Carlos Menem: luci e ombre dell’Argentina degli anni ’90
Muore a 90 anni l'ex Presidente dell'Argentina Carlos Saul Menem. Figura controversa, ha portato migliaia di argentini alla ricchezza, mentre altre decine di milioni finivano nella povertà più estrema
Muore a 90 anni l’ex Presidente dell’Argentina Carlos Saul Menem. Figura controversa, ha portato migliaia di argentini alla ricchezza, mentre altre decine di milioni finivano nella povertà più estrema
Si è spento a novant’anni in una clinica di Buenos Aires, l’ex Presidente argentino Carlos Saul Menem. I suoi Governi (1989-1999) hanno trasformato profondamente il Paese, applicando aggressivamente le politiche del Washington Consensus e, in politica estera, basate sulle “relazioni carnali” con gli Usa. Figura controversa, sia nel pubblico sia nel privato, la sua eredità divide l’Argentina, tra omaggi e critiche.
Decalogo menemista
La sua parabola racconta la storia argentina degli anni ’90: un periodo di cambio radicale nella politica economica, con l’adozione del Washington Consensus, un decalogo di politiche economiche di stampo neoliberista promosse dal Fondo monetario internazionale, dalla Banca mondiale e dal Tesoro statunitense, per supportare la crescita nei Paesi in via di sviluppo. Menem applicò in maniera aggressiva tali politiche – in netto contrasto con la sua tradizione politica, il peronismo, fondato sui principi della giustizia sociale – e le reinterpretò in chiave argentina. “Nulla di quel che dovrebbe esser statale rimarrà nelle mani dello Stato”, fu il primo punto del decalogo menemista da lui stesso stilato e presentato nel 1989 come la principale speranza di riscatto per gli argentini.
Con Menem e il suo Ministro dell’Economia, Domingo Cavallo, il Paese si aprì al commercio internazionale e al libero movimento di capitali; vennero privatizzate le imprese pubbliche (i fondi pensione, la linea aerea di bandiera, l’intera rete ferroviaria, la principale azienda petrolifera del Sudamerica, i servizi di gas, luce, telefono, acqua), si ridusse il ruolo dello Stato come agente regolatore e si riformò il sistema fiscale. Durante il Governo di Raul Alfonsin, predecessore di Menem, l’inflazione era esplosa: nel 1990 si assestò al 2314%.
A partire da allora, per circa un decennio, si vivrà un periodo di stabilità dei prezzi, grazie alla ‘convertibilità’, l’introduzione di una nuova moneta e la parità cambiaria tra peso e dollaro (el uno a uno). Si ottenne una certa stabilità economica e crescita – la ‘pizza con champagne’ secondo il linguaggio argentino, a indicare l’ascesa di una nuova classe media – ma i costi per l’economia reale furono altissimi: l’apertura al commercio estero schiacciò molte piccole e medie imprese; la disoccupazione si assestò tra il 17,5% (1995) e il 19,7% (2002); alla fine del secondo mandato di Menem, poco meno di un terzo della popolazione viveva sotto la soglia di povertà. E poi arrivò il terribile 2001, la crisi dei tango-bond e il default più grande della storia del capitalismo, causato dall’impossibilità del Paese di far fronte a un’enorme mole di debito emesso in dollari statunitensi. L’eredità di politica economia del decennio Menem è quasi scomparsa ed è associata a ricordi dolorosi condivisi sia da chi rimase escluso dai benefici della crescita degli anni ’90, sia da chi perse tutto con la crisi del 2001.
Relazioni carnali
In politica estera, Menem applicò pedissequamente il concetto di realismo periferico, altrimenti detto delle ‘’relazioni carnali” con gli Usa, basato sul riconoscimento dell’egemonia di Washington nella regione e sulla ricerca di qualche vantaggio dalla condizione di Paese subordinato. L’Argentina abbandonò dunque i processi di integrazione regionale, il Movimento dei Paesi non allineati e nel 1990, con l’operazione Bishop, mise a disposizione degli Usa navi militari ed elicotteri per l’invasione dell’Iraq. In cambio, venne ammessa nel primo G20 nel 1999. Sempre guidato dai principi del realismo periferico – e in contrasto con il nazionalismo argentino, normalmente incarnato dalla tradizione peronista – ristabilì le relazioni diplomatiche con il Regno Unito, interrotte dal 1982, dopo la sconfitta nella guerra per le isole Falkland/Malvinas che portò al collasso della dittatura militare. Con la “clausola dell’ombrello”, l’Argentina riattivò i contatti con Londra su tutti i fronti che non implicassero la discussione sulla sovranità delle isole del Sud Atlantico.
Dal poncho alla Ferrari
Menem aveva fama di bon vivant e Don Giovanni. ‘’El turco’’, come lo chiamavano per le sue origini siriane, ascese alla scena pubblica nazionale dopo la fine della dittatura militare come caudillo di periferia, governatore della La Roja – zona rurale andina del nord-ovest – con poncho ed esagerate basette, un omaggio a Facundo Quiroga, leader ‘800 della medesima regione.
Arrivato alla Casa Rosada, dopo poco tempo abbandonò lo stile di caudillo di provincia, si mostrò come uomo di successo, girando con una Ferrari Testarossa per le strade di Buenos Aires e giocando a golf con George H.W. Bush. Reinventò il peronismo, cambiò la Costituzione per poter essere rieletto per un secondo mandato, fallì la terza elezione, gli succedette Nestor Kirchner, anch’egli del Partito giustizialista e peronista, che attivò una damnatio memoriae talmente forte che taluni credono che porti sfortuna pronunciare per intero il nome dell’ex Presidente. Il “menemismo” è scomparso molto prima del suo fondatore; pochi sono i politici argentini che rivendicano le decisioni prese durante quel periodo, benché moltissimi le sostennero pochi anni prima.
Nel 2005 venne eletto Senatore, incarico che conserverà fino alla morte e che gli permetterà di schivare le cause di una processo per corruzione e traffico d’armi verso Ecuador e Croazia, per il quale fu condannato a sette anni di carcere nel 2013 e per appropriazione indebita nel 2015.
Il suo ricordo
La sua figura e il suo ricordo dividono gli argentini. Per alcuni è stato espressione di una generazione che sin dagli anni Ottanta aspirava a un tenore di vita “da primo mondo”, incarnava il sogno di “vivere all’europea” per riscattarsi dai soprusi e dalle ingiustizie sofferte nella seconda metà del Novecento dalla classe media argentina. Menem è stato sicuramente il maggior interprete di questa visione, che ha portato migliaia di argentini a gustare i lussi intravisti negli spot che arrivavano dagli Usa, mentre altre decine di milioni di loro finivano nella povertà e nella miseria.
Per altri, Carlos Menem rappresenta un’epoca dell’Argentina di cui vergognarsi: sgrammaticato, maldestro, spregiudicato nello spianarsi la strada verso il potere, Menem ha incarnato la scalata di un Paese intero verso quella ricchezza tanto anelata da classi medie ed élite dominanti, che per arrivarci era disposta a tutto. Un desiderio che non è scomparso con il menemismo e non scomparirà con lui. Il Governo ha indetto tre giorni di lutto nazionale.
Muore a 90 anni l’ex Presidente dell’Argentina Carlos Saul Menem. Figura controversa, ha portato migliaia di argentini alla ricchezza, mentre altre decine di milioni finivano nella povertà più estrema
Si è spento a novant’anni in una clinica di Buenos Aires, l’ex Presidente argentino Carlos Saul Menem. I suoi Governi (1989-1999) hanno trasformato profondamente il Paese, applicando aggressivamente le politiche del Washington Consensus e, in politica estera, basate sulle “relazioni carnali” con gli Usa. Figura controversa, sia nel pubblico sia nel privato, la sua eredità divide l’Argentina, tra omaggi e critiche.
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