Trump presidente: le reazioni in Africa
Complesso capire quali siano le reazioni in Africa, tra i capi di stato e le popolazioni. In attesa delle elezioni, gran parte dei Paesi subsahariani hanno preferito non esporsi - con l’eccezione del Sudafrica, convintamente pro Harris.
Le elezioni presidenziali negli Stati Uniti si sono concluse. E, a differenza di quanto si temeva alla vigilia, il risultato è stato chiaro sin da subito e non è stato necessario aspettare il conteggio di ogni voto negli stati in bilico. Donald Trump ha vinto nettamente e tornerà quindi alla Casa Bianca per un secondo mandato, dopo quello ricoperto tra il 2017 e il 2021.
Il voto americano è stato osservato con attenzione al di fuori degli Stati Uniti. Ed ora, in attesa dell’insediamento ufficiale che avverrà a gennaio, il resto del mondo ha già iniziato a riflettere su cosa significhi la rielezione del leader repubblicano. Interpretare il sentimento di alcune regioni e dei rispettivi leader politici non è difficile. Gran parte dell’Europa, ad esempio, confidava fortemente nell’elezione di Harris ed è preoccupata dal ritorno di Trump, che è visto come dannoso per l’economia locale e portatore di instabilità. A Mosca, al contrario, il secondo mandato del tycoon è salutato positivamente, così come in Argentina o in Israele.
Più complesso è invece capire quali siano le reazioni in Africa, tra i capi di stato e le popolazioni. In attesa delle elezioni, gran parte dei Paesi subsahariani hanno preferito non esporsi - con l’eccezione del Sudafrica, convintamente pro Harris. E le loro preferenze sono restate indecifrabili.
A prima vista, si potrebbe dare per certo che la rielezione di Trump rappresenti una pessima notizia per l’Africa. D’altronde, nel corso del suo primo mandato il Presidente americano è stato accusato spesso e da più parti di ignorare totalmente il continente. In quattro anni, Trump non si è mai recato sul suolo africano, ha lasciato vacanti numerose cariche di ambasciatore nel continente ed ha temporeggiato a lungo prima di definire una strategia per l’Africa, alla fine del 2018. Inoltre, la quasi totalità delle questioni relative alla regione subsahariana sono state gestite unicamente dal suo consigliere John Bolton. E le poche volte che Trump si è occupato di Africa lo ha fatto in maniera offensiva, parlando di “shithole countries”, o per disporre il divieto di ingresso negli Stati Uniti da Paesi a maggioranza musulmana come Somalia, Sudan e Libia.
Pur se estremo, però, l’approccio di Trump verso l’Africa è stato per molti versi simile a quello osservato in questi anni a Washington. Il disimpegno dal continente africano non è stato realizzato soltanto durante gli anni di Trump, anzi: è iniziato con Barack Obama, nonostante le aspettative, ed è continuato anche sotto l’amministrazione Biden. Anche in questo frangente, il sostanziale disinteresse è stato rappresentato dall’assenza dei presidenti sul suolo africano: l’ultimo a recarsi in Africa è stato Obama, nel 2015.
Paradossalmente, proprio Trump è stato il politico statunitense più apprezzato da numerosi stati. Per le autorità di Kenya, Nigeria ed altri Paesi questo è dipeso dal suo lato imprenditoriale, dalla possibilità di aumentare il commercio con Washington e ricavarne importanti benefici, ad esempio attraverso il programma “Prosper Africa”. Per altri, la risolutezza di Trump ha offerto l’opportunità di mettersi alle spalle questioni annose: il caso più lampante è quello degli Accordi di Abramo, utili a Marocco e Sudan per normalizzare i rapporti con Israele.
Anche tra la popolazione africana Trump gode di un certo supporto. In gran parte, questo dipende dal fatto che sia visto come un candidato che si oppone all’establishment. In questo modo, il tycoon non viene identificato come parte di quella classe politica che per anni ha sfruttato l’Africa e, anzi, viene sentito vicino da molti di coloro che vorrebbero un cambiamento radicale della politica africana. “Trump è una figura politica distruttiva, rappresenta un largo gruppo di cittadini che sente di non essere rappresentato dalle istituzioni e dai politici statunitensi. Molti africani vogliono a loro volta una distruzione dei propri sistemi politici - osserva su Foreign Policy Martin Kimani, ex ambasciatore del Kenya presso le Nazioni Unite - e in qualche modo le tendenze di Trump si adattano molto bene alla volontà della popolazione africana”.
Per spiegare il sostegno dato a Trump è fondamentale poi osservare il ruolo della Chiesa Evangelica. La sua influenza, ed in particolare quella del pentecostalismo, è in continua crescita in Africa. Mentre, dall’altra parte dell’Atlantico, il leader repubblicano rappresenta il principale portatore delle istanze evangeliche. “Molto del supporto di cui Trump gode viene dalle comunità evangeliche degli Stati Uniti, che sono profondamente legate a lui - sottolinea Kimani - e vari di questi gruppi hanno legami profondi con comunità cristiane presenti in Africa”.