Dal “nazionalismo difensivista” degli anni Novanta alle recenti vittorie di Istanbul e Ankara: strategie di un partito che cerca di erodere consensi all’AKP
L’elezione di Ekrem Imamoğlu a sindaco di Istanbul, avvenuta il 23 giugno scorso in seguito alla ripetizione delle elezioni amministrative del 31 marzo, ha aperto nuovamente il dibattito circa la possibile creazione di un’alternativa all’AKP che, seppur minato da scricchiolii interni derivanti dalle sconfitte di Ankara e di Istanbul, può ancora vantare un solido consenso.
Principale indiziato a cavalcare l’onda di un possibile cambio della guardia al vertice della Repubblica, il CHP (Cumhuriyet Halk Partisi) sembra aver trovato il suo nuovo alfiere nel neo-sindaco di Istanbul. Forte del 54% dei consensi ottenuti nell’ultima campagna elettorale, Imamoğlu si candida di diritto alla corsa presidenziale prevista per il 2023. Un’ambizione lecita e rilevabile, secondo molti analisti, dal tono enfatico utilizzato nel discorso di ringraziamento tenuto in seguito alla vittoria dell’elezioni municipali.
Ma quel che Imamoğlu ha definito “un nuovo inizio” per la città di Istanbul potrà allo stesso tempo rappresentare un nuovo corso per il CHP?
Nonostante il merito di aver permesso, sotto la guida di Mustafa Kemal Atatürk prima ed Ismet Inönü poi, la modernizzazione del Paese forgiandone la struttura repubblicana, negli anni del pluripartitismo il CHP non ha mancato di palesare limiti strutturali e ideologici che hanno finito, col tempo, per ridimensionarne il peso politico. Accanto alla difficoltà di assicurare il ricambio nella leadership, il CHP è stato spesso criticato anche per una posizione ideologica incapace di convogliare le esigenze della società turca e, pur battezzato da Inönü negli anni ’60 come una forza di “centro-sinistra”, ha sostenuto posizioni non sempre in linea con quelle dei suoi alter-ego europei. Un esempio di entrambi i limiti si rinviene nella lunga presidenza di Deniz Baykal (1993-2010), durante la quale il CHP seguì un “nazionalismo difensivista” che lo indusse a rifiutare ogni dialogo circa la possibilità di consentire l’utilizzo del velo nei pubblici uffici e ad adottare un approccio euroscettico. La non chiara collocazione ideologica e la presenza di uno strutturato partito di sinistra come il DSP (Demokratik Sol Parti), peraltro, fecero sì che alle elezioni politiche del 1999 il CHP non raggiungesse la soglia di sbarramento del 10% e, per la prima volta dalla costituzione della Repubblica, non fu dunque presente in Parlamento.
Memore di questo shock, quando ha ottenuto la presidenza del partito nel 2011 – dopo che uno scandalo sessuale aveva travolto Baykal costringendolo alle dimissioni – Kemal Kılıçdaroğlu ha avviato una seria opera di rinnovamento. Per ridurre la percezione di partito “elitario” e poco incline ad ascoltare le necessità del popolo, sono state introdotte le elezioni primarie in circa 173 distretti provinciali. Dal punto di vista ideologico, inoltre, ridimensionata l’originaria impronta kemalista a favore di posizioni “di centro”, si è registrata un’apertura su temi come l’utilizzo del velo in pubblico e la questione curda. Cambiamenti importanti ma che non hanno modificato l’approccio di base del partito. Ancora nel 2013, infatti, il deputato Birgül Ayman Güler ha dichiarato: “Noi (il CHP) non possiamo considerare il gruppo etnico curdo e la nazione turca sullo stesso livello.”
Nonostante le difficoltà a discostarsi da vecchi paradigmi, la linea promossa da Kılıçdaroğlu ha permesso al CHP nelle elezioni del 2011 di raggiungere il 25%, guadagnando circa 3,5 milioni di elettori rispetto alle precedenti elezioni del 2007 e di assestarsi stabilmente come il secondo partito del Paese. L’analisi del voto ha tuttavia evidenziato come il CHP non sia riuscito a penetrare nei gangli più disagiati della popolazione nè tantomeno a guadagnare consensi tra l’elettorato conservatore che ha sempre visto nel laicismo militante del CHP una strenua ostilità verso quelle tradizioni religiose che l’AKP, partito di Governo dal 2002, difende con vigore.
La volontà di ridurre le distanze col partito di maggioranza e di ampliare la base elettorale sembra essere anche all’origine della scelta di candidare Muharrem Ince alle elezioni presidenziali del 24 giugno 2018, nonostante la preferenza di Kemal Kılıçdaroğlu per la candidatura dell’ex Presidente della Repubblica Gül (peraltro, membro fondatore dell’AKP). Il cinquantaquattrenne Ince, che per il New York Times avrebbe potuto rovesciare Erdoğan, differisce totalmente dal tipico candidato del CHP sia per estrazione sociale – proveniente infatti da una famiglia contadina della provincia di Yalova – sia per il programma politico, incentrato sul motto Değistir (cambiamento) in ambito economico, con una specifica attenzione per il settore agricolo e il rafforzamento dell’economia di base, e propagandato con il sostegno della sorella del candidato, solita indossare il velo, per accattivarsi il pubblico conservatore. Un ulteriore elemento di distacco, infine, si è avuto nelle aperture verso le minoranze religiose, in primo luogo quella alevita, e nell’avvicinamento alla popolazione curda, culminato con la strategica visita in carcere al leader dell’HDP, Selahattin Demirtaş.
Nonostante l’esito finale non sia stato favorevole, la candidatura di Ince, che ha ottenuto il 30,6% dei voti, ha comunque superato di 8 punti percentuali quanto precedentemente raccolto dal CHP e può essere considerata un prodromo della vittoria di Ekrem Imamoğlu nelle elezioni municipali di Istanbul.
Nel solco di Ince, e similmente a quanto fatto anche per il neo-sindaco di Ankara Mansur Yavaş, per la Grande Municipalità di Istanbul si è scelto un candidato che esalta alcuni profili del tradizionalismo turco. Religioso, conoscitore del Corano, partecipe alla preghiera del venerdì, Ekrem Imamoğlu ha convogliato nel suo 54,03% anche i consensi dell’elettorato di centro-destra che non ha perdonato all’AKP la gestione della crisi economica e finanziaria che ha colpito il Paese nell’ultimo anno, e delle classi povere e disagiate che vedono nella battaglia alla povertà promessa in campagna elettorale una speranza di miglioramento esistenziale.
La scelta di candidati così lontani dal tradizionale bacino di riferimento del CHP deve essere osservata con attenzione. Essa indica, infatti, quanto la lunga era dell’AKP abbia influenzato il principale partito d’opposizione nella definizione sia dei candidati che del programma politico. Una modifica che ha interessato profondamente anche l’elettorato, rendendo così necessario individuare nuovi linguaggi e nuove modalità di proporsi in campagna elettorale. Resta però da comprendere se i consensi sin qui ottenuti saranno confermati nelle prossime tornate elettorali e se il CHP stesso sceglierà di procedere nel percorso sin qui tracciato. Già all’indomani della vittoria, Imamoğlu è infatti stato criticato proprio per non aver adeguatamente rappresentato il partito in campagna elettorale. La battaglia, tutta interna al CHP, per l’immagine futura del partito è dunque in corso e il suo esito, essenziale in vista delle prossime campagne elettorali, è ben difficile da prevedere.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di settembre/ottobre di eastwest.
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Dal “nazionalismo difensivista” degli anni Novanta alle recenti vittorie di Istanbul e Ankara: strategie di un partito che cerca di erodere consensi all’AKP