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AI entrerà in guerra?


Alle dinamiche intrinseche che rallentano l’impiego di AI nel mondo militare, si aggiungono preoccupazioni politiche, etiche e legali. Ma la strada sembra tracciata perché gli operatori militari sono sempre più dipendenti dalla ineguagliabile capacità computazionale di AI, oggi al loro servizio

La fantascienza è ricca di suggestioni sull’uso per scopi militari dell’intelligenza artificiale, e quindi di computer e robot parzialmente o totalmente autonomi, a partire dalle saghe di Terminator e Matrix. Gli odierni investimenti nel campo civile, specialmente da parte dei colossi statunitensi dell‘Information Communication Technology (ICT) come Meta, Amazon o l’impero di Elon Musk, spingono il progresso tecnologico quanto a big data e machine learning che sono alla base dell’Artificial Intelligence (AI), sviluppando tecnologie teoricamente a disposizione anche delle forze armate americane.

Già oggi il software è un elemento fondamentale di carri armati, elicotteri, sistemi missilistici, caccia e navi da guerra prodotti dall’industria dell’aerospazio e difesa per le forze armate più avanzate, a partire da quelle dei Paesi Nato. Al tempo stesso la Cina fa leva sul suo capitalismo autoritario per convogliare investimenti pubblici e privati, e i dati presi dai cittadini, nello sviluppo di un AI cinese preoccupando non poco i Paesi occidentali, dallo spazio Euro-Atlantico a quello dell’Indo-Pacifico. Eppure una grande potenza militare come la Russia combatte contro l’Ucraina da oltre un anno una guerra su larga scala, ad alta intensità, con ingenti perdite umane e materiali, senza grande ricorso al ICT, e men che meno all’AI. Dunque in futuro, come entrerà in guerra l’intelligenza artificiale? Con droni autonomamente in grado di gestire attacchi, o come sostegno all’operatore umano? Ci sono diversi fattori a favore e contro l’impiego dell’AI nei conflitti armati, che si bilanciano tra loro.

Come entrerà in guerra l’intelligenza artificiale?

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