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Vaticano, la grande truffa


I lupi travestiti da agnelli dietro l'operazione di compravendita dello stabile di Londra nell'indagine del promotore di giustizia della Santa Sede. Il 27 luglio inizia un processo storico che vede imputato persino un cardinale

“Un marcio sistema predatorio e lucrativo”, così definisce, senza tanti complimenti, l’operazione che ruota intorno all’acquisto da parte della segreteria di Stato dell’ormai famoso immobile di Sloane Avenue, a Londra. 500 pagine di rinvio a giudizio in Vaticano di 10 persone, tra personale ecclesiastico e laico della segreteria di Stato, in pratica il Governo della Santa Sede, dirigenti dell’Aif, l’Autorità di informazione finanziaria, e personaggi nel mondo della finanza internazionale. In cui la segreteria di Stato si è costituita parte civile.

Se le indagini prendono avvio nel 2019, i fatti risalgono al periodo tra il giugno 2013 e il febbraio 2014. In quel periodo la segreteria di Stato investe 200 milioni di dollari nel fondo Athena Capital Global Opportunities del finanziere Raffaele Mincione. Ma le opportunities si scoprirà secondo il teorema dell’accusa, sono tutte di Mincione & C. Metà della somma va in titoli, l’altra viene investita nel palazzo. Doveva essere un’operazione tesa ad aumentare le finanze vaticane “ad maiorem dei gloria”. E invece, l’investimento, che è altamente speculativo, si traduce in perdite consistenti per la Santa Sede. Diciotto milioni di perdite rispetto all’investimento iniziale. La prima cosa che balza all’occhio è che il Vaticano investa in questo modo i propri denari in operazioni speculative così ardite, in contrasto con la dottrina sociale della Chiesa che non condanna i mercati ma certamente da secoli auspica la moderazione e si propone di porre numerosi vincoli di natura etica alle cosiddette leve finanziarie, a cominciare dai derivati.

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