Il livello della diga di Kariba, una delle più grandi al mondo, che genera energia idroelettrica per milioni di persone, è sceso a un minimo storico, costringendo le aziende energetiche locali a operare drastici tagli
Una forte ondata di siccità sta colpendo in questi mesi l’Africa meridionale, con importanti conseguenze per l’accesso all’acqua potabile e per la sicurezza alimentare della popolazione. Forse ancora più devastante è però l’impatto per quanto riguarda la produzione di energia elettrica nella regione. Qui, infatti, Zambia e Zimbabwe si basano da decenni sull’elettricità che viene prodotta grazie ai sistemi di dighe presenti nei due Paesi.
In particolare, è fondamentale l’apporto della Diga di Kariba, che delimita l’omonimo lago artificiale e si trova lungo il corso del fiume Zambesi, al confine tra i due stati. La siccità di questo periodo ha tuttavia portato ad un notevole abbassamento del livello del lago Kariba, rispetto alle medie stagionali. Ed ha così causato una forte diminuzione dell’energia idroelettrica generata: al momento, sia lo Zambia che lo Zimbabwe possono contare su una produzione minore ai 400 megawatt, meno della metà degli oltre mille che l’impianto potrebbe garantire.
La produzione di energia idroelettrica è talmente scarsa che non basta a “soddisfare il carico del sistema e la domanda di energia della popolazione, soprattutto nei periodi di picco mattutino e serale”, ha affermato la compagnia elettrica statale zambiana ZESCO. Questa considerazione ha portato nel Paese alla necessità di introdurre dei lockdown di sei ore nella seconda metà di dicembre e di prolungare le interruzioni di elettricità fino a dodici ore al giorno a partire da gennaio. Ancora più grave la situazione in Zimbabwe, dove i lockdown durano fino a 18 ore.
Come riporta il Washington Post, le misure hanno causato una forte preoccupazione tra i cittadini, che temono di dover limitare le proprie attività domestiche e lavorative. Inoltre, i lunghi lockdown potrebbero rendere impossibile la conservazione del cibo, sia nelle case che nei supermercati, dato che il clima di gennaio nella regione è caratterizzato da temperature ben superiori ai 20 gradi. I problemi riguardano anche le attività economiche, che si vedono costrette a rifornirsi da energia prodotta da altre fonti o ad interrompere le proprie attività. E le conseguenze potrebbero essere significative anche dal punto di vista ambientale: come sottolinea l’IAEA, la mancanza di elettricità potrebbe spingere gli strati più poveri della popolazione al taglio illegale di legname, per cucinare e per riscaldarsi.
La diga di Kariba è stata in gran parte costruita tra il 1955 e il 1959, quando Zambia e Zimbabwe erano ancora colonie britanniche ed erano conosciute come Rhodesia settentrionale e meridionale. Il progetto era voluto e finanziato dalla Banca Mondiale ed era simile a molti altri implementati in Africa e in Asia in quegli anni. L’istituzione internazionale, nel periodo del dopoguerra, era infatti convinta che la costruzione di enormi infrastrutture − per la produzione di elettricità, ma anche per altri scopi − fosse cruciale per lo sviluppo nelle aree più povere del pianeta. In particolare, lo scopo della Banca Mondiale era l’emulazione della Tennessee Valley Authority, un progetto che negli anni Trenta aveva portato negli Stati Uniti alla creazione di un’enorme sistema di produzione di energia elettrica e aveva stimolato la crescita economica di vaste aree del Paese.
Per decenni, le dighe hanno effettivamente portato alla produzione di grandi quantità di energia a basso costo: nel 2014, in Zambia, i sistemi idroelettrici di Kariba e Kafue erano responsabili per l’81% dell’elettricità generata. A partire dall’anno successivo, però, le ondate di siccità hanno iniziato a colpire l’Africa australe con una frequenza sempre maggiore, portando ad una scarsità d’acqua e quindi ad un funzionamento solo parziale dei sistemi idroelettrici. La situazione più grave è stata registrata tra il 2015 e il 2016, ma anche negli anni successivi il lago Kariba non è mai tornato ai livelli di riempimento precedenti alla crisi e nuovi episodi di siccità sono stati registrati nel 2019 e, appunto, tra il 2022 e l’inizio di quest’anno.
L’eccessiva dipendenza dall’energia idroelettrica ha portato lo Zambia alla necessità di diversificare le proprie fonti. Paradossalmente, seguendo il percorso contrario a quello per cui si sta spingendo a livello globale, per diminuire le emissioni e contrastare il cambiamento climatico. Nel 2016 infatti il governo ha deciso di costruire una centrale a carbone a Maamba, in grado di produrre 300 megawatt. Negli ultimi anni, lo Zambia ha anche mostrato la volontà di aumentarne la capacità: l’ampliamento è stato però finora bloccato dalle difficoltà economiche del Paese.
In particolare, è fondamentale l’apporto della Diga di Kariba, che delimita l’omonimo lago artificiale e si trova lungo il corso del fiume Zambesi, al confine tra i due stati. La siccità di questo periodo ha tuttavia portato ad un notevole abbassamento del livello del lago Kariba, rispetto alle medie stagionali. Ed ha così causato una forte diminuzione dell’energia idroelettrica generata: al momento, sia lo Zambia che lo Zimbabwe possono contare su una produzione minore ai 400 megawatt, meno della metà degli oltre mille che l’impianto potrebbe garantire.