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Lo strano caso del Rwanda, la “Svizzera africana”


Kagame ha vinto le elezioni di lunedì 15 luglio con oltre il 99% dei voti, il suo migliore risultato dal 2003, quando ha ottenuto il suo primo mandato. E’ alla guida del Rwanda da 30 anni e sembra continuare a godere di un consenso popolare enorme nonostante la dura repressione dei suoi oppositori.

Si sono svolte senza alcuna sorpresa, le elezioni in Rwanda. Era previsto che Paul Kagame vincesse a mani basse ed effettivamente il Presidente uscente è stato confermato nel suo incarico. E alla fine non è servito nemmeno aspettare i risultati ufficiali, previsti per la prossima settimana: già a poche ore dal voto, che si è tenuto lunedì 15 luglio, la Commissione elettorale ha infatti annunciato il successo di Kagame.

L’unica notizia degna di nota è stata rappresentata dalle dimensioni della vittoria elettorale. Secondo le prime previsioni, il presidente ruandese ha ottenuto il 99,15% dei consensi, ottenendo il proprio miglior risultato. In ogni caso, anche in occasione delle tre elezioni precedenti, Kagame si era sempre collocato sopra al 90%: nel 2003 aveva preso il 95, nel 2010 il 93, mentre nel 2017 si era fermato poco sotto al 99%.

Le cifre relative ai voti ottenuti da Paul Kagame lasciano il tempo che trovano e sono utili al massimo per capire quanto la riconferma del Presidente fosse scontata, in questa occasione così come in quelle precedenti.

Kagame guida il Rwanda in questa maniera da trent’anni, senza essere contrastato da una vera e propria opposizione. Dal 2000 ricopre il ruolo di presidente, ma di fatto controlla il Paese dal 1994, quando alla guida dei ribelli del Fronte Patriottico Ruandese ha rovesciato il regime precedente e ha fermato il genocidio che stava avendo luogo nel Paese contro la popolazione di etnia tutsi e contro gli hutu moderati. Da allora, Kagame gode di un consenso enorme ed è visto da gran parte della popolazione come colui che ha fatto rinascere il Rwanda, riappacificando lo stato e mettendo fine alle violenze.

Una parte rilevante del supporto presidenziale è dovuta anche alle performance economiche registrate dal Paese, spesso soprannominato la Svizzera africana. Negli ultimi vent’anni, il Rwanda ha fatto segnare un incremento medio del Pil dell’8%, affermandosi come uno degli stati più in crescita a livello globale. Ha diversificato la propria economia, riuscendo a trarre profitti dall’esportazione di materie prime e di prodotti agricoli, dal turismo e dagli investimenti esteri. E la sua capitale, Kigali, è diventata un hub dello sviluppo tecnologico, oltre ad essere costantemente lodata per la propria efficienza.

I successi di Kagame non sono però dovuti soltanto alla sua capacità di guidare al meglio il Paese, ma anche all’utilizzo di diverse pratiche antidemocratiche. Nel 2015, il Presidente ha modificato la costituzione modificando il limite di mandati, in modo da poter continuare a ricoprire il proprio ruolo. E in occasione dell’ultimo voto presidenziale è stato sfidato soltanto da altri due candidati, Frank Habineza e Philippe Mpayimana, considerati membri dell’opposizione accettata dal regime. Ad altri esponenti, più critici verso Kagame, non è stata invece data la possibilità di candidarsi: sia Victoire Ingabire che Diane Rwigara sono state escluse dalla corsa alla presidenza, a causa di cavilli legali e burocratici.

In generale, il Rwanda è lontano dall’essere una democrazia libera e funzionante. Le libertà politiche dei suoi cittadini vengono continuamente limitate dal governo, così come la libertà di stampa. E il regime di Kagame si distingue per la dura repressione verso i propri oppositori, anche quelli che si sono rifugiati all’estero.

Kagame ha ringraziato gli elettori e ha sottolineato che il risultato “dimostra quanta fiducia avete in me, è la cosa più importante”. Grazie alla vittoria, potrà rimanere in carica per i prossimi 5 anni, fino al 2029.

In questo periodo, è probabile che il leader continui a cercare di trovare un posizionamento al Rwanda sullo scacchiere internazionale. Negli ultimi anni Kagame lo ha fatto cercando di affermarsi come un solido alleato dell’Occidente in Africa, ma anche dando un forte contributo in termini di soldati alle missioni internazionali attive nel continente.

 

 

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