione arrivava così a contare oltre 450 milioni di persone e 25 Paesi – oggi sono 27, dopo l’entrata di Bulgaria, Romania e Croazia e l’uscita del Regno Unito.