Uno studio realizzato dal Japan Center for Economic Research dice che l’economia cinese supererà quella statunitense nel 2033. Ma il primato durerà solo 17 anni. Ecco perché
Nella competizione per l’egemonia globale tra America e Cina, la grandezza dell’economia è un aspetto cruciale. Non a caso Joe Biden ha detto varie volte di voler impedire il sorpasso cinese e che “gli Stati Uniti continueranno a crescere e a espandersi”. Xi Jinping, invece, vuole che la Cina raggiunga lo status di massima potenza al mondo entro il 2049, centenario della proclamazione della Repubblica popolare. Lo è, un aspetto cruciale, non soltanto per le questioni simboliche connesse al primato, ma perché un Pil massiccio può favorire la creazione di ampie sfere di influenza e la leadership “sistemica” (ad esempio per “l’ordine” commerciale e finanziario): è una cosa che Washington vuole mantenere e che Pechino vuole raggiungere.
Oggi gli Stati Uniti sono il Paese con il Pil più alto al mondo; la Cina è seconda, ma ha una popolazione decisamente più numerosa: 1,4 miliardi di persone, mentre gli americani sono circa 331 milioni.
Secondo uno studio realizzato dal Japan Center for Economic Research (JCER), in termini nominali l’economia cinese supererà quella statunitense nel 2033. Ma il primato non durerà a lungo, perché dopo “diciassette anni di supremazia”, nel 2050 tornerà di nuovo al secondo posto. I motivi – spiega l’istituto – sono diversi: l’economia cinese dipende attualmente, per la sua crescita, dagli investimenti in infrastrutture e in proprietà immobiliari, ma il settore è vicino al suo limite; le restrizioni sulle società tecnologiche, in particolare, potrebbero portare a un rallentamento della produttività; la contrazione e l’invecchiamento della popolazione, infine, costituirà un peso per le casse statali.
Nello scenario principale elaborato dal JCER, dopo averlo superato, nel 2038 il Pil della Cina sarà di quasi il 5% più grande di quello statunitense. Il divario tuttavia si ridurrà nel corso degli anni 2040; nel 2050 avverrà il ribaltamento e nel 2060 l’America avrà un’economia del 10% più ampia di quella cinese. La previsione del centro studi si fonda su tre fattori: le strutture aziendali e la disponibilità di capitali; le dimensioni delle forze-lavoro; la produttività, riflesso dello sviluppo tecnologico e dell’efficienza. Secondo il JCER finora la crescita economica ha permesso a Pechino di accumulare capitali, ma è probabile che gli investimenti andranno incontro a un rallentamento, anche a causa dei vincoli al settore immobiliare; il numero di lavoratori diminuirà, e così il tasso di partecipazione al mercato; la crescita della produttività verrà ostacolata dalla regolamentazione dell’industria tecnologica.
Si stima che all’incirca 500 milioni di cinesi, residenti perlopiù nelle zone rurali, vivano con 16.000 yuan (l’equivalente di 2500 dollari) all’anno, o meno. In altre parole, il 40% della popolazione rappresenta appena il 14,1% del reddito totale del Paese. Le autorità di Pechino vogliono alzare quest’ultima quota al 20,6%, il livello medio dei Paesi in via di sviluppo: l’obiettivo dichiarato è il raggiungimento di una condizione di “prosperità comune”, cioè di maggiore benessere e di appianamento del divario ricchi-poveri, entro il 2035. Per riuscirci, tuttavia, dovranno alzare il reddito di quei 500 milioni di persone di almeno 3.4-4.3 punti entro il 2035. Le previsioni ufficiali parlano però di un aumento più contenuto, di 2.3-3.0 punti. “Per raggiungere la prosperità comune”, scrive il Nikkei Asia, “la Cina dovrà accumulare altri 7,8 trilioni di dollari di reddito per questo gruppo attraverso lo sviluppo regionale e attirando nuove industrie”.
Entro il 2035, poi, considerato il forte rallentamento della crescita demografica (nel 2021 ha toccato il minimo dal 1960) “il fondo di riserva del sistema pensionistico pubblico a cui i dipendenti delle aziende contribuiscono sarà esaurito”: l’avvertimento giunge dall’Accademia cinese delle scienze sociali.
Oggi gli Stati Uniti sono il Paese con il Pil più alto al mondo; la Cina è seconda, ma ha una popolazione decisamente più numerosa: 1,4 miliardi di persone, mentre gli americani sono circa 331 milioni.