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Il sogno di Saladino

Il Kurdistan possiede una terra, ha il suo popolo e una Costituzione: tutti i requisiti e le caratteristiche di uno Stato indipendente. Ma resta una chimera.

PRIMA PAGINA – Ciclone Trump, necessità di più Europa

Trump ha sorpreso ancora una volta tutti: non sembra diverso da quello della campagna elettorale, come avremmo sperato. E oggi il rischio di un’America spaccata e neo-autarchica, paventato da alcuni, non è più un racconto da Cassandre ma un incubo. Come sempre, proviamo a essere razionali, calcolando perché queste prime mosse di Trump rischiano di non giovare agli stessi Stati Uniti. 1) Uno studio condotto dal Washington Post ha stimato il costo del muro di 3.100 km tra Usa e Messico in 25 miliardi di dollari. Trump insiste che il Messico lo paghi, ma il Presidente messicano si è rifiutato. Il muro verrà costruito inizialmente con le finanze statunitensi e dopo? Trump suggerisce: con una tassa del 20% sulle importazioni messicane, si raccolgono 10 miliardi di dollari in un anno. Forbes sostiene che i dazi esistenti sui beni messicani si dovrebbero quadruplicare per pagare tutto il muro, anche se il suo costo fosse spalmato su 10 anni. 2) L’ingresso negli Usa di cittadini di 7 Paesi musulmani (Siria, Libia, Iran, Iraq, Somalia, Sudan e Yemen) è sospeso per tre mesi, per limitare il rischio terrorismo, dimenticando (!?) che gli autori degli attentati in questo secolo, nel suo Paese, provenivano da paesi diversi: Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Egitto e Libano. 3) L’imposizione di una tariffa del 35% sulle importazioni dal Messico e del 45% sulle importazioni dalla Cina, l’abolizione del Tpp o del Nafta, capisaldi del programma commerciale di Trump, non tengono conto del fatto che export e import non sono facilmente divisibili: se si guarda alle prime 2.000 imprese esportatrici statunitensi, il 90% di loro sono anche importatrici. I Paesi con cui gli Usa hanno accordi commerciali sono anche i suoi maggiori mercati di sbocco: Messico e Canada sono i maggiori mercati di destinazione dell’export Usa (con oltre il 30% delle esportazioni totali). Il protezionismo di Trump potrebbe dunque portare a: a) deprimere i flussi di commercio internazionale (se si abolisse il Nafta, si avrebbe una più bassa domanda di auto Usa da parte di Canada e Messico) e quindi a b) diminuire la produzione nazionale, in favore di produttori stranieri (nel settore automobilistico, Asia e Corea del Sud); c) perdere posti di lavoro (-4,8 milioni di posti di lavoro nel settore privato, secondo il Peterson Institute of International Economics); d) costi più alti per i produttori Usa (non potendo più acquistare la componentistica low cost importata dal Messico, se si abolisse il Nafta) e quindi prezzi più alti per i consumatori americani (produrre un i-Phone da zero negli Usa potrebbe costare 100 dollari in più). Il neo-isolazionismo americano costituisce l’ennesima, imperdibile occasione per l’Europa verso una maggiore integrazione e un più significativo protagonismo. Almeno in alcuni campi: se Trump mantenesse la promessa di ridurre il ruolo degli Usa nell’Alleanza atlantica, dovremmo necessariamente procedere verso la tormentatissima difesa comune (esempio di Europa a due velocità, rilanciata dalla Cancelliera Merkel), che aveva peraltro già ottime ragioni per essere realizzata: secondo dati SIPRI (Stockholm International Peace Research Institute) sulle spese nel settore difesa, ai primi 12 posti nel mondo troviamo: Usa 36%; Cina 13%; Arabia Saudita 5,2%; Russia 4%; UK 3,3%; India 3,1%; Francia 3,0%; Germania 2,4%; Giappone 2,4%; Corea del Sud 2,1%; Brasile 1,5%; Italia 1,4%. Se sommiamo Francia, Germania e Italia, questi tre Paesi salgono al 6,8%, terza spesa militare al mondo dopo Usa e Cina e molto più di Russia. Se si aggiungono gli altri Stati europei, l’Ue supera il 13% della Cina e diventa seconda solo agli Usa! Cosa aspettiamo a renderci autonomi? Vediamo se il ciclone Trump riuscirà a rendere memorabile il 60mo compleanno dell’Unione!

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