PUNTI DI VISTA – Alla riscoperta dell’America
La grande affluenza al midterm, i volti e le forze nuove al Congresso hanno confermato la solidità del sistema Usa
La grande affluenza al midterm, i volti e le forze nuove al Congresso hanno confermato la solidità del sistema Usa
Il trionfo di Trump alle elezioni presidenziali americane, ormai vecchio di un paio d’anni, è stato in un certo senso la Caporetto dell’America, o per lo meno di quell’America che tutti noi avevamo conosciuta e amata, aperta, generosa, altruista e fedele a tutti quegli splendidi valori che anche noi condividevamo.
Gli Stati Uniti che ci siamo trovati a dover affrontare in questo primo termine del mandato di Mr President l’hanno al contrario configurata come una America chiusa, egoista, dimentica dei suoi valori e per molti versi aggressiva e imprevedibile. Nella sua ansia di imporre il proprio mantra “America first“, Trump non ha esitato a colpire anche chi più era prossimo al suo Paese, prendendosela persino con l’Unione Europea, colpevole ai suoi occhi di disporre di un potenziale che avrebbe potuto un giorno portarla a competere con gli Stati Uniti per il primato nel mondo.
Così facendo non soltanto egli ha distrutto buona parte di quanto i suoi predecessori avevano costruito dalla Prima Guerra mondiale in poi, ma ha altresì dilapidato un patrimonio di simpatia che i suoi successori peneranno notevolmente a ricostruire. Sempre poi che ci riescano!
Per fortuna anche oltre Oceano dopo Caporetto è venuto il Piave, e per molti versi queste elezioni Usa di midterm da poco concluse si sono configurate anche esse da un lato come la resistenza che si oppone con successo al definitivo dilagare della marea repubblicana mentre dall’altra hanno presentato alcuni aspetti che potrebbero annunciare la piena rinascita dei democratici. Ammesso, e non concesso che essi sappiano sfruttarli adeguatamente proseguendo sull’onda di un rinnovamento che è stato forte ma che rimane tuttavia ben lontano dall’essere completato.
In ogni caso le elezioni hanno comunque dimostrato quanto sia forte e ben progettato il sistema di pesi e contrappesi istituzionali di cui i padri costituenti hanno dotato la realtà americana.
La conquista della maggioranza nel Congresso da parte dell’opposizione ha creato infatti un argine sicuro a quello che era stato sino ad ora lo strapotere senza controllo del Presidente. Da ora in poi prima di muoversi Donald Trump sarà costretto ad elaborare proposte e soluzioni che possano risultare accettabili anche alla controparte. In questo modo la sua politica è destinata a perdere − o almeno questo è ciò che si spera! − buona parte della sua aggressività e virulenza.
Un’altra novità di questa tornata elettorale è consistita inoltre nel numero dei votanti, altissimo per un paese come gli Stati Uniti ove la percentuale di coloro che si recavano alle urne superava di rado il 40% degli aventi diritto.
Si tratta di un sintomo chiaro di come il popolo americano si sia reso conto dell’importanza del momento, nonché delle scelte ad esso connesse. In pari tempo poi esso è anche un’indicazione di un maggiore interesse, tradottosi poi in partecipazione, alla lotta politica in corso. Un indizio che fa ben sperare nel reale stato di salute di una democrazia americana che per molti versi negli ultimi anni era sembrata in rapido declino.
Sul Piave noi schierammo per la prima volta “i ragazzi del ’99”, una ventata di freschezza che aiutò a rinnovare mentalità, metodi e schemi rivelatisi troppo frusti per fronteggiare una realtà nuova. Di pari passo anche la tornata elettorale Usa di midterm ha visto entrare in linea forze nuove, o perlomeno componenti cui mai nel passato era stato concesso come ora uno spazio adeguato. In primo luogo le donne, poi le minoranze di ogni tipo, infine i giovani. Molti di loro sono risultati eletti ed è facile prevedere come la loro presenza non mancherà di innescare già dal prossimo futuro cambiamenti numerosi e sostanziali.
Come già accennato i democratici sono in ogni caso ancora ben lontani dalla definitiva vittoria.
Intanto il Senato rimane saldamente in mano repubblicana e, anche se ciò è un bene per il sistema di checks and balances del Paese, il fatto di sicuro costituirà nel contempo un forte ostacolo a qualsiasi orientamento in senso più liberale dell’azione americana.
Inoltre le elezioni hanno evidenziato come la base elettorale di Trump, quella classe medio bassa di bianchi spaventati dal cambiamento in generale, nonché da emigrazione, possibile perdita del lavoro e recessione in particolare, rimanga sostanzialmente intatta.
Bisognerà quindi che i democratici si diano notevolmente da fare per rassicurarli e conquistare il loro voto, se vogliono presentarsi con buone possibilità di successo a quella che, se le cose andranno bene, potrebbe rivelarsi la loro Battaglia di Vittorio Veneto, cioè alle prossime presidenziali americane.
In ciò potrebbero aiutarli gli eventuali risultati negativi di due prove difficili che Trump si troverà a dover affrontare nel prossimo futuro.
La prima consiste nel modo in cui il Presidente riuscirà a respingere, come ha promesso di fare, la carovana di latinos migranti che giunta ormai in Messico punta sulla frontiera meridionale degli Stati Uniti. Una durezza eccessiva, magari con alcuni morti, rischierebbe infatti di avere un impatto devastante sull’opinione pubblica nazionale e internazionale. Per contro a questo punto Donald Trump non può più tirarsi indietro: ha promesso. E se cambia idea perde la sua credibilità agli occhi del proprio elettorato.
A più lunga scadenza vi è poi la scommessa economica in corso. Sino ad ora i conti hanno dato ragione al Presidente e l’America ha visto crescere tenore di vita, salari e occupazione grazie alle sue decisioni. L’economia Usa presenta però elementi forti di debolezza che potrebbero da un giorno all’altro arrestare o addirittura ribaltare questo virtuoso processo. E allora? «È l’economia, stupido…», diceva il Presidente Clinton ad un candidato rivale nel corso di un dibattito televisivo rimasto famoso…
Infine non bisogna dimenticare le numerose alee di una politica estera in cui l’America di Trump sta forse danzando un po’ troppo sul filo.
Un quadro complessivo insomma in cui anche l’Unione Europea potrebbe far sentire utilmente la propria voce se fosse capace di muoversi in concorde unità di intenti. Altrimenti, come diceva un tempo il Segretario Usa per la Difesa Rumsfeld: «Either …or…you remain completely uninfluent» (libera traduzione : «Comunque sia, voi non contate nulla»).
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