Spiace essere costretti, seguendo l’attualità di rimbalzo dalla stampa italiana, a parlare e sviscerare in continuazione l’emergenza violenza sessuale in India. Ma tant’è, davanti al furore della stampa italiana proviamo a buttare acqua sul fuoco.

La prendo alla larga, dalla Corea del Nord. Recentemente i media internazionali hanno rilanciato la notizia – poi rivelatasi falsa – dell’esecuzione di Jang Song-thaek, zio di Kim Jong-un ed ex numero due del regime, dato in pasto a 120 cani affamati. La bufala sesquipedale rientra nella cosiddetta “narrazione degli eccessi”, ovvero la lente deformante con la quale riceviamo in Italia la quasi totalità delle notizie asiatiche.
Kim quindi è “il cattivissimo Kim”, i dati cinesi sono un distillato tragicomico da Guinness dei primati e l’India degli ultimi tempi, dallo stupro di Delhi in avanti, è diventato ai nostri occhi il paese della violenza sessuale.
Il sistema di selezione delle news in Italia – visto da dentro – impone di battere il ferro finché è caldo, seguire un filone che possa assicurare clic/ascolti, meglio se indignati. E i numerosi casi di violenza sessuale riportati in questi mesi, l’ultimo con una bambina di 12 anni incinta data alle fiamme in Bengala Occidentale, ha fatto al caso nostro anche a corollario di alcune vicende contingenti – caso marò e Finmeccanica – in cui dipingere l’India come un paese violento e incivile rafforza una certa propaganda nazionalista italiana, nemmeno troppo velata.
Come scritto diverse volte in questo spazio, il problema della condizione femminile in India è grave e centrale per le prospettive di sviluppo del paese, e la società di stampo patriarcale per troppo tempo nel subcontinente non ha trovato voci di dissenso che potessero spingere verso un’emancipazione femminile urgente. Ma solo poche settimane fa, qui, ho provato anche a far emergere i lati positivi della lotta per i diritti delle donne in India: un percorso lungo e tortuoso che, ci si augura, produrrà risultati sul lungo termine.
Qua e là sulla stampa italiana ho letto commenti indignati nel solco del “non è cambiato niente”, anzi, gli stupri aumentano perchè col rischio di pena di morte gli stupratori propenderebbero per l’eliminazione fisica della vittima di violenza, per non lasciare testimoni. Questa è una lettura decisamente parziale che non tiene in considerazione l’effetto mediatico all’estero delle violenze in India; ovvero, il fatto che ora leggiamo di più stupri occorsi in India non significa che gli indiani stuprino di più. Al contrario, credo che il fatto che se ne parli rappresenti un cambio notevole nella tradizionale omertà indiana intorno a fatti del genere.
Infine, cercando di mettere in prospettiva la situazione indiana con quella internazionale, è interessante paragonare le cifre delle violenze sessuali in India con quelle ufficiali degli Usa, operazione che ha brillantemente avuto l’intuizione di compiere Tom Wright lo scorso anno sul blog dedicato all’India ospitato dal Wall Street Journal.
Secondo i dati ufficiali del 2010 in India vengono denunciati 1,8 stupri ogni 100mila persone; negli Usa la cifra sale a 27,3. Sono dati da prendere con le pinze, siccome è pacifico sostenere che gli stupri compiuti e non denunciati in India – secondo attivisti locali – siano almeno 10 volte tanti. Ma anche negli Usa, riporta Wright citando una Ong americana, si denunciano solo il 46 per cento delle violenze sessuali subite.
Con un po’ di matematica, basandoci sulle statistiche, il rapporto di violenze per abitanti in India e Usa è molto vicino, ma mai ci sogneremmo di pensare agli Stati Uniti come a una nazione di stupratori.
Insomma, tuteliamoci dalla narrazione degli eccessi e sforziamoci di osservare da un punto di vista più obiettivo possibile, anche e soprattutto davanti all’orrore della violenza sessuale.
Spiace essere costretti, seguendo l’attualità di rimbalzo dalla stampa italiana, a parlare e sviscerare in continuazione l’emergenza violenza sessuale in India. Ma tant’è, davanti al furore della stampa italiana proviamo a buttare acqua sul fuoco.