L’Unione europea sta valutando di finanziare dei progetti di collegamento da Israele ed Egitto alla Grecia: i flussi segnerebbero così un rovesciamento degli itinerari dell’energia in Europa
Per ridurre drasticamente e in tempi brevi la dipendenza dalla Russia, l’Unione europea potrebbe investire in due infrastrutture energetiche: un gasdotto tra Barcellona e Livorno, per portare in Italia il gas liquefatto sbarcato in Spagna, e un interconnettore per fare arrivare in Grecia l’elettricità generata in Egitto.
Al di là dei dettagli tecnici, i due progetti – il primo da 2,5-3 miliardi di euro, il secondo da 3,5 – sembrano segnalare un rovesciamento degli itinerari dell’energia sul Vecchio continente. I flussi principali non andranno più da est a ovest, cioè dalla Russia all’Europa, ma da ovest a est. E non seguiranno più una traiettoria nord-sud, dall’Europa centro-settentrionale a quella meridionale, ma procederanno in senso contrario.
Da ovest a est
Per distaccarsi da Mosca, Bruxelles vuole aumentare le importazioni di gas naturale liquefatto, ma la sua capacità di rigassificazione, necessaria a riportare il combustibile allo stato gassoso e a immetterlo nella rete, è generalmente scarsa; spicca però, a occidente, la Spagna, che di impianti per il Gnl ne ha sei, più di qualunque altro stato membro dell’Unione. Immaginando migliori connessioni (attualmente sono carenti) tra i rigassificatori spagnoli e il sistema di distribuzione continentale, Madrid potrebbe diventare un attore energetico rilevantissimo in Europa, aumentando pure il suo peso politico. E potrebbe mantenere questa centralità per molto tempo, qualora i terminali e i gasdotti venissero convertiti alla gestione di ammoniaca e idrogeno, due combustibili pienamente coerenti con i piani di transizione ecologica della Commissione.
Da sud a nord
Il progetto dell’elettrodotto tra Egitto e Grecia risale al 2008, ma venne accantonato a seguito degli sconvolgimenti politici a Il Cairo. L’urgenza di sostituire gli idrocarburi russi potrebbe ridare slancio sia all’opera in questione, sia a una simile con Israele e Cipro, l’EuroAsia Interconnector. I cavi garantirebbero peraltro ad Atene un surplus elettrico rispetto al suo fabbisogno, ri-esportabile verso i paesi vicini o spendibile per la produzione di idrogeno. Come nel caso del gasdotto Spagna-Italia, poi, anche queste infrastrutture soddisfano gli obiettivi del Green Deal: l’energia elettrica trasportata in Grecia potrà infatti essere generata non soltanto da fonti fossili (Egitto e Israele hanno scoperto grandi giacimenti di gas), ma anche da rinnovabili (il potenziale solare egiziano, in particolare, è alto).
Oltre che da ovest a est, insomma, pare che in Europa l’energia si muoverà sempre di più da sud a nord: il Nordafrica, che ha condizioni favorevoli alla generazione di elettricità verde a basso costo, sarà il centro di produzione; l’Europa settentrionale, con le sue industrie, sarà il luogo di consumo; l’Europa mediterranea, inclusa l’Italia, farà da intermediaria, da hub di distribuzione. Snam, la società energetica che gestisce la rete italiana dei gasdotti, ha intenzione di riconvertire le condotte per il metano al trasporto di idrogeno, in modo da muoverlo dall’Africa settentrionale al nord Italia. Terna, l’operatore del sistema di trasmissione elettrica italiano, sta lavorando con la sua controparte greca alla realizzazione di un secondo elettrodotto tra i due Paesi.
Perché uno scenario del genere si realizzi, però, è necessario che la transizione energetica venga accompagnata da un’attenta politica estera e di sviluppo in Africa, per evitare che la contrazione delle rendite economiche causata dal progressivo abbandono dei fossili (molti Governi della regione ne sono dipendenti, come l’Algeria e la Libia) fomenti l’instabilità sociale.
Il sostegno degli Stati Uniti e il superamento dell’EastMed
Un’architettura energetica di questo tipo è promossa dagli Stati Uniti. Lo scorso gennaio Washington ha ribadito il suo appoggio alle strutture per il trasporto dell’energia dal mar Mediterraneo orientale all’Europa continentale, precisando però di stare “spostando” il suo “focus” dai gasdotti agli interconnettori per l’elettricità, i quali “possono sostenere sia il gas che le fonti di energia rinnovabile”. In un comunicato, gli americani fecero menzione proprio dei cavi elettrici tra Grecia, Cipro, Israele ed Egitto.
Oltre a essere più lungimiranti, queste infrastrutture sono anche meno dispendiose e meno complicate dal punto di vista politico dell’EastMed, la condotta che vuole collegare i giacimenti di gas nel Mediterraneo orientale alla Grecia, ma è osteggiata dalla Turchia. In un contesto peraltro di transizione, che dovrebbe far contrarre i consumi di gas nel lungo periodo, solo le forniture meno costose riusciranno a rimanere sul mercato: il combustibile trasportato da EastMed, invece, avrebbe prezzi alti. All’Unione europea – e all’Italia – converrebbe piuttosto puntare sugli impianti di liquefazione egiziani di Idku e Damietta, che possono anche attingere al gas israeliano.
Al di là dei dettagli tecnici, i due progetti – il primo da 2,5-3 miliardi di euro, il secondo da 3,5 – sembrano segnalare un rovesciamento degli itinerari dell’energia sul Vecchio continente. I flussi principali non andranno più da est a ovest, cioè dalla Russia all’Europa, ma da ovest a est. E non seguiranno più una traiettoria nord-sud, dall’Europa centro-settentrionale a quella meridionale, ma procederanno in senso contrario.