Posta di fronte a una situazione di pericolo reale, la Nato è riuscita a ritrovare quella unità di intenti che le mancava da quando la fine della Guerra fredda l’aveva privata del suo scopo originario
Se vi è un beneficiato dall’attacco della Russia all’Ucraina questo è certamente il Segretario Generale della Nato, il norvegese Jens Stoltenberg. Politico debole di un Paese piccolo, e quindi in termini di Alleanza debole anch’esso, Stoltenberg era stato giudicato dagli Stati Uniti l’uomo ideale da porre alla testa di un’organizzazione che stava progressivamente e inesorabilmente perdendo il suo carattere multilaterale per diventare sempre più un sistema stellare con gli Usa al centro e tutti gli altri membri connessi al Grande Fratello da rapporti bilaterali.
Stoltenberg succedeva, inoltre, nella carica a un altro Segretario Generale, il danese Rasmussen, anche lui patrocinato dagli americani ed anche lui responsabile di un mandato che non aveva certo brillato né per concretezza, né per iniziativa, né per spirito di innovazione, e ciò malgrado il disperato bisogno che l’Alleanza avrebbe avuto di queste qualità nel corso degli ultimi venti anni. Per di più i due Segretari Generali, entrambi nordici, avevano − probabilmente su input americano − focalizzato l’attenzione della Nato, e di conseguenza tutte le sue disponibilità e possibilità, unicamente sull’area Nord Est del continente europeo, conseguendo rapidamente un duplice risultato negativo. Da un lato infatti, nell’area mediterranea, che anche gli Usa avevano imprudentemente lasciata sguarnita, si era creato un vuoto di potere che aveva immediatamente attirato potenze emergenti − o riemergenti! − dotate di una grande voglia di crescere condita da pochissimi scrupoli e favorita dalla loro particolare condizione di semi dittature. Dall’altro invece, l’attenzione continua che la Nato dedicava alla sua frontiera del Nord Est aveva finito con l’ingigantire i sospetti e le paure russe nei riguardi dell’Occidente, sospetti originati da una serie ininterrotta di invasioni europee nei secoli, per qualche tempo parzialmente sopiti e momentaneamente accantonati ma di certo mai del tutto cancellati. Le conseguenze sono oggi sotto gli occhi di tutti. L’attacco della Russia all’Ucraina si sta in ogni caso rivelando per la Nato come quel violento massaggio cardiaco di cui l’Organizzazione aveva un terribile bisogno. Una necessità di cui molti nelle capitali di tutti gli Stati membri si rendevano ormai conto, senza però che l’idea riuscisse mai a perturbare il serafico immobilismo del Quartier Generale dell’Alleanza a Bruxelles.
Nel nulla si era anche risolta l’iniziativa, di per sé altamente meritoria, di affidare ad un comitato di esperti la definizione a grandi linee delle sfide che la Nato avrebbe dovuto affrontare negli anni ’30. Di conseguenza quindi anche del rinnovamento indispensabile per porla in condizione di affrontare con successo le nuove sfide. Le conclusioni del lavoro si limitavano ad elencare dei problemi, molto più che indicare delle soluzioni, e presentavano una certa concretezza soltanto nel settore che maggiormente interessava gli Usa, vale a dire quello del rapporto fra l’Occidente e la Cina, esaminato dal punto di vista della Organizzazione che dell’Occidente era il braccio armato.
Del tutto dimenticati, o perlomeno trattati in maniera insoddisfacente, risultavano invece tutti gli altri problemi, in primo luogo quello dell’equilibrio fra i fronti Nord e Sud della struttura nonché quello del rapporto fra pilastro americano e pilastro europeo dell’Alleanza. Un problema, quest’ultimo, che a dire il vero sembrava privo di una reale urgenza, considerato il modo in cui la erigenda difesa europea restava sino a poco tempo fa oggetto di molte e ben articolate chiacchiere senza però acquistare mai una reale concretezza.
Come accennavamo in precedenza però ora la terribile iniziativa del Presidente Putin ha provveduto a scompigliare del tutto il mazzo di carte, rendendo tra l’altro ineludibili molti di quei processi di cambiamento che prima non venivano affrontati. Posta di fronte ad una situazione di pericolo reale la Nato è infatti riuscita a ritrovare quella unità di intenti che in sostanza le mancava da quando la fine della Guerra fredda l’aveva privata a tempo indeterminato del suo scopo originario. Ne è prova il fatto che il vecchio obiettivo dell’Alleanza, vale a dire “Tenere gli Americani dentro, i Russi fuori e i Tedeschi sotto”, potrebbe divenire un mantra valido anche in questi nuovi tempi se solo lo si aggiornasse un poco utilizzando il termine “Europei “al posto di “Tedeschi”.
Nel contempo anche la costruzione del pilastro europeo della difesa comune sembra aver fatto quei passi avanti che sino a ieri erano resi impossibili in parecchi paesi del nostro continente da un comodo pacifismo di principio basato sulla duplice errata idea che in Europa un conflitto non fosse più possibile e che comunque le spese per la collettiva sicurezza le avrebbero sempre pagate gli americani. Questo significa che siamo prossimi a fruire di una politica di difesa comune resa possibile da uno strumento militare condiviso? Certamente no, almeno per il momento, ma ora per la prima volta dai tempi della CED il traguardo appare raggiungibile. Si tratta di un punto di estrema importanza, anche perché il fatto di presentarci uniti probabilmente ci consentirebbe di ottenere dai nostri grandi alleati d’oltreoceano una divisione degli oneri più equilibrata di quella attuale in situazioni simili a questa. Mentre noi rischiamo di rimanere ogni giorno senza gas, loro sono infatti riusciti a concludere con l’Unione un contratto colossale che ci renderà dipendenti dal loro gas liquefatto, cinque volte più caro di quello russo. Le altre voci dell’embargo poi pesano soprattutto sulla Ue, che della Russia era il maggiore partner commerciale. Se vogliamo infine parlare dei profughi ucraini vi è da segnalare come il Presidente Biden abbia cercato di venderci come un atto di grande generosità da parte degli Usa la disponibilità americana ad accoglierne circa ottantamila; e questo mentre l’Europa li ospita già a milioni! Se questo non è un rapporto impari fra i due lati dell’Atlantico. Superior stabat lupus, scriveva Fedro un tempo.
Da segnalare infine come, giocando sulla necessità di garantire una continuità all’Organizzazione sino al termine della crisi, gli Usa siano riusciti ad ottenere anche una proroga di un anno del mandato del Segretario Generale. Stoltenberg, che avrebbe dovuto lasciare dopo il vertice del prossimo luglio, resterà quindi alla guida dell’Organizzazione sino all’anno prossimo grazie ad un alibi che gli ha fornito il Presidente Putin associato al favore che la sua trascorsa acquiescenza agli Usa gli ha garantito oltre Oceano.
Non tutti i mali però vengono per nuocere, considerato come questo suo ritardo nell’abbandonare la carica finisca con l’aprire la strada ad una adeguata candidatura italiana. Fatti tutti i conti, e prestata la debita attenzione ai requisiti che vengono richiesti, il nostro unico possibile candidato nazionale sarebbe infatti stato il Presidente Gentiloni. Si trattava però di una candidatura resa impossibile, almeno per quest’anno, dall’importantissimo incarico che il soggetto ricopre in ambito Unione Europea. L’anno prossimo le cose saranno diverse e quindi un nostro eventuale tentativo potrebbe avere buone probabilità di successo. In fondo è tempo che il Segretario Generale dell’Alleanza torni ad essere un politico di rilievo, che viene da uno dei grandi paesi dell’Europa e soprattutto da uno di quegli Stati membri del sud Mediterraneo esclusi dalla carica ormai da più di venti anni!
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di maggio/giugno di eastwest.
Puoi acquistare la rivista in edicola o abbonarti.
Se vi è un beneficiato dall’attacco della Russia all’Ucraina questo è certamente il Segretario Generale della Nato, il norvegese Jens Stoltenberg. Politico debole di un Paese piccolo, e quindi in termini di Alleanza debole anch’esso, Stoltenberg era stato giudicato dagli Stati Uniti l’uomo ideale da porre alla testa di un’organizzazione che stava progressivamente e inesorabilmente perdendo il suo carattere multilaterale per diventare sempre più un sistema stellare con gli Usa al centro e tutti gli altri membri connessi al Grande Fratello da rapporti bilaterali.
Stoltenberg succedeva, inoltre, nella carica a un altro Segretario Generale, il danese Rasmussen, anche lui patrocinato dagli americani ed anche lui responsabile di un mandato che non aveva certo brillato né per concretezza, né per iniziativa, né per spirito di innovazione, e ciò malgrado il disperato bisogno che l’Alleanza avrebbe avuto di queste qualità nel corso degli ultimi venti anni. Per di più i due Segretari Generali, entrambi nordici, avevano − probabilmente su input americano − focalizzato l’attenzione della Nato, e di conseguenza tutte le sue disponibilità e possibilità, unicamente sull’area Nord Est del continente europeo, conseguendo rapidamente un duplice risultato negativo. Da un lato infatti, nell’area mediterranea, che anche gli Usa avevano imprudentemente lasciata sguarnita, si era creato un vuoto di potere che aveva immediatamente attirato potenze emergenti − o riemergenti! − dotate di una grande voglia di crescere condita da pochissimi scrupoli e favorita dalla loro particolare condizione di semi dittature. Dall’altro invece, l’attenzione continua che la Nato dedicava alla sua frontiera del Nord Est aveva finito con l’ingigantire i sospetti e le paure russe nei riguardi dell’Occidente, sospetti originati da una serie ininterrotta di invasioni europee nei secoli, per qualche tempo parzialmente sopiti e momentaneamente accantonati ma di certo mai del tutto cancellati. Le conseguenze sono oggi sotto gli occhi di tutti. L’attacco della Russia all’Ucraina si sta in ogni caso rivelando per la Nato come quel violento massaggio cardiaco di cui l’Organizzazione aveva un terribile bisogno. Una necessità di cui molti nelle capitali di tutti gli Stati membri si rendevano ormai conto, senza però che l’idea riuscisse mai a perturbare il serafico immobilismo del Quartier Generale dell’Alleanza a Bruxelles.