Coronavirus: la solidarietà dell’Europa comunitaria sta anche nei piccoli gesti. Tutti però aspettiamo le decisioni bazooka
Da quando è cominciata la crisi coronavirus, si sono moltiplicate le critiche alla sua gestione (o addirittura non gestione) da parte dell’Unione europea. Ho letto opinioni sprezzanti, messaggi e appelli pregiudizialmente ostili, spesso gratuiti. Mi è sembrato che si scrivesse per polemizzare e ingigantire gli aspetti negativi, mai per valorizzare quelli positivi, che quindi appaiono inesistenti.
Io, che vi scrivo da Parigi, ho provato a fare tesoro della mia posizione di italiana all’estero per raccogliere punti di vista diversi e un maggior numero di elementi fattuali possibili al fine di rispondere in modo scientifico e non ideologico a questa domanda: cosa ha fatto e prevede di fare l’Unione europea per gestire l’emergenza coronavirus?
La prima azione concreta dell’Unione europea è stata annunciata dalla Bce. Christine Lagarde ha affermato che “tempi straordinari richiedono un’azione straordinaria” e ha quindi deciso di stanziare 750 miliardi di euro per l’acquisto di titoli di Stato e di aziende private, per arginare quella che rischia di diventare una crisi economica pan-europea. La stessa Christine Lagarde, che un giorno prima aveva reso una dichiarazione costata miliardi di euro in borsa? Sì, lo so, è stata una grave leggerezza, ma nella gestione delle situazioni di crisi, soprattutto quelle che hanno origini sconosciute, difficile essere sempre ineccepibile. C’è chi ha interpretato la sua dichiarazione come una mossa contro il nostro Paese, ma credo che la gaffe che le è stata attribuita ha creato non pochi danni alla sua immagine ed escluderei quindi un’azione dolosa. Inoltre, ha cercato di rimediare prontamente con il PEPP.
Di cosa si tratta esattamente? Il PEPP, Pandemic emergency purchase program, durerà almeno fino alla fine dell’anno e consiste in oltre 60 miliardi di euro al mese, sui quali Stati e aziende possono contare per supportare il proprio debito in alternativa agli investitori. Il giorno successivo all’annuncio, le borse di tutta Europa tornano a registrare numeri positivi e la fiducia risale. Questa manovra prevede anche il contenimento della speculazione, portando il piano di acquisto di titoli pubblici e privati finanche oltre i 1000 miliardi di euro, se necessario (un whatever it takes 2). Sarà possibile, inoltre, derogare alla cosiddetta capital key, la regola che impone che gli acquisti della Bce debbano essere realizzati in base alla quota di capitale della banca detenuta da ciascun Paese. Quindi, gli acquisti da parte della Bce per l’Italia potranno andare ben oltre il 13,8%.
L’altro ente europeo sollecitato è il Mes, il Meccanismo europeo di stabilità, fondo finanziario europeo nato nel 2011, con l’obiettivo di garantire la stabilità finanziaria della zona euro. È un organo il cui ruolo spazia dalla concessione di prestiti alla ricapitalizzazione indiretta delle banche. Viene finanziato dagli Stati membri in base alla loro consistenza economica. La Germania contribuisce per il 27%, seguita dalla Francia (20%) e dall’Italia (18%), che versa dunque quasi la metà della Germania. L’ammontare massimo autorizzato è di 700 miliardi di euro, di cui 80 miliardi di euro vengono immediatamente e direttamente erogati da parte degli Stati, che sono chiamati a integrare solo in presenza di una necessità o di un’emergenza. Teniamo conto comunque che, dei restanti 620 miliardi di euro, il Mes può raccogliere sui mercati finanziari fino a 420 miliardi euro attraverso l’emissione di bond.
Questi bond si potrebbero quindi considerare i progenitori degli eurobondveri e propri, per i quali dovremmo però anche creare un’autorità fiscale dell’Unione. Quindi, perché non pensare di utilizzarli nel frattempo con uno scopo preciso? Le condizioni per la concessione di aiuti prevedono l’intervento in tre aree principali:
la riduzione di costi della pubblica amministrazione e il miglioramento della sua efficienza;
l’adozione di misure che stimolino la crescita;
il rafforzamento della supervisione bancaria.
Il 27 marzo scorso, il Consiglio europeo ha visto Francia, Italia e Spagna scontrarsi con la Germania sullo strumento da mettere in campo per affrontare la crisi Covid-19 e, in particolar modo, sulla presenza o meno di condizionalità alle risorse da stanziare.
Ci sono buone ragioni in entrambe le parti: da un lato, Francia, Italia e Spagna sottolineano come, essendo questa crisi un evento di forza maggiore, non ci debbano essere condizioni, che creerebbero ulteriori difficoltà ai Paesi che usufruiscono dell’aiuto; dall’altro, Germania, Olanda e Finlandia vorrebbero assicurarsi che questo contributo porti non solo a un aiuto una tantum, ma anche a un miglioramento strutturale della competitività di Paesi chiave dell’Unione. Ci vuole un negoziato che porti a un compromesso al rialzo e non al ribasso: perché non mettersi d’accordo su condizionalità accettabili? Certo, questo è il momento della fiducia e non delle condizioni. Dobbiamo però essere consapevoli che ci giochiamo un’importante chance e non che tutto ci spetti di diritto.
Se facciamo i conti, quindi, risulta che l’Europa comunitaria (Bce e presto Mes) sta dando i suoi frutti; mentre l’Europa intergovernativa (il Consiglio europeo) fatica. La formula del coordinamento virtuoso tra Paesi funziona in tempi di pace e ordinari, ma in tempi di crisi globale mostra sempre la corda, rischiando di trascinare nel baratro tutto l’impianto su cui si sta costruendo l’integrazione.
Vorrei aggiungere un’ultima parola sulla solidarietà europea, che in momenti tragici come questo, va identificata anche in piccoli gesti, come ribadito dal Presidente Macron nella sua intervista al Corriere della Sera: la settimana scorsa, la Francia spedisce 1 milione di mascherine e 20mila tute protettive in Italia; la Germania accoglie diversi pazienti dalla Francia e dal nord Italia e annuncia che spedirà 1 milione di mascherine in Italia questa settimana, malgrado l’epidemia stia scoppiando anche a casa loro. L’Austria spedisce 1,6 milioni di mascherine in Italia; e finanche la piccola Albania manda una troupe di 30 medici e infermieri a combattere il virus al fianco dell’Italia. Insomma, siamo una squadra.
L’alternativa con la quale ci ossessionano alcuni leader politici sovranisti, quindi, non è se fare da soli o insieme. Ma come fare insieme per fare meglio.
Nulla mi ha reso più fiera (e dispiaciuta al tempo stesso) di essere italiana, in questi giorni di grave crisi sanitaria e di migliaia di connazionali deceduti, ma anche di eroismi dei nostri medici e infermieri e di tanti episodi di solidarietà. Mi sono sentita però altrettanto fortunata a fare parte di una comunità più grande e più forte di noi Italiani da soli, con la quale siamo più grandi, più forti, più ascoltati.
Dobbiamo uscire tutti insieme da questa emergenza, dobbiamo adottare tutti insieme decisioni coraggiose, e dobbiamo fare presto. Il futuro non ci aspetta.
Da quando è cominciata la crisi coronavirus, si sono moltiplicate le critiche alla sua gestione (o addirittura non gestione) da parte dell’Unione europea. Ho letto opinioni sprezzanti, messaggi e appelli pregiudizialmente ostili, spesso gratuiti. Mi è sembrato che si scrivesse per polemizzare e ingigantire gli aspetti negativi, mai per valorizzare quelli positivi, che quindi appaiono inesistenti.
Io, che vi scrivo da Parigi, ho provato a fare tesoro della mia posizione di italiana all’estero per raccogliere punti di vista diversi e un maggior numero di elementi fattuali possibili al fine di rispondere in modo scientifico e non ideologico a questa domanda: cosa ha fatto e prevede di fare l’Unione europea per gestire l’emergenza coronavirus?
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