Il caso Floyd ha messo in evidenza l’inadeguatezza del gigionismo di Donald a gestire crisi gravi, come la pandemia e le proteste violente anti-razzismo
Il caso Floyd ha messo in evidenza l’inadeguatezza del gigionismo di Donald a gestire crisi gravi, come la pandemia e le proteste violente anti-razzismo
Gli Stati Uniti sono entrati nel dodicesimo giorno consecutivo di proteste, dopo la morte del cittadino afro-americano George Floyd a Minneapolis, ucciso dal poliziotto Derek Chauvin.
Sabato, cortei pacifici composti di migliaia di persone hanno sfilato da una costa all’altra del Paese, da New York e Seattle, chiedendo giustizia, la fine della discriminazione contro la popolazione afro-americana e una riforma della polizia degli Stati Uniti.
Washington è stata teatro della manifestazione più importante. Qui, dalle prime ore del mattino di sabato, la polizia ha chiuso gran parte del traffico e il perimetro intorno alla Casa Bianca è stato militarizzato e circondato da barriere protettive. In totale, almeno 5mila, tra agenti e militari, hanno presidiato le strade.
Sulla piazza davanti al parco antistante la Casa Bianca è stata dipinta un’enorme scritta in giallo: “Black Lives Matter”.
Il Presidente Donald Trump, dopo aver twittato il suo motto “Law and order!”, ha voluto commentare in serata la manifestazione, sottolineando come l’affluenza fosse più bassa del previsto (come se il numero in piazza avesse qualche importanza rispetto alla complessità sociale, etica e politica della situazione) e ringraziando la Guardia Nazionale e la Polizia per il lavoro di contenimento.
Trump, oltre alle proteste di piazza, deve affrontare il dissenso di una parte del Pentagono (che ha chiesto ai membri della Guardia Nazionale schierati a Washington di non usare armi da fuoco, durante la manifestazione) e da alcuni esponenti del suo stesso partito. Tra i dissidenti, ci sono l’ex Presidente George W. Bush, suo fratello Jeb e il senatore Mitt Romney.
Intanto, due giorni fa, la Corte Suprema americana ha annunciato che rivedrà la dottrina della “qualified immunity”, che da quasi quarant’anni protegge gli agenti della polizia americana, mentre al Congresso è stata presentata una riforma di legge per abolire lo scudo legale che protegge i poliziotti dalle conseguenze civili di quello che fanno.
Come sempre, calcoli elettorali e formazione culturale si sovrappongono, ed è ben difficile affermare con certezza cosa prevalga nelle decisioni che vengono prese alla Casa Bianca. È comunque evidente che:
la comunità nera non ha votato e non voterebbe per Trump (mentre certamente fu determinante per l’elezione di Obama);
il Presidente ha sempre puntato sulla separazione netta degli elettori, contando sulla fedeltà e sulla partecipazione al voto della sua fetta di sostenitori. Lo show però è sembrato questa volta a tutti eccessivo, inducendo anche alcuni leader repubblicani a prenderne le distanze pubblicamente;
la frustrazione psicologica ed economica post-Covid ha esasperato le fasce più deboli del popolo Usa, che aveva dunque meno ragioni per sopportare l’ennesima clamorosa e gratuita ingiustizia;
il suprematismo bianco è parte della cultura di riferimento del trumpismo populista e sovranista, come dimostra la citazione razzista del tweet trumpiano sull’opportunità di sparare sui manifestanti;
gli ultimi sondaggi danno a Biden (senza aver sparato nemmeno un colpo!) un vantaggio tra i 6 e gli 11 punti percentuali, che danno la misura della incapacità percepita dai cittadini Usa del loro Presidente di gestire situazioni di alta drammaticità, come la pandemia o le proteste anti-razziste.
Gli Stati Uniti sono entrati nel dodicesimo giorno consecutivo di proteste, dopo la morte del cittadino afro-americano George Floyd a Minneapolis, ucciso dal poliziotto Derek Chauvin.
Sabato, cortei pacifici composti di migliaia di persone hanno sfilato da una costa all’altra del Paese, da New York e Seattle, chiedendo giustizia, la fine della discriminazione contro la popolazione afro-americana e una riforma della polizia degli Stati Uniti.
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