L'Unione europea è a un punto di svolta: o si cambia corso o il progetto è in pericolo. Scrive il Direttore della rivista online Agenda geopolitica della Fondazione Ducci
L’Unione europea è a un punto di svolta: o si cambia corso o il progetto è in pericolo. Scrive il Direttore della rivista online Agenda geopolitica della Fondazione Ducci
A settanta anni dalla dichiarazione Schuman e dieci anni dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, che solo parzialmente ha recepito le istanze del progetto di Costituzione europea naufragato nel 2007 dopo l’esito negativo dei referendum in Francia e nei Paesi Bassi, l’Unione europea è nuovamente a un punto di svolta: o si cambia il corso politico (più, ma anche, diversa Europa) o l’intero progetto rischia di crollare. Tre sono le sfide da affrontare con coraggio e lucidità: l’emergenza sanitaria originata dal Covid-19, la crisi economica provocata dalla pandemia e il ruolo dell’Europa nel mondo. La battaglia ideologica si svolgerà sul modello di Europa che si vuole costruire: quello mercantilista che mira a rafforzare la dimensione intergovernativa a scapito di quella comunitaria, modello sostenuto dai Paesi nordici e dal Gruppo di Visegrad, oppure quello orientato a dar vita a un’Europa economicamente e politicamente integrata, modello sostenuto dai Paesi mediterranei e, seppur in maniera più sfumata, dalla Germania.
Le sfide del futuro
La Conferenza sul futuro dell’Europa, lanciata da Macron nel 2019 e appoggiata da Angela Merkel, il cui inizio è stato rinviato alla seconda metà del 2021 a causa della pandemia, si propone di affrontare questi nodi attraverso una riforma dei Trattati in vigore e delle strutture dell’Unione e con una politica che, superate lentezze e contraddizioni del passato, valga a riconciliare i cittadini con l’ideale europeo, superando la disaffezione all’origine della Brexit e sulla quale hanno prosperato nazionalismi e sovranismi.
Si tratta quindi di avviare l’ineludibile riflessione di fondo sul futuro dell’Unione, senza la quale il rischio è quello di un’Europa senza una vera rappresentanza politica, chiusa nella gabbia giuridica dei suoi Trattati ma priva di una visione complessiva del proprio ruolo. L’Europa, per essere all’altezza della sua storia e della sua cultura e per essere percepita come la propria casa, come la propria patria da ogni cittadino, deve essere capace di assumere su di sé le sfide del futuro, deve saper guardare lontano.
Al centro della Conferenza vi saranno quindi il rafforzamento della legittimità e dell’immagine dell’Unione e il soddisfacimento delle esigenze dei cittadini in tema di sicurezza, sia sotto il profilo delle libertà personali che sotto quello economico, con la ripresa della crescita e dell’occupazione duramente colpite dalla pandemia. In questo senso il Next Generation EU costituisce un risultato assai positivo che va nella direzione di una governance comune dell’economia, da consolidare con l’istituzione di un Ministro delle Finanze europeo. La necessaria riforma istituzionale e dei meccanismi decisionali dovrà inoltre contemplare la riponderazione dei voti e la generalizzazione del voto a maggioranza in seno al Consiglio, la revisione del numero dei Commissari, il rafforzamento del ruolo della Commissione e del Parlamento europeo, la possibilità di velocità differenziate.
La politica estera e di difesa
Uno dei temi più rilevanti della Conferenza sul futuro dell’Europa sarà senza dubbio quello relativo alla politica esterae di difesa e sicurezza comune, strumento indispensabile per consentire all’Unione di agire con efficacia in uno scenario internazionale assai più complesso e imprevedibile del passato, caratterizzato dall’assertività della Cina, dalla minaccia di un “secolo asiatico” e dal protagonismo della Russia di Putin, nonché per favorire una alleanza funzionante con gli Stati Uniti di Biden: un’Europa meno dipendente dagli Usa, non più debole ma più forte. Nel mondo bipolare gli Stati Uniti erano stati il garante politico e militare della comunità euro-atlantica ma oggi vi è una sempre maggiore necessità di presenza dell’Europa sulla scena internazionale in quanto dalla caduta del muro di Berlino in poi non abbiamo assistito alla fine della storia, come alcuni avevano preconizzato, ma all’aumento dell’interdipendenza, dell’insicurezza e della conflittualità, quindi della necessità di un sistema multilaterale di governance nelle relazioni internazionali. L’evoluzione del sistema internazionale verso un assetto multipolare e l’impatto della crisi economica sulla spesa dei Governi per la difesa e sulla disponibilità degli Stati Uniti a impegnarsi nei teatri di crisi più vicini all’Europa sono fattori cruciali che rendono non più rinviabile la creazione di una vera ed efficace politica estera europea e di una politica di sicurezza e difesa comune.
Ma saranno capaci l’Unione europea e i suoi Stati membri di affrontare questi cruciali nodi politici e di avviarli a soluzione?
Il ruolo della Germania e dell’Italia
Al riguardo sarà decisivo il ruolo della Germania, “maggiore azionista” dell’Ue, che dovrà decidere una volta per tutte se, richiamandosi all’europeismo federalista di Adenauer, vorrà essere il baluardo dell’integrazione dell’Europa o, al contrario, contribuire alla sua disgregazione. È il vecchio dilemma: “Germania europea o Europa tedesca?”. In altri termini, si tratta di vedere se il prossimo Cancelliere continuerà la politica di Angela Merkel, e quindi se prevarrà l’anima “renana” ed europeista o quella prussiana e bismarckiana: nel primo caso, Berlino potrà essere fattore decisivo dell’integrazione europea, nel secondo, lo strapotere economico tedesco accentuerà squilibri e disuguaglianze con effetti distruttivi sull’Unione.
Per quanto riguarda l’Italia, Mario Draghi dovrà recuperare, auspicabilmente d’intesa con la Francia, il ruolo storico italiano di impulso all’integrazione europea, possibile a patto di acquisire quella maggiore solidità interna necessaria al nostro Paese per avere un peso in Europa. Se dovessimo assistere al fallimento del progetto europeo, l’Europa intergovernativa che si affermerebbe sarebbe un’Europa invertebrata che non servirebbe più a nessuno e certamente non all’Italia che, nella progressione verso una Europa unita economicamente e politicamente, ha sempre ricercato l’esaltazione dei suoi punti di forza ma anche il rimedio alle sue storiche debolezze.
Il politologo americano Francis Fukuyama ha affermato che gli europei non si sentiranno uniti finché non combatteranno una guerra per una volta tutti dalla stessa parte. Forse la battaglia contro la pandemia può rappresentare il mezzo per avanzare verso un’Europa veramente unita e un diverso e migliore modello di sviluppo, più giusto e rispettoso dell’ambiente.
L’Unione europea è a un punto di svolta: o si cambia corso o il progetto è in pericolo. Scrive il Direttore della rivista online Agenda geopolitica della Fondazione Ducci
A settanta anni dalla dichiarazione Schuman e dieci anni dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, che solo parzialmente ha recepito le istanze del progetto di Costituzione europea naufragato nel 2007 dopo l’esito negativo dei referendum in Francia e nei Paesi Bassi, l’Unione europea è nuovamente a un punto di svolta: o si cambia il corso politico (più, ma anche, diversa Europa) o l’intero progetto rischia di crollare. Tre sono le sfide da affrontare con coraggio e lucidità: l’emergenza sanitaria originata dal Covid-19, la crisi economica provocata dalla pandemia e il ruolo dell’Europa nel mondo. La battaglia ideologica si svolgerà sul modello di Europa che si vuole costruire: quello mercantilista che mira a rafforzare la dimensione intergovernativa a scapito di quella comunitaria, modello sostenuto dai Paesi nordici e dal Gruppo di Visegrad, oppure quello orientato a dar vita a un’Europa economicamente e politicamente integrata, modello sostenuto dai Paesi mediterranei e, seppur in maniera più sfumata, dalla Germania.
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