Ai primi di maggio il parlamento della Repubblica Ceca ha votato in favore del Trattato di Lisbona, ma il presidente pro tempore dell’Ue, l’euroscettico Vaclav Klaus, si è rifiutato di sottoscrivere la decisione. Non intendiamo entrare nel merito né criticare tale scelta. Anzi, riconosciamo che si tratta di un atto legittimo e rispondente alle norme e ai regolamenti vigenti nell’Europa allargata. Il punto è un altro: possiamo, come europei, non indignarci e ribellarci di fronte a una situazione ridicola e umiliante come questa?
Possiamo continuare a subire in nome di un unanimismo di facciata, i capricci e il doppiogiochismo di Paesi come l’Irlanda ieri e come la Repubblica Ceca oggi, impegnati a spremere per se stessi tutto il buono possibile dall’Europa, salvo prenderne le distanze quando si tratta di sacrificare qualcosa sul piano delle idee o su quello degli interessi nazionali?
Conosciamo le risposte politically correct, apparentemente sensate e prudenti, della classe dirigente europea, a Bruxelles e nelle varie capitali europee. Ma, cercando di interpretare il comune sentire che si è espresso anche nelle recenti elezioni per il Parlamento di Strasburgo, diciamo che la misura è colma, che è ora di farla finita con un formalismo e un unanimismo che nessuno è in grado di capire, che allontanano sempre più l’istituzione Europa dai cittadini in carne e ossa. Come il voto ha purtroppo dimostrato.
L’euroscetticismo, alimentato spesso da ragioni tutt’altro che nobili, ignora che ci sono decine di migliaia di giovani che si muovono ogni anno attraverso l’Europa come fosse casa loro; migliaia di aziende che si scambiano ogni giorno prodotti e servizi;milioni di consumatori che fanno settimanalmente la spesa infischiandosene se la merce che acquistano proviene da questo o quel Paese; centinaia di intellettuali che lavorano per dar vita a una cultura e ad una identità europea. Spetta alla classe dirigente europea trovare, urgentemente, le soluzioni concrete per porre rimedio a un pasticcio kafkiano (l’aggettivo è quanto mai pertinente) che consente agli euroscettici non già di stare legittimamente in Europa, ma addirittura di rappresentarla.