La capitale dell’Indonesia sta affondando, 10 centimetri all’anno. Nusantara, la nuova capitale, è un’utopia urbanistica, ecologica e sociale, con la quale Widodo sogna di concludere il suo secondo mandato
Con l’approvazione del disegno di legge per lo spostamento della capitale, lo scorso 18 gennaio l’esecutivo indonesiano ha dato ufficialmente il via al progetto di trasferimento delle strutture governative del Paese, che abbandoneranno l’isola di Giava per approdare su quella del Borneo, più precisamente nella provincia del Kalimantan Orientale. La nuova capitale si chiamerà Nusantara, una “città pianificata” all’insegna della sostenibilità che si collocherà a cavallo tra i distretti di Penajam Paser Utara e Kutai Kartanegara, in un territorio da 180 mila ettari già di proprietà del Governo. Fiore all’occhiello del secondo mandato del Presidente Joko “Jokowi” Widodo, l’esodo coordinato sarà avviato nel 2024 e dovrebbe concludersi entro il 2045. Ma la strada verso il paradiso verde concepito da Jokowi non è priva di controversie e ha già attirato critiche che spaziano dal potenziale impatto ambientale negativo del progetto sull’ecosistema del Borneo alle conseguenze socio-economiche di un trasloco di questa portata, fino alla dibattuta scelta del nome per il nuovo hub.
L’idea di spostare la sede del Governo dall’attuale centro amministrativo e finanziario del Paese non è nuova, ma ha preso realmente forma solo all’indomani della rielezione di Jokowi nel 2019, momento in cui il Presidente ha annunciato il progetto di trasferimento della capitale citando i problemi ambientali della metropoli dell’isola di Giava. Giacarta, si sa da tempo, sta affondando. Affonda sotto il peso del sovraffollamento e del traffico intenso che ne rallenta la produttività. E affonda in senso letterale a causa della sregolata attività di estrazione di acqua potabile dalle falde acquifere nel sottosuolo dell’isola, che unitamente alle conseguenze legate al cambiamento climatico, come alluvioni e terremoti, sta affossando la capitale di 10 centimetri ogni anno. Secondo i climatologi, entro il 2050 il 25% del territorio di Giacarta sarà sommerso. Trasferire il governo e i suoi 4,8 milioni di lavoratori e costruire da zero una nuova capitale con un progetto infrastrutturale mastodontico sembra dunque un piccolo prezzo da pagare per decongestionare una città destinata agli abissi.
La nuova capitale
La nuova capitale sarà grande quattro volte Giacarta e si propone di essere una città smart, fondata sulla sinergia tra innovazione tecnologica e rispetto dell’ambiente. Internet of things per monitorare il traffico e pianificare l’urbanistica in tranquillità. Edifici ecosostenibili e mezzi di trasporto a bassa emissione per garantire uno stile di vita sano e volto al risparmio energetico. Un palazzo presidenziale a forma di Garuda, creatura mitologica della tradizione induista. E il 75% degli spazi dedicato ad aree verdi: un’utopia ecologica dove far ripartire l’economia nell’era post-Covid e riequilibrare la prospettiva Giava-centrica dei suoi predecessori. Questa è Nusantara per Jokowi. Oltre a voler alleviare il fardello demografico di Giacarta, che da sola accoglie il 57% della popolazione indonesiana, la nuova capitale servirà per stimolare la crescita economica nella parte orientale dell’arcipelago, ridistribuendo così in maniera più omogenea l’attività economica del Paese. Mentre Giava da sola produce il 60% del Pil nazionale, le cinque province del Kalimantan messe insieme, per quanto ricche di risorse naturali, contribuiscono solo al 10% dell’economia del Paese. Per rendere Nusantara il nuovo riferimento dell’arcipelago, il progetto prevede l’impiego di 32 miliardi di dollari. Di questi, il 19% sarà coperto dallo Stato, mentre il resto farà affidamento su partnership con aziende partecipate o enti stranieri. Tra gli investitori interessati al progetto, il principe di Abu Dhabi Muhammad bin Zayed Al Nahyan, il Ceo della SoftBank Masayoshi Son e l’ex primo ministro britannico Tony Blair.
La scelta di Nusantara è simbolica sotto più aspetti. La nuova sede del governo sarà più geograficamente vicina al centro del Paese, aspirando al ruolo di riferimento non solo per l’arcipelago, ma per tutto il Sud-Est asiatico. Consentirà anche di liberarsi dallo spettro coloniale olandese, visto che erano stati i Paesi Bassi a stabilire la capitale a Giacarta. Si tratta di un grande successo per Jokowi, a un passo da una mission impossible vecchia quanto l’Indonesia stessa. D’altronde, la politica di Jokowi, il rivoluzionario “uomo della gente”, è da sempre orientata al supporto di un nazionalismo multiculturale con caratteristiche indonesiane. Cosa che avrebbe tentato di riproporre, con scarso successo, anche nel nome della nuova capitale. Nusantara in Bahasa Indonesia significa infatti “arcipelago”. “Un concetto che abbraccia tutta la nostra diversità. Che sia nella razza, lingua o etnia”, ha dichiarato il ministro dello Sviluppo nazionale Suharso Monorafa.
Le controversie sulla scelta di Nusantara
Il responso popolare non è stato altrettanto idealista. La scelta del nome, selezionato tra 80 diverse opzioni, è stata accolta con perplessità dai cittadini indonesiani, che hanno contestato l’origine del termine ritenendolo confusionario. La parola Nusantara deriva infatti dal giavanese antico e fa riferimento all’Indonesia nella sua totalità e alla regione del Sud-Est asiatico in generale. Risale inoltre all’epoca del regno di Majapahit, impero induista che tra il 13esimo e il 15esimo secolo comprendeva non solo le isole oggi parte dell’arcipelago indonesiano, ma anche porzioni di Malesia, Brunei e Thailandia. Confusionario, e parte di un altro impero. La componente nazionalista nella “città dell’uguaglianza e la giustizia” voluta da Jokowi non ha fatto breccia nel cuore degli indonesiani.
Ma la controversia sul nome della nuova città è solo la punta dell’iceberg. Molti cittadini e studiosi guardano con scetticismo al progetto. Le preoccupazioni più sentite riguardano il piano ambientale. A oggi il settore delle rinnovabili in Indonesia fornisce solo l’11.5% dell’energia totale del Paese. Anche spostando la capitale, secondo le previsioni, Giacarta rimarrà il centro economico, tanto che la banca centrale e altre istituzioni finanziarie non verranno trasferite. Gli scambi tra le due città potrebbero inoltre creare nuovi picchi di emissioni col traffico aereo. Si teme anche un effetto spillover, col tentativo di costruire il super hub a emissioni zero in un’area del Paese con poche infrastrutture che rischia di aumentare la deforestazione dell’isola, creando scompensi all’ecosistema del Kalimantan e alla sua biodiversità.
C’è poi la questione legata agli indigeni del Borneo, i Paser-Balik e i Dayak, già protagonisti di violente lotte tribali, che potrebbero essere messi sotto pressione dalla rivoluzione dell’ambiente circostante. Per quanto riguarda i quasi 11 milioni di abitanti di Giacarta invece, l’esodo della popolazione giavanese non è da dare per scontato. Se il trasferimento di migliaia di funzionari statali e del loro staff, unitamente a personale di sicurezza e altre cariche governative sarà un cambiamento assodato, rimangono fuori una serie di cittadini che occupano posizioni lavorative di basso-medio rango che non necessariamente riusciranno a permettersi un cambio di vita altrove. L’intreccio linguistico-religioso che caratterizza l’Indonesia è un altro ostacolo in questo senso. Secondo diversi analisti infine, spostare la capitale, per quanto necessario, non risolverà i problemi ambientali di Giacarta, rendendo il trasferimento una costosa toppa a problemi di vecchia data.
Nusantara, per il momento, è il progetto con cui Jokowi sogna di suggellare il suo retaggio politico prima concludere il secondo e ultimo mandato. La prima fase (di cinque) per il completamento della nuova capitale dovrà avvenire proprio entro il 2024, anno in cui si terranno le prossime elezioni presidenziali. La sua riuscita potrebbe sancire un’uscita di scena trionfale per il “presidente delle infrastrutture”. Ma le sfide sono tante. Il tempo poco. E Jokowi dovrà fare di tutto perché la sua città incantata non rimanga solo un dispendioso castello in aria.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di marzo/aprile di eastwest.
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Con l’approvazione del disegno di legge per lo spostamento della capitale, lo scorso 18 gennaio l’esecutivo indonesiano ha dato ufficialmente il via al progetto di trasferimento delle strutture governative del Paese, che abbandoneranno l’isola di Giava per approdare su quella del Borneo, più precisamente nella provincia del Kalimantan Orientale. La nuova capitale si chiamerà Nusantara, una “città pianificata” all’insegna della sostenibilità che si collocherà a cavallo tra i distretti di Penajam Paser Utara e Kutai Kartanegara, in un territorio da 180 mila ettari già di proprietà del Governo. Fiore all’occhiello del secondo mandato del Presidente Joko “Jokowi” Widodo, l’esodo coordinato sarà avviato nel 2024 e dovrebbe concludersi entro il 2045. Ma la strada verso il paradiso verde concepito da Jokowi non è priva di controversie e ha già attirato critiche che spaziano dal potenziale impatto ambientale negativo del progetto sull’ecosistema del Borneo alle conseguenze socio-economiche di un trasloco di questa portata, fino alla dibattuta scelta del nome per il nuovo hub.
L’idea di spostare la sede del Governo dall’attuale centro amministrativo e finanziario del Paese non è nuova, ma ha preso realmente forma solo all’indomani della rielezione di Jokowi nel 2019, momento in cui il Presidente ha annunciato il progetto di trasferimento della capitale citando i problemi ambientali della metropoli dell’isola di Giava. Giacarta, si sa da tempo, sta affondando. Affonda sotto il peso del sovraffollamento e del traffico intenso che ne rallenta la produttività. E affonda in senso letterale a causa della sregolata attività di estrazione di acqua potabile dalle falde acquifere nel sottosuolo dell’isola, che unitamente alle conseguenze legate al cambiamento climatico, come alluvioni e terremoti, sta affossando la capitale di 10 centimetri ogni anno. Secondo i climatologi, entro il 2050 il 25% del territorio di Giacarta sarà sommerso. Trasferire il governo e i suoi 4,8 milioni di lavoratori e costruire da zero una nuova capitale con un progetto infrastrutturale mastodontico sembra dunque un piccolo prezzo da pagare per decongestionare una città destinata agli abissi.