L’orgoglio svedese ha prodotto un esempio che funziona. Guardiamo tutti ai loro risultati, basati sul grande senso di responsabilità individuale
Le ultime settimane sono state teatro di un acceso dibattito sulle misure di allentamento del lockdown, in Italia come altrove. Le forze politiche si scontrano, tra la necessità di dare fiato all’economia in affanno, ma anche di salvaguardare la salute dei cittadini. In questo contesto, attira l’attenzione la Svezia, una nazione che ha scelto una via alternativa alla chiusura preventiva dettata dalle istituzioni.
Al contrario della gran parte degli altri stati, il Paese scandinavo non ha optato per misure di lockdown. La Public Health Authority locale, favorita dall’aver potuto prendere decisioni in una situazione non ancora di crisi e dopo aver assistito agli sviluppi del contagio in altri contesti, ha giustificato la scelta con la volontà di adottare un modello sostenibile nel lungo termine. Pertanto, le autorità si sono limitate a vietare incontri di più di cinquanta persone, chiudere i musei, richiedere a bar e ristoranti di garantire il distanziamento dei clienti, e poco altro.
La Svezia era stata etichettata da molti osservatori come il prossimo Paese che avrebbe dovuto pagare in vite umane lo scotto di non aver implementato tempestivamente politiche di lockdown. Eppure, almeno per il momento, queste drammatiche aspettative sono state fortunatamente disattese. Stoccolma, infatti, non ha sperimentato un’esplosione dei casi di coronavirus, o un sovraccarico del sistema sanitario, e il numero di nuovi decessi e di persone in terapia intensiva è rimasto sostanzialmente stabile nelle ultime tre settimane. Bisogna però analizzare la situazione più a fondo se si vuole evitare che il modello svedese, dopo essere stato frettolosamente giudicato destinato al fallimento, venga ora precocemente decretato di successo e applicabile altrove.
Il primo motivo della momentanea riuscita è il grande senso civico dimostrato da un gran numero di svedesi. È infatti sbagliato pensare che le ultime settimane di Stoccolma siano state all’insegna del “business as usual”. La popolazione ha preso molto sul serio le raccomandazioni del Governo sul distanziamento sociale. Inoltre, molti hanno deciso di evitare spostamenti non necessari e preso di propria sponte quelle precauzioni che in altri Paesi sono state imposte. Reazioni di carattere molto diverso da quello che, purtroppo, ha contraddistinto il comportamento di alcuni nostri concittadini, presi dall’irrefrenabile urgenza di usufruire delle seconde case.
La predisposizione svedese per il bene comune è stata rafforzata dal senso di orgoglio instillato in molti dalla specialità dell’esperimento. L’opinione pubblica svedese ha largamente appoggiato l’approccio atipico scelto dalle autorità e con spirito pionieristico si è per lo più stretta attorno al Governo. Ne ha giovato la popolarità del principale partito di maggioranza, il Partito socialdemocratico svedese del premier Löfven, che secondo i sondaggi ha visto accrescere il proprio consenso di sei punti percentuali dall’inizio della crisi a scapito dell’opposizione.
Il secondo fattore probabilmente decisivo è la composizione dei nuclei familiari. La Svezia ha una popolazione molto nutrita di individui che vivono da soli, specie rispetto a Stati come il nostro. Il Paese è ultimo tra i membri dell’OCSE per numero medio di componenti per nucleo familiare e si distingue in questo anche dai vicini scandinavi. È lecito assumere che questa caratteristica abbia rallentato la diffusione del virus, dato che le varie stime nazionali e internazionali hanno evidenziato come una larga porzione dei contagi avvenga proprio tra persone conviventi.
La coincidenza dei due fattori ha per ora consentito alla Svezia di potersi concedere misure soft senza compromettere la tenuta del sistema sanitario. L’adeguatezza delle scelte politiche non è però senza critici o punti interrogativi. In una lettera indirizzata a un importante giornale locale, ventidue esponenti della comunità scientifica svedese hanno recentemente chiesto misure più rigide e hanno accusato la Public Health Authority star mettendo a repentaglio la vita di molti, senza una vera ragione per farlo.
Seppure il numero di decessi al giorno sia rimasto stabile e ben al di sotto di quelli registrati nei Paesi più colpiti, le vittime svedesi sono comparativamente molti di più di quelli registrati in Danimarca e Norvegia. Queste ultime hanno adottato misure di lockdown moderato prima che il contagio prendesse piede nei loro territori e hanno pianto rispettivamente 82 e 39 vittime per milione di abitanti, contro le 262 della Svezia.
Oltretutto, nonostante non venga negato l’effetto psicologicamente più positivo dell’attuamento di misure leggere, l’approccio soft sembra non aver salvato l’economia da una pesante recessione. La leggerezza dei provvedimenti ha sicuramente aiutato settori come quelli della ristorazione e dell’ospitalità, ma il Paese pagherà il forte calo delle esportazioni. La Ministra delle Finanze Andersson ha annunciato che le stime suggeriscono una contrazione del Pil del 7% per il 2020, in linea con le previsioni nazionali degli gli altri Stati europei.
Infine, il sistema è minacciato dall’aumento degli spostamenti registrato nelle ultime due settimane. La tenuta del modello sembra infatti aver trasmesso un pericoloso senso di sicurezza, che potrebbe far venire meno la componente di responsabilità civica che ha contraddistinto la prima fase. Per esempio, la vita notturna ha ripreso a pulsare, con i giovani laureandi che si sono ritrovati a festeggiare nei bar della capitale. Löfven ha ammonito che “non è il tempo di rilassarsi”, con effetti ancora da valutare. Con la voglia di normalità che comincia a minare la precauzione indotta dal senso civico, il modello dovrà dimostrare di avere quella caratteristica per cui è stato scelto: la sostenibilità a lungo termine.
E dunque, complice l’orgoglio patriottico forse precoce suscitato dalla peculiarità dell’esperimento, non può che farsi strada l’ombra sinistra di una delle storie più famose del Paese scandinavo. Custodita in un museo dedicato nel centro di Stoccolma, giace una delle principali attrazioni della capitale: il bellissimo relitto del vascello seicentesco Vasa. La nave era stata fatta costruire dal sovrano di Svezia Gustavo Adolfo in persona per celebrare la potenza della sua flotta e, di conseguenza, del suo regno. Fu inaugurata con una cerimonia sfarzosa in presenza della nobiltà locale dell’epoca e prese il largo tra ali di folla festanti. Per poi capovolgersi e inabissarsi un chilometro e mezzo più in là, facilmente sbilanciata dal vento e dalle maree proprio a causa di quella sproporzionata e quasi tracotante altezza che avrebbe dovuto essere simbolo della supremazia svedese.
Mentre osserviamo gli sviluppi del fiero modello battente bandiera gialloblu, simbolo ormai internazionale di speranza in una convivenza più serena col virus, viene da chiedersi se anch’esso sia destinato a inabissarsi clamorosamente o, al contrario, a salpare celere verso acque più piacevoli e sicure. Solo il tempo potrà dirlo. Inutile specificare quale delle due eventualità noi, con tutto il cuore, ci auguriamo.
L’orgoglio svedese ha prodotto un esempio che funziona. Guardiamo tutti ai loro risultati, basati sul grande senso di responsabilità individuale
Le ultime settimane sono state teatro di un acceso dibattito sulle misure di allentamento del lockdown, in Italia come altrove. Le forze politiche si scontrano, tra la necessità di dare fiato all’economia in affanno, ma anche di salvaguardare la salute dei cittadini. In questo contesto, attira l’attenzione la Svezia, una nazione che ha scelto una via alternativa alla chiusura preventiva dettata dalle istituzioni.
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