Gli ultimi due mesi di campagna si preannunciano senza esclusione di colpi. In ballo non c’è solo la democrazia americana
A Portland è successo quello che si temeva da tempo. I manifestanti del Black Live Matters, il movimento impegnato nella lotta contro il razzismo, si sono scontrati con i sostenitori del Presidente Donald Trump e un uomo è morto. Non è ancora chiara la dinamica dell’omicidio: si sa che la vittima indossava un cappellino dei Patriot Prayer, un gruppo dell’estrema destra, e faceva parte di una carovana di auto pro-Trump arrivata in città proprio mentre si svolgeva la manifestazione contro il razzismo.
Nella città dell’Oregon, i manifestanti anti-razzisti protestano da più di 90 giorni, cioè da quando a Minneapolis George Floyd è rimasto senza respiro per il ginocchio piantato nel collo da un agente della polizia. La sparatoria giunge al termine di un’altra settimana di forti tensioni, iniziata quando la polizia di Kenosha, in Wisconsin, ha sparato ripetutamente a un nero, Jacob Blake, provocando nuove proteste contro il razzismo e la brutalità della polizia. “All Lives Matter“, ha twittato Donald Trump, invocando l’intervento della Guardia Nazionale e accusando di incapacità il sindaco democratico della città Ted Wheeler, a suo dire incompetente quanto “Sleepy Joe Biden”. La campagna elettorale per le presidenziali è entrata nel vivo e i toni si fanno sempre più accesi.
Da qualche giorno si è conclusa la convention repubblicana nella quale Donald Trump ha accettato la candidatura per il secondo mandato.
L’evento, che si è tenuto principalmente a Washington, si è concluso con un discorso di Trump a una folla di sostenitori davanti alla Casa Bianca, luogo che sino a ora non era mai stato usato da nessuno a scopi di propaganda. Ospiti della manifestazione anche Mark e Patricia McCloskey, la coppia di St Louis diventata celebre perché, durante i cortei contro l’uccisione di George Floyd, brandiva i fucili fuori della propria abitazione. Durante il loro intervento, i due coniugi, che hanno criticato i democratici, incapaci a loro dire di proteggere i cittadini dai criminali, hanno dichiarato che le famiglie americane non potranno vivere al sicuro “nell’America democratica radicale”.
Lo scontro di questi ultimi due mesi di campagna – evidentemente durissimo e senza esclusione di colpi – è sempre più tra Donald Trump, che antepone la sua persona al partito, i cui maggiorenti non sono infatti intervenuti alla convention, e l’establishmentdemocratico, rappresentato da tutti i leader recenti (da Clinton a Obama), più che dallo stesso candidato, l’anziano Biden.
Sarà una competizione sul filo di lana, ma in ballo non c’è solo il destino dell’America, ma anche quello di noi democrazie occidentali…
A Portland è successo quello che si temeva da tempo. I manifestanti del Black Live Matters, il movimento impegnato nella lotta contro il razzismo, si sono scontrati con i sostenitori del Presidente Donald Trump e un uomo è morto. Non è ancora chiara la dinamica dell’omicidio: si sa che la vittima indossava un cappellino dei Patriot Prayer, un gruppo dell’estrema destra, e faceva parte di una carovana di auto pro-Trump arrivata in città proprio mentre si svolgeva la manifestazione contro il razzismo.
Nella città dell’Oregon, i manifestanti anti-razzisti protestano da più di 90 giorni, cioè da quando a Minneapolis George Floyd è rimasto senza respiro per il ginocchio piantato nel collo da un agente della polizia. La sparatoria giunge al termine di un’altra settimana di forti tensioni, iniziata quando la polizia di Kenosha, in Wisconsin, ha sparato ripetutamente a un nero, Jacob Blake, provocando nuove proteste contro il razzismo e la brutalità della polizia. “All Lives Matter“, ha twittato Donald Trump, invocando l’intervento della Guardia Nazionale e accusando di incapacità il sindaco democratico della città Ted Wheeler, a suo dire incompetente quanto “Sleepy Joe Biden”. La campagna elettorale per le presidenziali è entrata nel vivo e i toni si fanno sempre più accesi.
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