Una Cambogia sempre più a immagine e somiglianza di Hun Sen, quasi nello stile della famiglia Kim in Corea del Nord, seppure i media statali continuino a elogiare il “sistema democratico” cambogiano.
Sei mesi. Tanto è durato il presunto passo indietro di Hun Sen. Il leader eterno della Cambogia è pronto a tornare in sella. Dopo aver lasciato il ruolo di primo ministro al figlio Hun Manet in seguito alle elezioni dello scorso luglio, è pronto a diventare presidente del Senato, la seconda carica dello Stato dopo il re.
Risultati delle elezioni di domenica 25 febbraio. Dei 62 seggi del Senato, 58 sono votati da 125 parlamentari e più di 11mila amministratori locali. Il re Norodom Sihamoni nomina due senatori, mentre l’Assemblea nazionale (eletta a suffragio universale lo scorso luglio) ne nomina altri due. Come più che ampiamente atteso, il Partito Popolare Cambogiano ha dichiarato di aver ottenuto una vittoria schiacciante. Il portavoce Sok Eysan ha detto che i primi risultati hanno mostrato che il partito di maggioranza ha vinto almeno 50 dei 58 seggi. Ha poi subito confermato che il partito nominerà Hun Sen come presidente del Senato, ruolo che di fatto gli consentirà di agire come capo di Stato quando il re si trova all’estero.
Sulle schede elettorali erano presenti quattro partiti, tra cui il monarchico Funcinpec, ma nessuna vera opposizione. Non una sorpresa, visto che Hun Sen ha operato una stretta a partire dal grande spavento del 2013, quando alle elezioni fu quasi sconfitto dal Partito di Salvezza Nazionale di Sam Rainsy. Da allora decise che non poteva più mettere a rischio la sua posizione, soprattutto mentre iniziava a programmare la successione col figlio Hun Manet.
Lo scorso luglio, il Candlelight Party (nato sulle ceneri del movimento di Rainsy) è stato estromesso dal voto con la scusa di problemi burocratici. Le due grandi figure dell’opposizione erano già state messe fuori gioco in precedenza. Kem Sokha è stato condannato nel 2022 a 27 anni di carcere per tradimento: l’accusa è quella di aver organizzato un presunto complotto per rovesciare il governo. Rainsy si trova invece in autoesilio all’estero e non potrà candidarsi per altri due decenni.
Impossibile dunque pensare a una composizione diversa del Senato. Ma è significativo che Hun Sen abbia deciso di tornare in prima fila. Secondo molti analisti, diventare presidente del Senato gli può garantire di proteggere ulteriormente il figlio Hun Manet, la cui nomina anticipata è motivata proprio dal desiderio del padre di supervisionare la transizione mentre è ancora in forze, per spegnere sul nascere le eventuali velleità degli altri leader più anziani del partito che si sentono sorpassati da una figura in larga parte priva di esperienza politica.
Il ritorno sulla scena di Hun Sen arriva peraltro dopo pochi giorni dalla nomina di un altro membro della sua dinastia, l’ultimo rampollo Hun Many, diventato il più giovane vice premier cambogiano di sempre. Many, 41 anni, ha iniziato la sua carriera politica lavorando come assistente del padre. È stato deputato in rappresentanza della provincia di Kampong Speu e presidente della commissione dell’Assemblea nazionale per l’Istruzione, la gioventù e lo sport, il culto e gli affari religiosi, la cultura e il turismo nel 2013, prima di diventare ministro della Funzione pubblica lo scorso agosto.
Many è anche il presidente dell’Unione delle Federazioni giovanili della Cambogia. Anche per lui si prospetta un futuro politico di primo piano in una Cambogia sempre più a immagine e somiglianza di Hun Sen, quasi nello stile della famiglia Kim in Corea del Nord, seppure i media statali continuino a elogiare il “sistema democratico” cambogiano. Nel quale ormai non è però più prevista opposizione.
L’Occidente lascia comunque la porta socchiusa. Nelle scorse settimane Hun Manet (che ha un passato nell’esercito ma anche studi economici condotti in Occidente) è stato in Svizzera per il World Economic Forum di Davos e si è poi recato in Francia, dove ha incontrato il presidente Emmanuel Macron. Il viaggio a Parigi è stato visto come un successo per Manet, che è tornato con 235 milioni di dollari in accordi di sviluppo con la Francia per costruire infrastrutture energetiche e di acqua potabile e sostenere la formazione professionale in Cambogia e l’impegno a lavorare per un “partnership strategica”. Gli Stati Uniti avevano inizialmente “sospeso” un pacchetto di aiuti da 18 milioni di dollari dopo le elezioni, che un funzionario del Dipartimento di Stato descrisse come “né libere né giuste”. Ma la decisione di sospendere gli aiuti è stata revocata due mesi dopo per “incoraggiare il nuovo governo a tener fede alle sue intenzioni dichiarate di essere più aperto e democratico”.
Visto il ritorno da protagonista di Hun Sen, qualcuno potrebbe temere che le speranze siano destinate a essere deluse.
Risultati delle elezioni di domenica 25 febbraio. Dei 62 seggi del Senato, 58 sono votati da 125 parlamentari e più di 11mila amministratori locali. Il re Norodom Sihamoni nomina due senatori, mentre l’Assemblea nazionale (eletta a suffragio universale lo scorso luglio) ne nomina altri due. Come più che ampiamente atteso, il Partito Popolare Cambogiano ha dichiarato di aver ottenuto una vittoria schiacciante. Il portavoce Sok Eysan ha detto che i primi risultati hanno mostrato che il partito di maggioranza ha vinto almeno 50 dei 58 seggi. Ha poi subito confermato che il partito nominerà Hun Sen come presidente del Senato, ruolo che di fatto gli consentirà di agire come capo di Stato quando il re si trova all’estero.