La sconfitta degli Stati nazionali è netta, la prospettiva federale non è più un tabù, nemmeno a Berlino
La Commissione europea ha proposto finalmente questa settimana a Parlamento e Consiglio, che si devono ancora pronunciare, un piano economico “monstre” per uscire dall’emergenza Covid, intitolato “Next Generation EU”. Ai più di 500 miliardi già stanziati con varie finalità e ai quasi 2mila miliardi di acquisti di titoli a cui si è impegnata la Bce, si aggiungono dunque i 750 miliardi della proposta von der Leyen, di cui ben 500 a fondo perduto e 250 in prestiti. Di questi, la maggior parte andranno ai Paesi più colpiti dalla pandemia, in testa Italia (172 miliardi) e Spagna (140); queste cifre fanno ancora più impressione se paragonate ai soli 28 miliardi che spererebbero alla Germania.
Il nome di Next Generation, simbolico ed evocativo, risponde a una precisa decisione politica e strategica, che ha visto ancora una volta in campo due partiti, quello della sovranità nazionale contro quello della prospettiva federale. Negli ultimi anni, i primi si sono sempre aggiudicati i vari match disputati.
Oggi, per la prima volta nel decennio, l’Unione segna una netta vittoria per 2-0.
Come è potuto accadere?
Schematicamente:
il fronte nazionalista ha perso il proprio centravanti, il Regno Unito che, se fosse stato ancora dentro la Ue, avrebbe reso impossibile questa proposta;
la Germania, orfana dello scudo britannico, ha potuto ragionare più freddamente e fare due calcoli sulla prospettiva: quale competitività avrebbe avuto nel contesto globale una Germania senza il sostegno di un’Europa coesa, forte del più strutturato mercato di consumatori al mondo e con il più alto Pil? Nessuna! Sarebbe sparita di fronte ai giganti americano e cinese…
La pretesa dei 4 Paesi frugali (Svezia, Danimarca, Olanda e Austria) è risultata dunque irragionevole: continuare a insistere su una formula di aiuti basata sulle risorse nazionali avrebbe aumentato il divario tra Paesi economicamente solidi e Stati più indebitati, facendo venire meno uno dei capisaldi di un processo di progressiva integrazione, che è la capacità delle istituzioni centrali di un’Unione di Stati di garantire il trasferimento dal centro verso le periferie di risorse sufficienti a limitare i danni di crisi asimmetriche, figuriamoci se – come in questo caso – del tutto slegate da responsabilità di Governo. Ne sono testimonianza i primissimi provvedimenti presi a inizio crisi Covid, finalizzati solo a liberare risorse nazionali: Roma ha stanziato 25 miliardi, Berlino 500!
Questa decisione – facciamo attenzione – è destinata a segnare uno spartiacque, dal quale non si tornerà più indietro: parte significativa di queste risorse, infatti, non sarà il frutto di trasferimenti dagli Stati, ma di una nuova capacità fiscale, ancorata a un accresciuto bilancio comunitario.
I sovranisti del nord Europa si consolano sottolineando che si tratta di un provvedimento una tantum e legato a un evento specifico ed eccezionale. Ma la storia ci insegna che da queste decisioni non si torna più indietro, il Rubicone è stato attraversato: una nuova competenza fiscale dell’Unione europea prende forma in questi giorni, e consentirà alle future generazioni, appunto, di ritrovarsi tra le mani un’Europa più federale di quella di 6 mesi fa, grazie alla quale poter progettare un futuro più ambizioso. È importantissimo giocare bene anche gli ultimi minuti di questa partita…
La sconfitta degli Stati nazionali è netta, la prospettiva federale non è più un tabù, nemmeno a Berlino
La Commissione europea ha proposto finalmente questa settimana a Parlamento e Consiglio, che si devono ancora pronunciare, un piano economico “monstre” per uscire dall’emergenza Covid, intitolato “Next Generation EU”. Ai più di 500 miliardi già stanziati con varie finalità e ai quasi 2mila miliardi di acquisti di titoli a cui si è impegnata la Bce, si aggiungono dunque i 750 miliardi della proposta von der Leyen, di cui ben 500 a fondo perduto e 250 in prestiti. Di questi, la maggior parte andranno ai Paesi più colpiti dalla pandemia, in testa Italia (172 miliardi) e Spagna (140); queste cifre fanno ancora più impressione se paragonate ai soli 28 miliardi che spererebbero alla Germania.
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