La decisione di sostituire i computer americani con dispositivi di produzione domestica entro due anni si spiega con la volontà cinese di rendersi autonoma dalle tecnologie occidentali
La Cina ha ordinato alle agenzie governative centrali e alle società a partecipazione statale di sostituire i computer stranieri con dispositivi di produzione domestica entro due anni. La decisione non si limita all’hardware, ma riguarda anche il software: vale a dire, nel concreto, che i computer Dell con sistema operativo Microsoft Windows (tutta tecnologia statunitense) dovranno essere rimpiazzati con dei Lenovo che utilizzano Kylin (un sistema operativo basato su Linux, open source), ad esempio.
Secondo Bloomberg, solo a livello governativo verranno cambiate almeno cinquanta milioni di macchine. Dopo gli uffici centrali, la campagna di sostituzione dei computer verrà estesa anche alle autorità locali.
Il piano di Pechino non è una novità assoluta: già a fine 2019 una direttiva del Partito comunista indicava di procedere proprio in questo senso. Ma la notizia è comunque significativa perché racconta la volontà della Cina di rendersi autonoma – e in tempi rapidi – dalle tecnologie occidentali in modo da ridurre il suo grado di vulnerabilità in caso di sanzioni o misure restrittive all’accesso di componenti critici, come quelle imposte contro Huawei dalla passata amministrazione americana di Donald Trump.
L’ordine si tradurrà probabilmente in perdite economiche per le aziende statunitensi presenti sul mercato cinese, come Dell e HP, e in guadagni per i produttori di computer e per gli sviluppatori di software locali, come Kingsoft, Inspur e la già citata Lenovo. La qualità dei prodotti e dei software offerti da queste società è migliorata molto negli ultimi anni, garantendo loro anche una proiezione internazionale: Lenovo è il più grande produttore di pc al mondo. Ma restano comunque dipendenti dalla componentistica avanzata di progettazione americana, come i semiconduttori di Intel o di Advanced Micro Devices.
Stando alle fonti di Bloomberg, infatti, la direttiva del Governo cinese esclude i componenti più difficili da sostituire nell’immediato, come i microprocessori. Lenovo ha bisogno dei chip statunitensi ma, nell’ottica di un distacco, ha istituito una propria divisione di chip-making e investito in almeno quindici società di progettazione di semiconduttori.
Secondo Tom’s Hardware, la sfida più grande per la Cina non è la sostituzione dei computer, cioè dell’hardware, ma dei software stranieri. Ci sono tuttavia dei sistemi operativi cinesi basati su Linux (come Red Flag Linux e Kylin) che potrebbero contribuire almeno in parte alla sostituzione di Microsoft Windows; ci sono anche delle “suite per ufficio” alternative a Microsoft Office e dei programmi di elaborazione immagini simili ad Adobe Photoshop, anche se in generale non hanno le stesse funzioni e non sono altrettanto “intuitivi” da utilizzare.
Il vero problema sta nei software professionali e specifici come quelli di progettazione assistita (CAD), di visualizzazione professionale o di post-produzione dei video. Quantomeno nel breve termine, l’impossibilità di utilizzare questi strumenti potrebbe minare le capacità e la competitività delle aziende cinesi.