Matteo Miavaldi, sinologo emigrato nel subcontinente indiano, si occupa di Asia Meridionale come giornalista freelance ed è corrispondente da New Delhi per “il manifesto”.
Ieri la nazionale di calcio dell’India è stata battuta 2-1 dalla rappresentativa del Guam, isoletta del Pacifico al momento in testa nel girone D (Guam, India, Turkmenistan, Oman) per le qualificazioni ai prossimi Mondiali del 2018. La prestazione infima della selezione del subcontinente ci dà l’occasione di riflettere un po’ sul tentativo di imporre il Pallone in un paese dove del calcio locale non gliene è mai fregato niente a nessuno, non per caso.
L’ultima parte del viaggio promozionale di Modi ha toccato il Canada, paese dove hanno la residenza permanente più di 35mila indiani (seconda comunità di migranti dopo i cinesi) e dove un primo ministro indiano non si recava in visita per colloqui bilaterali da 42 anni. Le premesse per il successo c’erano tutte e, al di là dell’hype inevitabile, l’India qualcosa si è portata a casa, specie in tema di energia.
La cittadina di Raigarh (150mila abitanti, in India davvero -ina) dal 4 gennaio ha una nuova sindachessa transgender: Madhu Bal Kinnar, 36 anni, nata uomo, presentatasi come candidata indipendente. È la prima volta che succede in India, non che non ci avessero già provato…
Nelle ultime settimane qui in India ha preso piede una polemica molto sentita, almeno a livello mediatico, ma di difficile comprensione – immagino – per i lettori non indiani. Si parla di “conversioni forzate” e di destra ultrainduista che sta cercando di “riportare a casa” gli infedeli che, in passato, si convertirono all’Islam o al Cristianesimo. E la religione non c’entra molto.
È uscita la nuova classifica della corruzione mondiale – almeno così ce la vende un sistema mediatico molto sbrigativo e frettoloso – e l’India per la prima volta fa meglio della Cina. Questo il taglio della notizia data qui nel subcontinente. Giubilo nel paese.
Qualche settimana fa mi si era rotta la presa della corrente a fianco al letto. Per qualche motivo, il malfunzionamento di quella presa aveva fatto saltare tutto l’impianto elettrico, tranne la presa del computer. Ho diligentemente chiamato il padrone di casa Prim-ji comunicandogli l’accaduto e Prim-ji, con solerzia ed efficienza svizzera, è sceso in strada a cercare un elettricista.
La propaganda cinese, per chi la segue come filone letterario, alterna momenti di irrealismo grottesco – memorabili, durante i moti di protesta in Tibet nel 2010, le felicitazioni estese dal Partito alla popolazione di Lhasa che si era classificata al primo posto del sondaggio governativo “Qual è la città più felice della Repubblica popolare cinese?” – a stilettate di un’acidità rara nell’ambiente del soft power mondiale. Ancor più acide, come nel caso che andremo ad analizzare, se si fondano su una sostanziale verità di partenza.
Notizia da boxino allarmista sulla stampa nazionale: professore universitario viene ammazzato a colpi di machete in Bangladesh, reo di imporre alle proprie allieve di non indossare il velo durante le sue lezioni, così da diminuire il rischio di barare / copiare. Rivendica un gruppo estremista islamico minore, che dà dell’ateo apostata al professore, ma i bangladeshi sono in gran parte musulmani moderati, quindi non preoccupiamoci. Partiamo da qui per fare un po’ di ragionamenti.
Quasi sottovoce, mentre il mondo esaltava l’accordo storico raggiunto da Cina e Usa sull’impegno a tagliare sensibilmente le emissioni di Co2 dal 2030 (risultato un po’ pompato, come sostengono Simone Pieranni e Nicoletta Ferro sul Manifesto di due giorni fa), gli Stati Uniti offrivano a Narendra Modi una vittoria importante per il peso specifico indiano ai tavoli della diplomazia internazionale. Vi ricordate ad agosto quando Modi aveva fatto saltare il banco alla World Trade Organization (Wto) sulle trattative per il Trade Facilitation Agreement (Tfa) e tutti l’avevano additato come eccessivamente cocciuto e arrogante (anche chi scrive)? Ecco, alla fine aveva ragione lui.
Lunedì scorso molti video girati da pendolari della metro di New Delhi hanno documentato un tentativo di linciaggio di massa ai danni di tre ragazzi africani. Cinque minuti di follia da “mob effect” che raccontano un sacco di cose dell’India di oggi.