Bce, Christine Lagarde è con le spalle al muro ma ci salverà dal virus. Con la sua cautela, la Banca centrale europea tiene la barra dritta. Malgrado la Corte costituzionale tedesca
Bce, Christine Lagarde è con le spalle al muro ma ci salverà dal virus. Con la sua cautela, la Banca centrale europea tiene la barra dritta. Malgrado la Corte costituzionale tedesca
La Bce ha attirato molte critiche per la risposta iniziale alla crisi economica scoppiata con la pandemia del nuovo coronavirus. Il Presidente Christine Lagarde e i suoi colleghi del Consiglio direttivo si sono ritrovati in balia degli eventi: nessuno aveva mai sperimentato le conseguenze economiche di una pandemia globale e pochi avevano un’idea di cosa aspettarsi. Tra il 12 e il 18 marzo la portata della crisi si è resa evidente e Lagarde e il Consiglio direttivo hanno subito cambiato tattica, introducendo misure senza precedenti al fine di attenuare l’impatto economico della pandemia. In data 30 aprile era già evidente che il Consiglio direttivo avrebbe dovuto fare di più, anche se quanto di più resta da chiarire.
Appare sempre più chiaro, con l’avanzare della crisi, che Lagarde e la sua squadra si trovano con le spalle al muro: ci si aspetta che raggiungano un obiettivo senza disporre degli strumenti per riuscirci; non hanno ricevuto garanzie di sostegno adeguato da parte delle altre istituzioni europee o dei Governi degli Stati membri, né possono ammettere la sconfitta e condividere la responsabilità politica di un eventuale fallimento. Pertanto il Consiglio direttivo non può che improvvisare con gli strumenti politici a sua disposizione, anche con iniziative che rischiano di esulare dalle competenze della Bce e di attirare un’attenzione politica che l’istituzione non è programmata per gestire.
La Bce è unica tra le banche centrali perché è stata creata da un trattato internazionale senza essere dotata di una autorità politica di riferimento a cui rispondere. Il Consiglio europeo ha assegnato alla Bce il compito di garantire la stabilità dei prezzi attraverso il trattato sull’Ue e lo “statuto” che lo accompagna. Inoltre ha fissato chiari principi che la Bce non deve violare nell’esercizio del suo mandato. I più importanti sono il divieto di finanziare direttamente i Governi e l’ingiunzione di non raccogliere linee politiche dettate da altre istituzioni europee o dai singoli Stati.
Naturalmente la Bce continua ad acquistare debito pubblico: sarebbe impossibile condurre una politica monetaria senza un portafoglio di attività e di garanzie collaterali. I titoli di Stato sono le migliori attività che la Bce possa utilizzare per cercare di influenzare i mercati. Inoltre, la Bce comunica spesso con altre istituzioni Ue e con i Governi nazionali. La politica monetaria, infatti, è solo una parte del più ampio repertorio di strumenti volti alla stabilizzazione della performance macroeconomica, e il Consiglio Ue ha chiarito che la Bce deve sostenere il perseguimento degli obiettivi economici più ampi dell’Ue. La comunicazione è essenziale per il coordinamento. Comunicare per coordinare le politiche non equivale ad accettare una linea di indirizzo politico.
Inizialmente il Consiglio europeo aveva concepito questi principi come “privilegi” o garanzie di autonomia, perché esoneravano la Bce dall’obbligo di sottoscrivere la politica fiscale europea e la tutelavano da altre forme di interferenza politica. Durante l’ultima crisi economica e finanziaria, tuttavia, questi “privilegi” della Bce – la possibilità di concentrarsi strettamente sulla politica monetaria e la sua indipendenza politica – si sono rivelati dei limiti. Il Consiglio direttivo, infatti, non poteva assolvere il suo mandato senza impegnarsi in attività molto simili al finanziamento diretto dei Governi, né poteva richiedere a un’autorità politica superiore l’autorizzazione a modificare le condizioni previste per l’acquisto del debito pubblico.
Durante l’ultima crisi, ogni volta che la Bce si è trovata di fronte a un’incompatibilità tra il proprio mandato e i principi che regolano le finanze pubbliche, il Consiglio direttivo si è spaccato tra chi non voleva che la Bce tradisse i propri principi e chi non voleva che venisse meno all’esercizio del proprio mandato. Quando l’allora Presidente Mario Draghi promise di fare “tutto il necessario”, dovette puntualizzare che tale azione si sarebbe svolta nell’ambito del mandato della Bce. La Bce di Draghi, oltre ad attirare le critiche della politica per questo difficile equilibrismo, si è anche trovata ad affrontare denunce per comportamenti illeciti dinanzi alla Corte costituzionale tedesca.
Il successo materiale ottenuto da Draghi con il suo impegno non è servito a risolvere il conflitto in seno al Consiglio direttivo o alla Bce. Al contrario, quanto più la Bce è riuscita a stabilizzare la performance economica europea, tanto meno le altre istituzioni o i Governi si sono fatti carico di riforme impopolari o di costruire strutture per gestire una grave crisi economica. Non che questi attori politici si siano seduti sugli allori: bisogna riconoscere che hanno apportato miglioramenti sia nella regolamentazione dei mercati finanziari europei sia nel coordinamento delle politiche economiche nazionali. Hanno inoltre compiuto notevoli progressi (disomogenei) nel consolidamento delle finanze pubbliche e nel rafforzamento delle istituzioni finanziarie.
Tuttavia, la tensione del ruolo della Bce resta invariata, e la nuova crisi economica legata al coronavirus l’ha portata in superficie. Durante la conferenza stampa sulla politica monetaria del 12 marzo Lagarde ha cercato il giusto equilibrio tra l’assolvimento del mandato della Bce e i principi che vincolano il Consiglio direttivo. Ha affermato la volontà della Bce di impiegare ogni strumento a sua disposizione, ma ha anche suggerito che “altri attori” sono responsabili della stabilizzazione dei mercati del debito pubblico. Lagarde ha inoltre spronato i Governi e le altre istituzioni europee a unirsi in uno “sforzo collettivo”.
La posizione espressa da Lagarde in quella conferenza stampa non era sbagliata in teoria. Illustrava la situazione difficile della Bce. Un aspetto forse sfuggito all’analisi di Lagarde era la velocità con cui gli operatori di mercato avrebbero previsto che gli “altri attori” si sarebbero sottratti alle loro responsabilità, passando la patata bollente alla Bce. Dal momento che i mercati si muovono molto più velocemente della politica, non appena Lagarde ha parlato, i mercati hanno reagito.
Alla luce delle turbolenze che hanno investito i mercati, Lagarde e il suo team hanno deciso di intervenire in modo più aggressivo. Di conseguenza la Bce si trova ancora più esposta all’accusa di infrangere i principi della politica monetaria europea e di non assolvere il proprio mandato di salvaguardare la stabilità dei prezzi.
Purtroppo, dato il successo apparente dell’intervento della Bce in seguito al 18 marzo, è improbabile che subentrino altri attori. Eppure il successo della Bce è solo parziale, e il divario tra ciò che può fare e ciò che è necessario ai fini di una stabilizzazione dell’economia europea potrebbe ampliarsi. Tutti riconoscono che le conseguenze economiche del nuovo coronavirus sono diverse da quelle di qualsiasi shock l’Europa abbia subito in precedenza. I membri della comunità politica stanno rispondendo in modo più rapido e deciso di quanto non abbiano mai fatto in passato, assistiti, indubbiamente, dagli enti per la regolamentazione dei mercati finanziari e il coordinamento della politica macroeconomica istituiti nel frattempo.
Per quanto decisi questi policymaker europei, sarà difficile farsi valere contro potenti gruppi d’interessi nazionali o impegnarsi in lotte politiche per forgiare una risposta comune che alleggerisca il carico della Bce. Molti di loro sostengono principi forti, quali la salvaguardia della sovranità nazionale o il rifiuto del moral hazard, e non sarebbero disposti a violarli in nome di un’azione politica più “efficace”.
I policymaker europei lasciano la Bce in una situazione sempre più difficile: essa può adempiere al proprio mandato solo infrangendo i principi del finanziamento monetario. Il Consiglio direttivo della Bce non è un attore politico: con un mandato specifico lavora per conto del Consiglio europeo e degli Stati membri dell’unione monetaria, ma non può richiedere autorizzazioni speciali per le sue attività.
Il tentativo di imporre limiti alla Bce è emerso chiaramente dopo la recente sentenza emessa dalla Corte costituzionale tedesca sull’operato di Mario Draghi allorché ha varato il cosiddetto “Quantitative Easing”, nel 2015. La Corte ha risposto duramente, rivendicando la sua indipendenza, con specifico riferimento al Public Sector Purchase Program, ovvero il programma con cui la Bce stessa si è impegnata ad acquistare titoli di Stato dai Paesi in difficoltà.
La corte di Karlsruhe pretende che la Bce dimostri sempre che le sue azioni siano “proporzionali” e non si traducano nel finanziamento monetario dei bilanci pubblici di uno o più Paesi dell’Unione monetaria. È dubbio che tale pronuncia sia applicabile alla crisi pandemica in corso, dal momento che sembra presupporre responsabilità nell’azione dei singoli Stati, del tutto da escludere in questo contesto di crisi sanitaria.
Tenendo conto del duplice vincolo del divieto di finanziamento monetario e dell’autonomia politica della Bce, il Consiglio direttivo deve trovare un proprio equilibrio, economico e politico. E deve farlo in risposta a una crisi economica senza precedenti. Il timore è che crolli sotto il peso delle proprie contraddizioni interne. Se così fosse, l’Europa intera ne risentirebbe.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di giugno/luglio di eastwest.
La Bce ha attirato molte critiche per la risposta iniziale alla crisi economica scoppiata con la pandemia del nuovo coronavirus. Il Presidente Christine Lagarde e i suoi colleghi del Consiglio direttivo si sono ritrovati in balia degli eventi: nessuno aveva mai sperimentato le conseguenze economiche di una pandemia globale e pochi avevano un’idea di cosa aspettarsi. Tra il 12 e il 18 marzo la portata della crisi si è resa evidente e Lagarde e il Consiglio direttivo hanno subito cambiato tattica, introducendo misure senza precedenti al fine di attenuare l’impatto economico della pandemia. In data 30 aprile era già evidente che il Consiglio direttivo avrebbe dovuto fare di più, anche se quanto di più resta da chiarire.
Appare sempre più chiaro, con l’avanzare della crisi, che Lagarde e la sua squadra si trovano con le spalle al muro: ci si aspetta che raggiungano un obiettivo senza disporre degli strumenti per riuscirci; non hanno ricevuto garanzie di sostegno adeguato da parte delle altre istituzioni europee o dei Governi degli Stati membri, né possono ammettere la sconfitta e condividere la responsabilità politica di un eventuale fallimento. Pertanto il Consiglio direttivo non può che improvvisare con gli strumenti politici a sua disposizione, anche con iniziative che rischiano di esulare dalle competenze della Bce e di attirare un’attenzione politica che l’istituzione non è programmata per gestire.
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