C’è il cambiamento climatico dietro l’aumento dei flussi dall’America centrale verso gli Stati Uniti. Il colmo, per chi è uscito dall’accordo di Parigi
L’attivista svedese Greta Thunberg ha partecipato ieri alla manifestazione “Venerdì per il futuro” (Fridays for Future) di Roma, lo sciopero scolastico per il clima. Benché si tratti di un’emergenza reale e riconosciuta dalla comunità scientifica internazionale, si fa ancora fatica ad associare il riscaldamento globale e i cambiamenti climatici a questioni concrete, che hanno un impatto nella vita di tutti i giorni.
Una delle tante conseguenze del cambiamento climatico è ad esempio la crisi migratoria in America centrale, ovvero l’arrivo alla frontiera degli Stati Uniti, ogni mese, di decine di migliaia di persone provenienti dal Triangolo del nord centroamericano: Honduras, El Salvador e Guatemala. Un problema macroscopico, sia per le dimensioni dei flussi che per il suo peso politico.
Gran parte delle politiche di Donald Trump hanno infatti un legame con l’immigrazione: dalla separazione dei bambini allo shutdown del Governo, fino alla più recente dichiarazione di emergenza nazionale per costruire il muro con il Messico. Gli arresti di migranti al confine americano stanno crescendo, anche se i livelli non sono paragonabili ai massimi storici. Una “crisi” quindi c’è, ma non nel senso inteso da Trump: gli Stati Uniti non possono impedire a queste persone – soprattutto famiglie con bambini – di esercitare il loro diritto di asilo; il muro è perciò un’opera inutile, mentre al contrario è utile investire nei tribunali e nel potenziamento delle strutture di accoglienza.
Il nesso tra cambiamenti climatici e migrazioni
L’emigrazione dall’America centrale non è un fenomeno indifferenziato e non può essere spiegato solo con la violenza. Altri fattori di spinta fondamentali, e in alcuni casi anche più rilevanti, sono la povertà nelle campagne e, appunto, il cambiamento climatico.
Il cambiamento climatico – l’aumento delle temperature, gli eventi metereologici estremi ed imprevedibili – sta complicando enormemente la coltivazione del caffè e del mais in Honduras e in Guatemala: altera il ciclo di crescita delle piante e favorisce il diffondersi di parassiti che rovinano i raccolti. Molte famiglie di contadini, ritrovandosi prive della loro unica fonte di sussistenza, decidono dunque di mettersi in cammino verso gli Stati Uniti.
Secondo la Banca mondiale, il cambiamento climatico potrebbe contribuire alla migrazione forzata di quasi un milione e mezzo di persone dal Messico e dall’America centrale entro i prossimi trent’anni. Nel 2017 Trump ha ritirato gli Stati Uniti dall’accordo sul clima di Parigi per il contenimento delle emissioni inquinanti.
@marcodellaguzzo
C’è il cambiamento climatico dietro l’aumento dei flussi dall’America centrale verso gli Stati Uniti. Il colmo, per chi è uscito dall’accordo di Parigi
L’attivista svedese Greta Thunberg ha partecipato ieri alla manifestazione “Venerdì per il futuro” (Fridays for Future) di Roma, lo sciopero scolastico per il clima. Benché si tratti di un’emergenza reale e riconosciuta dalla comunità scientifica internazionale, si fa ancora fatica ad associare il riscaldamento globale e i cambiamenti climatici a questioni concrete, che hanno un impatto nella vita di tutti i giorni.
Una delle tante conseguenze del cambiamento climatico è ad esempio la crisi migratoria in America centrale, ovvero l’arrivo alla frontiera degli Stati Uniti, ogni mese, di decine di migliaia di persone provenienti dal Triangolo del nord centroamericano: Honduras, El Salvador e Guatemala. Un problema macroscopico, sia per le dimensioni dei flussi che per il suo peso politico.
Gran parte delle politiche di Donald Trump hanno infatti un legame con l’immigrazione: dalla separazione dei bambini allo shutdown del Governo, fino alla più recente dichiarazione di emergenza nazionale per costruire il muro con il Messico. Gli arresti di migranti al confine americano stanno crescendo, anche se i livelli non sono paragonabili ai massimi storici. Una “crisi” quindi c’è, ma non nel senso inteso da Trump: gli Stati Uniti non possono impedire a queste persone – soprattutto famiglie con bambini – di esercitare il loro diritto di asilo; il muro è perciò un’opera inutile, mentre al contrario è utile investire nei tribunali e nel potenziamento delle strutture di accoglienza.
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