Washington, Pechino, Isole Cook, San Francisco: un mese intenso per il PM australiano. In ballo ci sono: l’aumento della tensione nel Mar Cinese Meridionale, la necessità di emanciparsi dal commercio con la Cina, l’aumento delle minacce cyber e problemi di politica interna.
Nell’ultimo mese il primo ministro australiano Anthony Albanese ha percorso migliaia di chilometri, avanti e indietro nel Pacifico, per compiere un tour diplomatico che lo ha portato prima negli Stati Uniti dal presidente americano Joe Biden, poi in Cina dall’omologo cinese Xi Jinping, alle Isole Cook per il Pacific Islands Forum e infine di nuovo negli Stati Uniti, a San Francisco, per il summit dell’Asia-Pacific Economic Cooperation (APEC).
Durante il suo tour, Albanese ha incontrato i due leader più potenti del mondo, nonché rispettivamente il primo partner strategico e il primo partner commerciale dell’Australia, i leader del Pacifico Meridionale, che l’Australia considera come membri di una grande “famiglia”, e i leaders dei principali partner commerciali.
Prima tappa: Washington (23-28 ottobre).
Albanese e Jodie Haydon, la sua compagna, sono stati ricevuti alla Casa Bianca da Joe e Jill Biden. Per l’occasione, il presidente ha organizzato non solo una cena a quattro con le rispettive compagne, ma anche una cena di stato con più di cento invitati, riservando ad Albanese un trattamento speciale, che quest’anno è toccato solo al presidente sudcoreano e al presidente indiano.
Nel corso della sua visita a Washington, Albanese ha fatto una serie di annunci di grande rilevanza relativi ad una più ampia cooperazione tra i due paesi nei settori dell’innovazione scientifica e tecnologica, della transizione verde, nonché nell’ambito della cybersecurity e dell’esplorazione spaziale.
In termini di finanziamenti, Albanese ha promesso un nuovo pacchetto di aiuti militari all’Ucraina per 20 milioni di dollari e ha annunciato un finanziamento di 2 miliardi al settore estrattivo, con l’obiettivo di consolidare la posizione australiana di leader nell’export di minerali critici, ovvero materie prime fondamentali nei settori del tech e della transizione verde che al momento dipendono ancora troppo dall’export cinese.
Inoltre, non meno importante, Albanese ha annunciato che il colosso americano Microsoft investirà 5 miliardi di dollari in Australia per finanziare nuove infrastrutture cloud e per creare infrastrutture per l’utilizzo dell’intelligenza artificiale. Inoltre, Microsoft collaborerà con l’Australian Signals Directorate (ASD) sul tema degli attacchi cyber, che, come constatato durante lo storico incontro di ottobre dei cinque leader delle agenzie di sicurezza dei Five Eyes, sono in forte aumento.
Scopo della visita era anche parlare al Congresso americano per convincere i più scettici sull’importanza di aumentare il budget americano per la difesa, come richiesto da Biden, per la costruzione di nuovi sottomarini. Ma il fermo ai lavori del Congresso a causa della sostituzione dello speaker McCarthy ha fatto saltare tutto. Eppure, con i lavori tornati a regime, sotto la guida del repubblicano Mike Johnson, è stato presentato un report in cui il Congresso fa sapere di non ritenere conveniente, almeno per il momento, fornire all’Australia sottomarini a propulsione nucleare già esistenti – in attesa di costruirne di nuovi – perché ciò diminuirebbe la deterrenza verso la Cina piuttosto che aumentarla.
Ad ogni modo, questa visita ha confermato l’importanza dell’Australia nel sistema di alleanze americano nell’Indo-Pacifico e, visto quando riportato dal portavoce per la Sicurezza Nazionale John Kirby, ha anche confermato che l’Indo-Pacifico rimane in cima alle priorità statunitensi
Prossima fermata: Cina (4-7 novembre).
Sette anni dopo l’ultima visita di un leader australiano, Albanese è volato in Cina su invito del primo ministro cinese Li Qiang per celebrare il cinquantesimo anniversario della visita del primo ministro laburista Gough Whitlam, che nel 1973 aprì la strada al riconoscimento formale della Repubblica Popolare Cinese e all’avvio di relazioni diplomatiche.
La visita di Albanese, oltre che celebrativa, ha anche un obiettivo ben preciso: ricucire i rapporti con Pechino dopo anni di tensioni e guerra commerciale. Sin dalla sua elezione, Albanese ha detto a più riprese di voler ricostruire le relazioni diplomatiche e “lavorare costruttivamente” con la Cina, in quanto attore decisamente non trascurabile nella regione. Durante questi 18 mesi di mandato, il governo ha lavorato con successo per eliminare alcune barriere doganali imposte negli ultimi anni e per riprendere incontri a livello ministeriale tra i due paesi.
La visita è iniziata a Shanghai, dove Albanese ha partecipato al China International Import Expo (CIIE), una grande fiera con più di 3400 espositori, che intende proporsi come piattaforma per la conclusione di nuovi accordi in tema di cooperazione economica, anche se, lamentano dall’estero, sono accordi spesso privi di sostanza.
L’apice della visita è stato senza dubbio l’incontro bilaterale con Xi Jinping a Pechino. I due hanno riconosciuto l’importanza di riprendere un dialogo, e Albanese si è dichiarato disponibile a cooperare “dove si può”, ma anche ad essere in disaccordo “dove necessario”. Stando a quanto si legge dai comunicati stampa, pare si sia parlato anche di questioni regionali e internazionali, tra cui probabilmente l’aumento della tensione nel Mar Cinese Meridionale. L’ incontro tra i due leader, con la promessa di rivedersi, è un ottimo segno per la ripresa di relazioni quantomeno cordiali, anche se un’apertura per ragioni commerciali non va certo confusa con una qualche forma di ambiguità strategica da parte australiana.
Prossima tappa: Rarotonga, Isole Cook (8-10 novembre)
Le Isole Cook, fresche di riconoscimento diplomatico da parte degli Stati Uniti, hanno ospitato il Pacific Islands Forum, il più importante forum politico del Pacifico Meridionale. I temi caldi sono stati principalmente due: ripensare al trattato di Rarotonga del 1985, che ha istituito una zona denuclearizzata nel Pacifico Meridionale, e discutere degli effetti disastrosi del cambiamento climatico.
Partendo dal secondo, non esiste regione al mondo che soffra le conseguenze del cambiamento climatico come il Pacifico Meridionale: i vari micro-stati rischiano di perdere larghe porzioni di territorio a causa dell’innalzamento del livello del mare, e pretendono, per prima dall’Australia, una maggiore attenzione al tema. Da questo punto di vista, il primo ministro Albanese ha fatto sapere che l’Australia non abbandona la sua “famiglia”: oltre ad annunciare un pacchetto di finanziamenti di circa 400 milioni, con un accordo storico – denominato Unione Falepili, che in tuvaluano indica buon vicinato e rispetto reciproco – l’Australia ha annunciato che accoglierà sul proprio territorio i cittadini di Tuvalu. Si tratta certamente di un gesto di solidarietà da parte dell’Australia, ma che nasconde anche una certa dose di opportunismo: in base all’accordo, il governo australiano avrà una sorta di potere di veto su eventuali accordi di sicurezza che Tuvalu vorrà stringere con altri paesi. Non è certo un mistero l’obiettivo di Albanese: allontanare la Cina dalla regione e riprendere il controllo sul suo storico “cortile di casa”. Per farlo, grazie all’azione della Ministra degli Esteri Penny Wong, l’Australia ha recuperato la retorica della “famiglia” e si è riscoperta attenta alle necessità dei suoi vicini.
Per quanto riguarda il primo tema, l’accordo firmato nel 1985, tutt’oggi in vigore, impone tra le altre cose la non-proliferazione nucleare sui territori degli stati contraenti. Alla luce della firma dell’accordo AUKUS sui sottomarini e il via libera dello scorso anno al dispiegamento di sei bombardieri nucleari americani B-52 nella base aerea Tindal nel Northern Territory australiano, è necessario rivedere i termini del trattato e “assicurarsi che rifletta le preoccupazioni di oggi, e non solo quello che è successo nel 1985”, come ha dichiarato Mark Brown, il primo ministro delle Isole Cook. Inoltre, delicata è anche la posizione delle Isole Marshall, che non sono parte del trattato, che denunciano da anni i 67 esperimenti nucleari americani effettuati tra il 1946 e il 1958, causa di un altissimo tasso di tumori nel paese. Di fronte all’indisponibilità americana a riconoscere un certo livello di responsabilità, le Marshall hanno risposto accettando le avances della Cina.
Obiettivo raggiunto dunque per Albanese: mostrandosi disponibile ad assumersi responsabilità in termini di sicurezza della regione, l’Australia si conferma punto di riferimento nel Pacifico Meridionale.
Ultima tappa: San Francisco (11–17 novembre)
Prima di rientrare a Canberra, Albanese è tornato negli Stati Uniti, a San Francisco, per partecipare al summit dell’APEC. L’attenzione di tutti è ricaduta sul bilaterale tra Biden e Xi Jinping, nella speranza che si trovasse un accordo per alleggerire le tensioni tra i due paesi, dando così sollievo agli alleati asiatici degli americani, Australia compresa, che sono fortemente dipendenti dal commercio con la Cina.
Nel corso dell’APEC Albanese ha ribadito l’interesse australiano nel preservare il commercio libero nell’Indo-Pacifico e garantire la sicurezza delle filiere. A margine, ha tenuto degli incontri bilaterali con il primo ministro giapponese Kishida, il primo ministro canadese Trudeau e il primo ministro thailandese Thavisin. In aggiunta, ha incontrato i leader dell’Indo-Pacific Economic Framework for Prosperity (IPEF), con cui ha firmato un accordo, nuovo nel suo genere, relativo a nuovi investimenti e maggiore coordinamento per assicurare la “resilienza delle catene di approvvigionamento”. A chiudere il cerchio, l’annuncio da parte dei leader dell’IPEF di un tavolo di dialogo sul tema dei minerali critici, di cui si è parlato sopra, a ulteriore conferma del fatto che si stanno cercando metodi alternativi per emanciparsi dall’importazione di materie prime cinesi.
Con il ritorno a Canberra, Albanese chiude un mese intenso, in cui ha dato prova di aver creato dei buoni rapporti personali, che si confermano utili nelle relazioni diplomatiche tra stati. Ma l’aumento della tensione nel Mar Cinese Meridionale, la necessità di emanciparsi al più presto da un certo tipo di commercio con la Cina, l’emergere di nuovi (e vecchi) conflitti, l’aumento delle minacce cyber, nonché immancabili grattacapi domestici, richiedono al primo ministro e al suo governo di tenere gli occhi ben aperti.
Nell’ultimo mese il primo ministro australiano Anthony Albanese ha percorso migliaia di chilometri, avanti e indietro nel Pacifico, per compiere un tour diplomatico che lo ha portato prima negli Stati Uniti dal presidente americano Joe Biden, poi in Cina dall’omologo cinese Xi Jinping, alle Isole Cook per il Pacific Islands Forum e infine di nuovo negli Stati Uniti, a San Francisco, per il summit dell’Asia-Pacific Economic Cooperation (APEC).