[ROMA] Si occupa di cooperazione allo sviluppo presso l’Istituto Affari Internazionali (IAI). È consulente presso la United Nations Conference on Trade and Development (UNCTAD).
Ue e Africa: insieme per riformare l’Oms
Continua a leggere l’articolo e tutti gli altri contenuti di eastwest e eastwest.eu.
Abbonati per un anno a tutti i contenuti
del sito e all’edizione cartacea + digitale della rivista di
geopolitica a € 45.
Se desideri solo l’accesso al sito e l’abbonamento alla rivista digitale, il costo
per un anno è € 20
Hai già un abbonamento PREMIUM oppure DIGITAL+WEB? Accedi al tuo account
Dopo anni di grande crisi e di sfiducia verso le istituzioni multilaterali, la pandemia ha evidenziato l’importanza di ri-accendere la cooperazione multilaterale partendo dalla salute. Le politiche protezioniste e nazionaliste hanno infatti fallito miseramente nel contrastare la diffusione di un virus che non conosce barriere e confini. L’Unione europea ha giocato e deve giocare un ruolo sempre più da leader in questo processo, realizzando una partnership solida e “tra eguali” con i Paesi africani. Questo è fondamentale per contrastare le sfide presenti, ma soprattutto per prepararsi a quelle future. La cooperazione tra Ue e Africa è essenziale per riformare l’attuale governance sanitaria globale, inclusa l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e per dare piena attuazione all’approccio One Health, che sottolinea la strettissima connessione tra salute degli umani, degli animali e dell’ambiente.
I Paesi africani hanno dato prova di grande solidarietà nell’identificare un approccio comune per contrastare la diffusione del virus. Ad esempio l’Africa Centre for Disease Control and Prevention è stato importante per coordinare la risposta africana alla pandemia, costituendo un Covid-19 response fund e lanciando l’Africa Medical Supplies Platform volta ad assicurare la distribuzione di milioni di dosi di vaccino per il continente. I paesi africani hanno avuto accesso ai vaccini attraverso accordi bilaterali, sfruttando il meccanismo multilaterale Covax − un’iniziativa globale con lo scopo di ridurre i rischi per i produttori farmaceutici e garantire un accesso sicuro ai vaccini per i Paesi partecipanti, in particolare in Africa − e infine tramite l’African Vaccine Acquisition Task Team (AVATT) lanciato dall’Unione africana.
L’Ue è stata uno dei primi e più importanti sostenitori del meccanismo Covax e si è anche impegnata nel garantire risorse attraverso la Banca europea per gli investimenti e la Commissione europea. Nonostante questi sforzi abbiano consentito a molti paesi africani di iniziare le campagne di vaccinazione, il nazionalismo dei vaccini ha acuito le distanze tra paesi ricchi e poveri. Covax per esempio ha dovuto subire un taglio nelle forniture di circa 150 milioni di dosi per il 2021 e ciò significa che sarà possibile immunizzare meno del 20% della popolazione africana entro la fine dell’anno, molto al di sotto dell’obiettivo del 40% indicato alcuni mesi fa. All’inizio di ottobre meno del 7% della popolazione africana aveva ricevuto almeno una dose di vaccino, rispetto al 63% registrato in Sudamerica, il 57% in Europa o il 52% in Asia.
In questo contesto, il mix tra i problemi nelle forniture da parte delle case farmaceutiche, i blocchi alle esportazioni attuati da Paesi esportatori come l’India, uniti agli acquisti bilaterali dei Paesi più ricchi (europei inclusi), e ai problemi di finanziamento di Covax ha quindi minato il raggiungimento degli obiettivi prefissati.
Se nel breve periodo è fondamentale garantire un accesso equo ai vaccini anche per i Paesi africani, per esempio attraverso la donazione di dosi in surplus da parte dei Paesi più ricchi, esistono una serie di problematiche strutturali che devono essere affrontate per garantire una effettiva capacità africana di fronteggiare crisi sanitarie attuali e future.
Problemi strutturali interni
In primo luogo, è essenziale creare una capacità bio-manifatturiera locale. Attualmente i Paesi africani sono in grado di produrre solo l’1% dei vaccini sul loro continente ed è quindi fondamentale investire risorse per ridurre questa dipendenza e preparare le strutture pubbliche africane a rispondere a crisi sanitarie presenti (pensiamo alla gestione di fenomeni endemici come la malaria, l’Aids o la tubercolosi) e future. Attualmente solo 5 Paesi sono in grado di produrre vaccini, anche se in molti casi le industrie locali sono coinvolte solo in alcune fasi del ciclo produttivo come il packaging. Occorre investire in trasferimento tecnologico per sviluppare capacità bio-manifatturiere in Africa e per farlo l’Ue dovrebbe costruire un consenso condiviso a livello di organizzazioni internazionali come il World Trade Organization (Wto) per sospendere i brevetti e i diritti di proprietà intellettuale sui vaccini contro il Covid-19, trasferendo le tecnologie adeguate a chi non ne ha ancora accesso. Sviluppare una capacità bio-manifatturiera africana è il modo migliore per “aiutarli a casa loro”, riducendo le distanze tra produttori e fruitori, e di conseguenza anche i costi di trasporto, oltre che generare nuove opportunità di lavoro.
In secondo luogo, occorre garantire un accesso equo alle materie prime e altri equipaggiamenti fondamentali per garantire la complessa catena d’approvvigionamento e la distribuzione locale e globale dei vaccini. In tal senso, l’Ue e l’Unione africana dovrebbero lavorare in partnership per creare dei meccanismi di controllo che impediscano ai singoli Paesi produttori di imporre controlli o divieti sulle esportazioni, tali da causare gravi ritardi nella distribuzione dei vaccini.
In terzo luogo, l’Ue dovrebbe lavorare in sinergia con le autorità africane per dare finalmente vita a dei meccanismi regolatori transnazionali africani come la African Medicine Authority, prevista da un accordo siglato già nel lontano 2014 ma che fatica a prendere forma a causa della mancata ratifica del trattato da parte di un numero sufficiente di stati. L’Ama (come fa l’Ema in Europa) ricoprirebbe un ruolo chiave per garantire non solo standard elevati di produzione, ma anche per evitare fenomeni molto diffusi in Africa come la contraffazione dei farmaci, riducendo al contempo le incertezze per gli operatori privati che vogliono investire nel settore bio-manifatturiero.
In quarto luogo, l’Ue dovrebbe sostenere gli sforzi dell’Unione africana investendo in ricerca e sviluppo locale per aumentare la resilienza ed auto-sufficienza del Continente. Tra questi, l’obiettivo ambizioso lanciato dall’Unione africana di realizzare entro il 2035 ben 5 nuovi centri di ricerca per produrre vaccini localmente anche quelli con tecnologia a Rna messaggero.
La collaborazione con l’Ue
Infine, l’Ue e l’Africa dovrebbero lavorare insieme per riformare l’Oms e aumentare le capacità di monitorare, gestire e comunicare future crisi sanitarie, stimolando le attività di ricerca e sviluppo per identificare patogeni futuri, soprattutto di origine zoonotica. L’Ue e l’Unione Africana hanno già co-promosso una risoluzione presso la World Health Assembly nel maggio 2020 in questo senso, affermando l’importanza della solidarietà e della cooperazione multilaterale come risposta alla pandemia, dando priorità all’accesso globale a vaccini oltre che test a costi accessibili.
L’Ue può e deve imparare molto dall’esperienza africana nella gestione delle zoonosi e deve iniziare a guardare alla cooperazione multilaterale sulla salute come un’opportunità senza precedenti per rafforzare le sue politiche di cooperazione allo sviluppo, riconoscendo l’accesso alla salute come un bene pubblico globale. Promuovere una cooperazione multilaterale efficace sui temi della salute che vada oltre la sola distribuzione dei vaccini rappresenta un’opportunità storica per l’Ue per rinsaldare i suoi rapporti con l’Africa e ricostruire la fiducia duramente colpita dalla decisione di ritardare di diversi mesi il summit Ue-Unione africana che si terrà a febbraio 2022.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di novembre/dicembre di eastwest.