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La variante sudafricana non esiste!


O meglio, esiste ma non se ne conoscono le caratteristiche, che dovrebbero però essere: minore impatto sulla salute e sensibilità ai vaccini

L’Organizzazione mondiale della sanità ha classificato come “variante preoccupante” il nuovo ceppo di coronavirus B.1.1.529, denominato dall’Oms con la lettera greca O. A isolare Omicron il 12 novembre scorso sono stati gli scienziati sudafricani, grazie ai sequenziamenti realizzati dall’Istituto nazionale per le malattie trasmissibili del Sudafrica. A preoccupare è la velocità con cui dalla provincia del Gauteng (dove si trova Johannesburg) il focolaio si stia allargando. La paura è che le 50 mutazioni presenti nel nuovo ceppo, di cui oltre 30 sulla proteina spike, abbiano conferito al virus una trasmissibilità superiore.

I virus, in particolare quelli a Rna come il coronavirus, evolvono costantemente attraverso mutazioni del loro genoma. La maggior parte delle mutazioni non ha un impatto significativo, qualcuna però può dare al virus un vantaggio selettivo rispetto alle altre attraverso una maggiore trasmissibilità, una maggiore patogenicità o la possibilità di aggirare l’immunità precedentemente acquisita. La presenza di molte mutazioni tuttavia non significa automaticamente che la variante sia più pericolosa. È già successo che alcune varianti, che inizialmente avevano suscitato grandi preoccupazioni, si siano diffuse meno del previsto, come all’inizio dell’anno la variante Beta, rapidamente sopravanzata, e poi dalla Delta.

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