O meglio, esiste ma non se ne conoscono le caratteristiche, che dovrebbero però essere: minore impatto sulla salute e sensibilità ai vaccini
L’Organizzazione mondiale della sanità ha classificato come “variante preoccupante” il nuovo ceppo di coronavirus B.1.1.529, denominato dall’Oms con la lettera greca O. A isolare Omicron il 12 novembre scorso sono stati gli scienziati sudafricani, grazie ai sequenziamenti realizzati dall’Istituto nazionale per le malattie trasmissibili del Sudafrica. A preoccupare è la velocità con cui dalla provincia del Gauteng (dove si trova Johannesburg) il focolaio si stia allargando. La paura è che le 50 mutazioni presenti nel nuovo ceppo, di cui oltre 30 sulla proteina spike, abbiano conferito al virus una trasmissibilità superiore.
I virus, in particolare quelli a Rna come il coronavirus, evolvono costantemente attraverso mutazioni del loro genoma. La maggior parte delle mutazioni non ha un impatto significativo, qualcuna però può dare al virus un vantaggio selettivo rispetto alle altre attraverso una maggiore trasmissibilità, una maggiore patogenicità o la possibilità di aggirare l’immunità precedentemente acquisita. La presenza di molte mutazioni tuttavia non significa automaticamente che la variante sia più pericolosa. È già successo che alcune varianti, che inizialmente avevano suscitato grandi preoccupazioni, si siano diffuse meno del previsto, come all’inizio dell’anno la variante Beta, rapidamente sopravanzata, e poi dalla Delta.
La notizia della nuova scoperta ha però immediatamente messo in apprensione diversi Paesi, che hanno deciso di bloccare i voli dal Sudafrica. La stessa Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha invitato i 27 a un’azione coordinata, chiedendo di sospendere tutte le tratte aeree dall’Africa australe.
“L’eccellenza scientifica dovrebbe essere applaudita e non punita”, si legge nel comunicato del Governo sudafricano, che stigmatizza lo stop ai voli dal Sudafrica (non solo da parte europea) e di fatto il mancato riconoscimento ai ricercatori sudafricani di aver reso un servizio alle istituzioni scientifiche di tutto il mondo.
Anche l’Oms scoraggia in questa fase le chiusure drastiche e invita i Paesi ad “applicare un approccio scientifico nei provvedimenti relativi agli spostamenti”.
La verità è che a oggi l’Africa sub-sahariana è l’area del mondo con il minor numero di vaccinati. Il Sudafrica ha una copertura del 23%, mentre nelle aree circostanti le percentuali scendono sotto il 15%. In queste zone, il virus circola più o meno liberamente e può accumulare mutazioni casuali e potenzialmente dannose.
Abbiamo quindi avuto una conferma definitiva che vaccinare anche i cittadini dei Paesi in via di sviluppo non sia solo un obbligo morale, ma anche conveniente per il ritorno alla normalità delle nostre comunità occidentali, altrimenti periodicamente sotto attacco per la diffusione di ennesime variabili provenienti dai Paesi più poveri e quindi con mezzi minori per poter gestire impegnative campagne vaccinali.
Una nota finale dedicata alla stampa e ai media più in generale: non si sono ancora pronunciati gli scienziati sul grado di resistenza di questa variante ai vaccini. Possibile che i grandi giornali internazionali non sappiano fare meglio che diffondere il panico con valutazioni inesatte e infondate!?!
I virus, in particolare quelli a Rna come il coronavirus, evolvono costantemente attraverso mutazioni del loro genoma. La maggior parte delle mutazioni non ha un impatto significativo, qualcuna però può dare al virus un vantaggio selettivo rispetto alle altre attraverso una maggiore trasmissibilità, una maggiore patogenicità o la possibilità di aggirare l’immunità precedentemente acquisita. La presenza di molte mutazioni tuttavia non significa automaticamente che la variante sia più pericolosa. È già successo che alcune varianti, che inizialmente avevano suscitato grandi preoccupazioni, si siano diffuse meno del previsto, come all’inizio dell’anno la variante Beta, rapidamente sopravanzata, e poi dalla Delta.