Yemen: l’Arabia Saudita dichiara il cessate-il-fuoco
In Yemen i sauditi annunciano una tregua con i ribelli Houthi, ufficialmente per prevenire la diffusione del coronavirus. Ma ci sono ragioni più profonde
In Yemen i sauditi annunciano una tregua con i ribelli Houthi, ufficialmente per prevenire la diffusione del coronavirus. Ma ci sono ragioni più profonde
La coalizione guidata dall’Arabia Saudita ha annunciato ieri un cessate-il-fuoco unilaterale in Yemen, dove dal 2015 si combatte una guerra che ha causato la morte – si stima – di oltre 100mila persone e che è stata descritta come la peggiore crisi umanitaria del mondo.
La tregua è già entrata in vigore e dovrebbe durare due settimane, con possibilità di venire estesa. Non è ancora chiaro però se sarà rispettata dagli Houthi, i ribelli che combattono contro il Presidente ‘Abd Rabbih Mansur Hadi e che controllano la capitale Sana’a e buona parte del nord del Paese.
Al conflitto in Yemen tra i ribelli e il Governo si sovrappone lo scontro indiretto (o proxy war) tra due nazioni rivali, l’Iran e l’Arabia Saudita: Teheran appoggia gli Houthi, sciiti, mentre Riad sostiene le forze di Hadi, sunnita. Nella guerra sono coinvolti anche gli Emirati Arabi Uniti – vicini ai sauditi, ma con obiettivi diversi –, che hanno però deciso di ritirare quasi tutte le loro truppe.
La tregua annunciata dall’Arabia Saudita dovrebbe servire a facilitare le trattative tra le parti, promosse dalle Nazioni Unite, per una cessazione permanente delle ostilità. Ufficialmente, la decisione di Riad è stata presa per prevenire la diffusione del coronavirus in Yemen (al momento non è stato confermato nessun caso di contagio). Ci sono però delle motivazioni più profonde da tenere in considerazione.
L’Arabia Saudita ha investito grandi risorse economiche nella guerra in Yemen. Il suo obiettivo era stroncare l’insurrezione degli Houthi ed evitare che il Paese si trasformasse in un alleato dell’Iran, ma si è ritrovata impantanata in un conflitto dispendioso, impopolare e lungo. Del quale, peraltro, ancora non si intravede la conclusione. Da tempo perciò Riad cercava una strategia di uscita (exit strategy), cioè un modo per ritirarsi senza compromettere la propria immagine e la sicurezza nazionale.
Dopo gli attacchi agli impianti della compagnia petrolifera Aramco – rivendicati dagli Houthi, tra le perplessità degli esperti –, l’Arabia Saudita aveva avviato delle trattative informali con i ribelli per un accordo di pace. Tra le richieste di Riad c’era l’istituzione di una zona cuscinetto lungo il confine tra i due Stati, per allontanare il più possibile la minaccia di una milizia filo-iraniana.
L’emergenza coronavirus ha fornito adesso all’Arabia Saudita il pretesto per rilanciare la necessità di un accordo che, mettendo fine alle ostilità, possa finalmente consentire il disimpegno militare della monarchia. Anche perché il crollo della domanda e dei prezzi del petrolio – aggravato in realtà proprio da Riad – minaccia il bilancio del regno e impone una revisione della spesa per la politica estera.
L’Arabia Saudita ha fatto la sua mossa. Ma non è detto che i ribelli Houthi abbiano interesse a negoziare e a fare concessioni, specialmente dopo le conquiste ottenute in questi mesi ai danni del governo di Hadi (ad esempio nell’area di al-Jawf, nel nord dello Yemen).
La coalizione guidata dall’Arabia Saudita ha annunciato ieri un cessate-il-fuoco unilaterale in Yemen, dove dal 2015 si combatte una guerra che ha causato la morte – si stima – di oltre 100mila persone e che è stata descritta come la peggiore crisi umanitaria del mondo.
La tregua è già entrata in vigore e dovrebbe durare due settimane, con possibilità di venire estesa. Non è ancora chiaro però se sarà rispettata dagli Houthi, i ribelli che combattono contro il Presidente ‘Abd Rabbih Mansur Hadi e che controllano la capitale Sana’a e buona parte del nord del Paese.
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