Javier Milei ha rifiutato l’invito dei BRICS, chiudendo le porte a grandi opportunità dal punto di vista commerciale e finanziario nel pieno della crisi. Per molti si tratta di una decisione “ultra-ideologizzata”, che preoccupa in vista della più ampia politica estera argentina.
Il governo di Javier Milei ha comunicato ai membri fondatori dei BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) la decisione di rigettare l’invito a fare parte del gruppo presentato a Buenos Aires dopo il Summit di Johannesburg dell’agosto scorso. Lo ha fatto attraverso una lettera inviata negli ultimi giorni di dicembre ai presidenti Vladimir Putin, Xi Jinping e Lula da Silva, in cui sostiene che il governo “non ritiene opportuno” l’ingresso del paese come membro pieno.
L’Argentina è l’unico stato incluso nell’allargamento dei BRICS deciso a metà anno che ha rifiutato l’invito. Egitto, Iran, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita ed Etiopia sono invece passati formalmente a integrare il gruppo, che rappresenta ora il 45% della popolazione mondiale, il 28% del pil globale e produce il 44% del petrolio disponibile sulla terra.
Tutti gli analisti in Argentina convergono: si tratta di una decisione dettata esclusivamente da un pregiudizio ideologico, una visione anacronistica delle relazioni internazionali secondo la quale l’appartenenza ai BRICS occlude qualunque possibilità di stabilire relazioni fruttuose con l’Occidente.
Basta guardare la politica estera del Brasile, o la scelta dei BRICS di aprire a paesi schierati in modo così diverso sullo scenario geopolitico come Iran e Arabia Saudita, per rendersi conto che un ingresso al gruppo non significa la sottomissione ai piani di Mosca e Pechino. Lo stesso Segretario di Stato Usa, Anthony Blinken, ha chiarito che l’appartenenza ai BRICS non rappresenta in assoluto un impedimento per lo stabilimento di relazioni profonde d’intesa con Washington.
La decisione del governo Milei dunque ha generato forti perplessità a Buenos Aires – e non solo -, in molti casi considerata riprova del fatto che la politica estera del nuovo esecutivo sia per lo meno irregolare. Per controbilanciare il rifiuto ai BRICS, la ministra degli Esteri Diana Mondino ha annunciato che il paese aggiornerà tutte le pratiche per l’ingresso all’OSCE, procedura avviata nel 2016 e poi messa in sospeso a partire dalla crisi del debito scoppiata due anni più tardi.
Ma il rifiuto nei confronti dei BRICS per l’Argentina è comunque un colpo duro. Dal punto di vista economico, i dati sono molto eloquenti: nel 2023, Brasile Cina e India sono state tre delle principali destinazioni delle esportazioni argentine. Lo scambio commerciale di Buenos Aires coi cinque membri fondatori del BRICS ammonta a 62 miliardi di dollari l’anno, e rappresenta il 36% del commercio argentino col resto del mondo. 14 provincie argentine su 23, che rappresentano l’86% delle esportazioni del paese, mantengono come principale partner commerciale uno dei membri BRICS. Per un’economia che soffre da mezzo secolo un deficit cronico di dollari per l’importazione di beni e servizi poi, rigettare la possibilità di poter partecipare attivamente ad uno spazio che cerca esplicitamente di diversificare le regole del commercio globale promuovendo gli scambi internazionali in moneta locale, è quantomeno contraddittorio.
Questa decisione, Pechino lo ha già anticipato, comporterà costi alti anche sul piano del finanziamento. Schiacciata sotto il peso del debito, specialmente quello da 44 miliardi di dollari contratto col Fondo Monetario Internazionale nel 2018, ed esclusa dal mercato internazionale del credito, l’Argentina ha un bisogno imperioso di dare ossigeno ai propri conti con fonti di finanziamento alternative.
Milei sa che il durissimo “piano motosega” imposto a fine dicembre per azzerare il deficit fiscale non basta per risanare le casse dello stato. Nelle ultime settimane si è parlato molto della possibilità di un nuovo prestito da parte del FMI, supportato da un generoso esborso proveniente dal Golfo Persico, per rafforzare le riserve internazionali argentine e permettere il ritorno di Buenos Aires ai mercati internazionali nel breve termine.
L’ingresso nei BRICS avrebbe significato l’apertura per Buenos Aires della New Development Bank, istituzione finanziaria lanciata nel 2014 ma attiva solo dall’anno scorso, e presieduta da una vecchia conoscenza della politica argentina, l’ex presidente brasiliana Dilma Rousseff. Già nel 2023 il governo dell’ex presidente Alberto Fernandez aveva sondato la possibilità di un prestito da parte della NDB per pagare gli interessi del debito del Fmi, negato proprio perché l’Argentina non era parte dei BRICS. Sebbene le condizioni per il finanziamento siano state riviste dopo il Summit di Johannesburg, la decisione del governo Milei sembrerebbe chiudere definitivamente anche quella possibilità per l’economia argentina.
La decisione incide anche sulla già tesa relazione con un partner strategico come il Brasile, e col quale l’Argentina dovrà vedersela in moltissimi altri ambiti, dal Mercosur, la Celac, il G20, per non parlare dei profondissimi rapporti bilaterali in settori strategici come quello della produzione di automobili.
Per Lula, che insieme al governo indiano aveva mostrato poco entusiasmo per l’allargamento dei BRICS, l’ingresso di Buenos Aires avrebbe significato il potenziamento della partecipazione latinoamericana nel dibattito sul commercio internazionale, e allo stesso tempo la riaffermazione di Brasilia come leader indiscusso di quello stesso blocco. Il forfait argentino intacca anche la posizione brasiliana in questo aspetto chiave della politica estera del Partito dei Lavoratori.
Il rinnovato atlantismo del governo “libertario” però conta sulla crescita delle espressioni politiche simili nelle elezioni di quest’anno nel continente, specialmente nel Salvador – dove il presidente Nayib Bukele, noto simpatizzante di Milei sará presumibilmente rieletto a febbraio -, in Messico ma soprattutto negli Usa, dove il governo argentino punta al ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca e un ritorno delle tensioni sino-americane per profilare la propria posizione geopolitica.
Il governo di Javier Milei ha comunicato ai membri fondatori dei BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) la decisione di rigettare l’invito a fare parte del gruppo presentato a Buenos Aires dopo il Summit di Johannesburg dell’agosto scorso. Lo ha fatto attraverso una lettera inviata negli ultimi giorni di dicembre ai presidenti Vladimir Putin, Xi Jinping e Lula da Silva, in cui sostiene che il governo “non ritiene opportuno” l’ingresso del paese come membro pieno.
L’Argentina è l’unico stato incluso nell’allargamento dei BRICS deciso a metà anno che ha rifiutato l’invito. Egitto, Iran, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita ed Etiopia sono invece passati formalmente a integrare il gruppo, che rappresenta ora il 45% della popolazione mondiale, il 28% del pil globale e produce il 44% del petrolio disponibile sulla terra.