La pandemia e la guerra in Ucraina hanno fatto vacillare la globalizzazione e avviato dei cambiamenti che potrebbero far emergere un mondo molto diverso. Salvo sorprese, Xi Jinping sarà riconfermato per un terzo mandato
“Il Paese più popoloso del mondo e il suo Stato più piccolo hanno poco in comune, con un’unica eccezione: il modo in cui selezionano il loro leader. Come il Vaticano, il Partito comunista cinese (Pcc) avvolge il suo processo di selezione della leadership nella segretezza” (Yu Jie, 2022).
Siamo arrivati a ridosso del ventesimo Congresso del Partito comunista cinese, l’evento politico più importante per la Cina. Si svolge ogni 5 anni, dura circa una settimana e presenta al mondo la nuova corte di leader che guiderá la seconda economia mondiale. Il Congresso non si limita a decidere la leadership, ma segna la direzione politica, economica e diplomatica che la Cina seguirà da qui al 2027.
Sono passati molti anni, eventi e cambiamenti da quando la Cina era un Paese chiuso, povero e slegato dal resto del mondo. A quei tempi, il Congresso avrebbe destato l’attenzione solo dei grandi appassionati di Cina. Oggi invece, riguarda tutti. Il Dragone asiatico è il Paese più popoloso del mondo, una potenza nucleare e la seconda forza economica mondiale. Dunque, le sue decisioni non possono che influenzare profondamente lo status quo dell’ordine globale, gli equilibri economici mondiali e le nostre singole vite in quanto consumatori e cittadini di un mondo globalizzato.
Questo ventesimo Congresso, inoltre, capita in uno dei momenti più delicati dal dopoguerra. In soli due anni il sistema internazionale ha dovuto affrontare sfide che basterebbero per una vita intera. La pandemia e la guerra in Ucraina hanno fatto vacillare la globalizzazione e avviato dei cambiamenti che potrebbero far emergere un mondo molto diverso. Un insieme di tre elementi fa sì che questo congresso abbia un valore particolare: il contesto internazionale riveste le scelte cinesi di un immenso peso per gli equilibri geopolitici; la Cina sta affrontando internamente profonde sfide che rischiano di minare il suo sviluppo economico; dal congresso dovrebbe emergere, salvo sorprese, la riconferma di Xi Jinping per un terzo mandato, rompendo la consuetudine dei due mandati abbracciata per tutto il periodo post-Mao.
La Cina e l’ordine internazionale
Dalla morte di Mao Zedong, la Cina ha deciso di incentrare la sua politica estera su un principio fondante: “Tao Guang Yang Hui”, traducibile come “nascondere le proprie forze e aspettare il momento opportuno”. Secondo questo approccio, elaborato da Deng Xiaoping, la Cina doveva mantenere un basso profilo in modo da creare intorno a sé un ambiente favorevole alla sua ascesa. Scontrarsi con le altre potenze internazionali, Stati Uniti in primis, non solo non sarebbe stato sostenibile militarmente, ma avrebbe canalizzato le energie del Paese nella direzione sbagliata. L’obiettivo di Deng, che sarebbe poi divenuto anche quello dei suoi successori, era lo sviluppo economico; tutto il resto sarebbe arrivato di conseguenza.
Questa strategia si è dimostrata vincente, rassicurando le grandi potenze occidentali e spingendole, addirittura, a intraprendere una profonda integrazione economica con la Cina. Negli ultimi 10 anni, però, qualcosa è cambiato. Pechino ha iniziato a mostrare un approccio sempre più assertivo, abbandonando il basso profilo e abbracciandone sempre di più uno nuovo, quello della superpotenza. Quando si tratta di decidere la propria politica estera, la leadership cinese è essenzialmente realista: la gestione delle relazioni internazionali parte da una attenta valutazione del potere relativo della Cina nel mondo. Ad oggi la Cina è cosciente della sua forza economica e politica, quindi, è pronta a difendere e rivendicare i propri interessi, anche se questo vuol dire creare attrito con gli altri attori internazionali. Le frizioni, infatti, non sono mancate; i rapporti Cina-Usa sono diventati sempre più tesi. Le relazioni sono passate dalla cooperazione e dalla relativa stabilità che esistevano sotto i Presidenti George W. Bush e Hu Jintao nei primi anni 2000, a una relazione caratterizzata da volatilità e competizione sotto Xi Jinping, Joe Biden e Donald Trump. L’elemento della competizione permea ormai buona parte della cooperazione tra Cina e Occidente, soprattutto in settori strategici come la tecnologia militare e aeronautica, ma non solo; il commercio e gli investimenti, un tempo considerati legami forti, si sono rapidamente deteriorati, come dimostra, ad esempio, il ritiro dalla Borsa di New York di alcune importanti imprese statali cinesi e di grandi aziende private.
La guerra in Ucraina è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, creando definitivamente due schieramenti opposti, di cui Usa e Cina sono i rispettivi leader. Da una parte abbiamo l’Occidente ricompattato dalla minaccia russa, sotto la guida statunitense; dall’altra abbiamo chi ha scelto di supportare o, come nel caso della Cina, di non condannare le azioni di Putin. Questa scelta, mette automaticamente Pechino in una posizione di scontro con Stati Uniti ed Europa, rendendo ancora più tesi i loro rapporti. Il ventesimo Congresso dunque, dovrà decidere su quale strada proseguire, su quella che porta a una frattura definitiva con l’Occidente oppure su quella che vuole ricostruire i rapporti. Questa scelta dirà molto sull’evoluzione degli equilibri mondiali e dunque, sul mondo che ci attende.
I problemi interni della Cina
Dopo anni di sviluppo economico senza freni, la Cina inizia a dover fare i conti con alcune problematiche. Prima tra tutte, vi è l’eccessiva dipendenza della crescita cinese dagli investimenti. Da decenni gli investimenti in Cina rappresentano il 40-50% del Pil, ben al di sopra della media mondiale del 25% circa. A ciò è seguito un preoccupante aumento del debito, che ora si aggira intorno al 250% del Pil. Ad essere particolarmente in difficoltà è il settore immobiliare che oggi risulta tra i più fragili e in bilico. La Cina già da tempo sta cercando di rivedere il suo modello di sviluppo, diventato ormai insostenibile. Lo ha fatto puntando sulla tecnologia, come dimostra il Made in China 2025 e cercando di mettere al centro il consumo. I risultati fino ad ora si sono visti poco. A complicare i piani della Cina intervengono due fattori cruciali.
Il primo riguarda il settore manifatturiero, che dopo anni di dominio incontrastato rischia di perdere il suo primato a favore di nuove destinazioni più in linea con gli interessi delle grandi aziende. La Cina diventa sempre meno attraente per due motivi: lo sviluppo economico ha avuto la conseguenza di alzare i costi di manodopera e terreni nel Paese, rendendolo meno competitivo di altre mete come Vietnam, Bangladesh o India; dall’altro canto le crescenti tensioni con l’Occidente stanno spingendo sempre più aziende americane ed europee a valutare la Cina un luogo troppo rischioso e instabile per localizzare la loro produzione. Il secondo fattore è il Covid e l’approccio, discutibile, messo in atto dal governo cinese. La durissima politica Zero Covid non ha permesso alla Cina di riprendere la crescita economica, né di attuare i cambiamenti necessari per evitare la stagnazione. Tutti questi elementi dovranno essere affrontati nei prossimi cinque anni se Pechino vuole continuare la sua ascesa. Al Congresso si parlerà molto di come lavorare per superare questo sviluppo squilibrato e soddisfare meglio i bisogni, sempre crescenti, del popolo cinese.
Xi Jinping verso il terzo mandato
In fine, la grande novitá di questo congresso riguarda la figura di Xi Jinping. Salvo sorprese, Xi dovrebbe ottenere un terzo mandato, rompendo cosí una delle più solide consuetudini che si sono consolidate dopo la morte di Mao. In tal caso, la Cina andrebbe sempre di più verso una situazione di “one-man rule” (governo di un solo uomo), ovvero l’affermazione di Xi come leader assoluto del Paese. Nel corso della storia cinese, la concentrazione dei poteri in una singola figura è stata la norma. Da Shi Huangdi (Primo Imperatore) della dinastia Qin alla Grande Imperatrice vedova Cixi della dinastia Qing, vi è sempre stato un potere assoluto, mitigato solo dai limiti della tradizione, dai membri della famiglia influenti e dai funzionari colti e studiosi.
Lo stesso avvenne in tempi più recenti con Mao Zedong, leader assoluto della Cina, che mantenne la sua posizione fino alla morte. Xi Jinping, dunque, è semplicemente un altro imperatore che si aggiunge a una lunga serie distribuita su 2.000 anni. Per quanto non sia una novità in termini storici, lo è per la Cina moderna. Gli eccessi di Mao, e le tragiche conseguenze, hanno portato Deng Xiaoping, l’architetto della Cina moderna, a pensare un sistema di garanzie per evitare che tali nefandezze si ripetessero. Uno dei più importanti limiti stabiliti da Deng fu la consuetudine che qualsiasi leader cinese non potesse governare per più di 10 anni: massimo due mandati da segretario generale, concomitanti con i due da Presidente previsti dalla Costituzione. Per la prima volta questa consuetudine verrà spezzata e ciò vuol dire che il potere di Xi potrebbe essere sfuggito di mano.
“Il futuro è luminoso per Xi Jinping e buio per tutti gli altri”, ha detto Steve Tsang direttore del SOAS China Institute. Questa svolta, potrebbe avere conseguenze dannose, sia per l’ordine interno della Cina che per l’ordine internazionale. Il Financial Times ha descritto il terzo mandato di Xi come un “tragico errore”, sottolineando come un potere dispotico senza freni, non abbia mai portato a nulla di buono. I rischi sono quelli di un’ossificazione all’interno e di un aumento delle frizioni all’estero. Il mondo cambia in fretta e 10 anni sono abbastanza per far diventare un leader anacronistico, soprattutto se questo non è accompagnato da istituzioni forti e indipendenti che monitorino e guidino la sua azione. A livello interno questo potrebbe essere un grande ostacolo per attuare le riforme necessarie affinché la Cina possa continuare a crescere. L’irrazionalità dimostrata dalla politica Zero Covid, fa intravedere una mancanza di pragmatismo nell’affrontare le sfide attuali. Lo stesso vale a livello internazionale: Xi ha introdotto un approccio assertivo che ha drasticamente deteriorato le relazioni della Cina con l’Occidente. Se riconfermato, è lecito aspettarsi che continuerà su questa strada. In questo momento però, lo status quo dell’ordine internazionale è più in bilico che mai, dunque, un approccio assertivo non farebbe altro che alimentare instabilità.
La pandemia e la guerra in Ucraina hanno fatto vacillare la globalizzazione e avviato dei cambiamenti che potrebbero far emergere un mondo molto diverso. Salvo sorprese, Xi Jinping sarà riconfermato per un terzo mandato
“Il Paese più popoloso del mondo e il suo Stato più piccolo hanno poco in comune, con un’unica eccezione: il modo in cui selezionano il loro leader. Come il Vaticano, il Partito comunista cinese (Pcc) avvolge il suo processo di selezione della leadership nella segretezza” (Yu Jie, 2022).