Il blocco dei porti ucraini e la possibile crisi alimentare

Con la guerra in Ucraina la maggior parte dei porti sono stati chiusi, con gravi ricadute sulle esportazioni. Milioni di tonnellate di grano e mais sono in attesa di essere spedite in tutto il mondo. Il World Food Programme avverte del rischio carestia

di Ilaria Bertocchini 16 Maggio 2022

Blocco dei porti ucraini — Una donna di 66 anni siede nel suo cortile dopo che una bomba è esplosa fuori dalla sua fattoria danneggiando gravemente la sua casa, nel villaggio di Yakovlivka fuori Kharkiv, Ucraina, 2 aprile 2022. REUTERS/Thomas Peter

Ilaria Bertocchini
Laureata in Governo e Politiche alla LUISS e con un Master in Politics of the Middle East presso la School of Oriental and African Studies (SOAS) di Londra. Si occupa di relazioni internazionali con focus sui diritti umani nell'area Medio Oriente e Nord Africa.

La guerra tra Russia e Ucraina si sta combattendo nelle ampie pianure che separano i due Paesi. Proprio su quei territori dedicati all’agricoltura di grano del quale Kiev è uno tra i maggiori esportatori al mondo. La guerra militare si è spostata però anche sul mare, nei porti, obiettivi sensibili e per questo tra i primi luoghi bombardati. Lì le materie prime sono solitamente imbarcate per essere distribuite in tutto il mondo. Dalle coste ucraine, però, dal 24 febbraio le navi non salpano più. I porti chiusi impediscono alle materie prime di lasciare il Mar Nero. Nessuna via d’uscita via mare, da Mariupol a Chornomorsk e Odessa, il porto più grande del Paese, che nel 2021 ha visto transitare 675 mila Teu (le unità standard del trasporto marittimo).

Il blocco della maggior parte dei porti ucraini sul Mar Nero ha quindi delle gravi conseguenze sull’approvvigionamento di grano e altre materie prime in altre parti del mondo. La situazione è particolarmente grave a Odessa, il più grande e importante porto ucraino sul Mar Nero, dove si stima che milioni di tonnellate di grano e mais siano stipate in attesa di essere spedite in tutto il mondo. Come annunciato qualche giorno fa da David Beasley, Direttore Esecutivo del World Food Programme (WFP), il rischio è una carestia, con un impatto ancora più disastroso nei Paesi che vivono già una grave crisi umanitaria. Basta pensare infatti che, negli otto mesi precedenti l’inizio della guerra, le oltre 50 milioni di tonnellate di grano transitate attraverso questi porti sono servite a sfamare circa 400 milioni di persone. Mentre i silos di grano rimangono pieni, secondo il WFP, 44 milioni di persone a livello globale stanno andando verso la fame, con l’aumento più consistente di questo dato nell’Africa sub-sahariana.

Tra le conseguenze più immediate e tangibili causate dalla guerra e dal blocco dei porti vi è l’aumento dei prezzi delle materie prime alimentari ben al di sopra dei livelli record raggiunti all’inizio dell’anno. A marzo, i prezzi delle esportazioni di grano e mais sono aumentati rispettivamente del 22% e del 20%, oltre ai forti aumenti del 2021 e dell’inizio del 2022. Una situazione che riguarda tutti i Paesi, e si aggiunge alle forniture mondiali che già scarseggiavano a causa della siccità che ha colpito la produzione di grano nel Nord America. Tra gli Stati più toccati dall’aumento dei prezzi vi sono sicuramente quelli dell’area Mena, come il Libano, l’Egitto e la Siria, che dipendono molto dalle esportazioni estere di questa materia a prezzi accessibili. Anche gli allevatori europei hanno però una forte dipendenza dall’Ucraina per il mais e altri additivi per l’alimentazione degli animali.

Questa situazione minaccia inoltre gli aiuti umanitari. Secondo quanto dichiarato dal WFP, l’impennata dei prezzi di cibo e carburante ha fatto lievitare i costi operativi fino a 71 milioni di dollari al mese, somma equivalente a fornire una razione giornaliera a quasi quattro milioni di persone per un mese. Questo compromette così la capacità dell’agenzia Onu e di altre realtà del settore di rispondere alle crisi di fame in tutto il mondo. La situazione diventa ancora più drammatica se si pensa che alcune delle aree di intervento sono già colpite dalla carestia, come l’Afghanistan, lo Yemen e l’Etiopia.

A denunciare questa situazione non solo le organizzazioni umanitarie, ma anche alcuni leader. Primo tra tutti il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky, che ha descritto la drammatica situazione dei porti del Paese, paragonando il blocco di Odessa alla medesima situazione vissuta durante la Seconda guerra mondiale, quando nel porto non transitava alcuna nave. Dai leader europei, uno degli ultimi appelli è stato quello di Charles Michel, Presidente del Consiglio europeo, durante la sua visita a Odessa, che ha chiesto una risposta globale a questa drammatica situazione. I tempi e le modalità per sbloccare la merce presente nei silos per evitare una carestia dai risultati disastrosi sono però ancora da vedere. Alcune fonti parlano di una trattativa segreta tra generali russi e ucraini per contenere la guerra, dove il primo banco di prova potrebbe essere proprio lo sblocco del grano fermo a Odessa.