L’accordo politico è stato raggiunto, in extremis, a fine giugno. Dal 29 ottobre ci sono anche i sigilli in ceralacca. Quale che sia il giudizio di merito, il Trattato costituzionale europeo è diventato un punto di non ritorno. Lo scrivono Renato Ruggiero, nell’editoriale che apre questo secondo numero di east, ma lo affermano anche Sergio Romano e Stefano Rodotà: il primo focalizzandosi sul ruolo decisamente ambiguo dell’Inghilterra, il secondo mettendo a confronto il sistema di garanzie europeo con la ben più collaudata democrazia americana. Collaudata, ma “ineguale”, rileva Sidney Verba, professore ad Harvard, uno dei maggiori scienziati politici contemporanei. Citando Thomas H. Marshall, che definiva il capitalismo “un sistema non di eguaglianza ma di ineguaglianza”, Verba dimostra che in termini di politiche di welfare gli Stati Uniti si trovano in fondo alla classifica delle democrazie occidentali. Nel suo ultimo libro (Il sogno europeo edito da Mondadori) Jeremy Rifkin denuncia l’inadeguatezza del sistema valoriale e sociale americano nella globalizzazione.
L’Allargamento (a cui è dedicato anche il secondo Dossier di east, con una inedita ricerca sulla ricchezza finanziaria nei Paesi appena entrati ) continua a far discutere. In teoria, la relazione fra livelli di sviluppo diversi dovrebbe alimentare nuovo sviluppo per tutti. Ce lo dicono, con dovizia di dati, personalità molto distanti fra loro: ex consigliere economico della Casa Bianca Robert F.Wescott, il ministro degli Esteri italiano Franco Frattini, il professor Tiziano Treu e il leader della Margherita Enrico Letta nella sua “provocazione” sul vincolo esterno. Qual è allora il problema? L’economista Tito Boeri risponde che il problema non è economico, ma politico: dopo l’Allargamento, molti partner hanno cominciato a remare contro per paura di aver fatto il passo più lungo della gamba.
Ma l’Europa non è soltanto diritto ed economia. Europa sono anche le persone, i popoli, con la loro storia e le loro culture, i loro odii e le loro guerre. Ce lo ricorda, con parole che lasciano il segno, uno dei maggiori scrittori contemporanei: Predrag Matvejevic. E ce lo ricordano anche due grandissimi reporter: il giornalista-scrittore Paolo Rumiz e la fotografa Monika Bulai. L’uno con le parole, l’altra con le immagini. Impegnati entrambi a restituire voce e dignità a una parte d’Europa che non fa più notizia. O, per dirla con Aldo Bonomi, che riesce tragicamente a farla soltanto con le autobomba e le cinture al plastico.