Un evento storico, che ha cambiato la politica estera e gli equilibri del Medio Oriente. Ad oggi, gli accordi hanno portato solo benefici, soprattutto di natura strategica
Un anno fa, il 15 settembre del 2020, nel giardino della Casa Bianca, dinanzi al Presidente americano Donald Trump, il Ministro degli Esteri del Bahrein Abdullatif Al Zayani e quello degli Emirati Arabi Uniti Abdullah bin Zayed, firmavano, con il premier israeliano Benjamin Netanyahu, l’accordo di normalizzazione dei loro Paesi poi conosciuto come Accordi di Abramo, dal nome del patriarca di entrambe le religioni.
Un evento storico, che ha comunque cambiato la politica estera e gli equilibri del Medio Oriente. E che è stato seguito poi da accordi di normalizzazione che Israele ha firmato con il Marocco poi e con il Sudan prima, anche se con questo Paese l’accordo non è ancora definitivo. Un evento centrale nella vita dell’area, che ha spostato non poco gli interessi strategici, politici ed economici di una zona da sempre martoriata da conflitti. Israele, che nel mondo arabo prima aveva rapporti solo con i vicini Giordania ed Egitto – rapporti ancora non proprio idilliaci e comunque ottenuti a seguito di feroci conflitti – per la prima volta stringeva patti con Paesi arabi importanti, soprattutto dal punto di vista economico oltre che strategico, in un’area di notevole interesse.
Non foss’altro che il Golfo racchiude ricchi giacimenti di idrocarburi e le mire anche del nemico storico e giurato di Israele, quell’Iran verso cui, comunque oggi, grazie a una dichiarazione del Ministero della Difesa Benny Gantz, si potrebbe fare un passo con un nuovo accordo sul nucleare. Dichiarazioni di Gantz che però non trovano il sostegno del suo Governo, nel quale è considerato una colomba verso i conflitti di Israele (nonostante il suo cruento passato militare).
È stato lui a incontrare dopo anni il Presidente dell’Autorità palestinese, anche se il suo premier, Naftali Bennett, ancora qualche giorno fa assicurava che non ci sarà mai alcuno Stato palestinese. Proprio gli abitanti della Cisgiordania sono quelli posti ai margini degli Accordi di Abramo. Sia perché non interpellati, sia perché la loro stessa amministrazione li ha messi ai margini. Tanto che hanno definito gli accordi “una pugnalata nella schiena”, anche se ad oggi hanno portato solo benefici. Scontati quelli di natura strategica: Israele si avvicina anche geograficamente, sempre di più ad aree che gli erano interdette e viene riconosciuto come entità. Ma soprattutto le ricadute di carattere economico sono notevoli.
Gli accordi commerciali e militari
Secondo i dati pubblicati dal Central Bureau of Statistics israeliano, il commercio di merci tra Israele e gli Emirati Arabi Uniti ha raggiunto circa 610 milioni di dollari da gennaio a luglio 2021. Israele ha esportato 210 milioni di dollari, e importato 400 milioni di dollari, con diamanti che rappresentano circa la metà di tutto il commercio. Questi numeri non includono le esportazioni di servizi hi-tech e militari, che costituiscono una quota significativa del commercio bilaterale. Secondo le proiezioni, quest’anno il commercio tra i due Paesi dovrebbe crescere a un miliardo di dollari e raggiungerne tre entro il prossimo triennio. Notevoli quindi le ricadute in tutti i settori, nonostante il periodo di pandemia e tutti i blocchi del caso.
Anche dal punto di vista militare, i due Paesi hanno stretto molti accordi, con gli Emirati che hanno acquistato diverse tecnologie israeliane. Con la perdita del premierato di Netanyahu e la caduta a Washington di Trump, il cui genero, Jarod Kushner, è stato tra i massimi fautori degli accordi, il progetto di espansione delle normalizzazioni è rallentato. L’amministrazione Biden pare non avere la stessa fretta di Trump e per ora non sta spingendo, cosa che avrebbe potuto portare a un accordo con il Sudan, ancora nella lista terroristica Usa. Ma è indubbio che Israele, come la regione tutta, abbia beneficiato della normalizzazione. Qualcuno, come il Marocco, anche per questi nuovi accordi, ha dovuto fare i conti con l’ostracismo di altri Paesi, come l’Algeria. Altri, come l’Arabia Saudita, sono alla finestra. Pare che il principe ereditario Mohammed bin Salman sia aperto a un accordo, cosa impensabile per suo padre che comunque è legato a una idea di panarabismo diversa, che ha sposato in toto la causa palestinese e l’anti-sionismo militante.
Dopotutto il regno dei Saud non vuole lasciare al Qatar posizioni di egemonia nel mondo arabo, anche se una normalizzazione con Israele potrebbe per loro significare mettere le mani, a spese della Giordania e degli interessi turchi, sul terzo luogo più sacro dell’Islam, la Spianata delle Moschee, dopo che controllano già i primi due. Per ora, politica e religione però sono in secondo piano e gli accordi che portano il nome dell’iracheno, partito da Ur Dei Caldei e stanziatosi nel regno di Cannaan e considerato il padre dei popoli ebraico e islamico, hanno rivelato per ora il loro carattere economico. Se anche questo può spingere a una pace duratura e a un benessere diffuso nell’area, allora anche il padre di Isacco e di Ismaele potrebbe essere contento che hanno dato il suo nome a questa nuova normalizzazione.
Un evento storico, che ha cambiato la politica estera e gli equilibri del Medio Oriente. Ad oggi, gli accordi hanno portato solo benefici, soprattutto di natura strategica
Un anno fa, il 15 settembre del 2020, nel giardino della Casa Bianca, dinanzi al Presidente americano Donald Trump, il Ministro degli Esteri del Bahrein Abdullatif Al Zayani e quello degli Emirati Arabi Uniti Abdullah bin Zayed, firmavano, con il premier israeliano Benjamin Netanyahu, l’accordo di normalizzazione dei loro Paesi poi conosciuto come Accordi di Abramo, dal nome del patriarca di entrambe le religioni.