Si chiude il sipario sulle “due sessioni”, si apre quello sul terzo atto della “nuova era” di Xi. Parole chiave: sicurezza e stabilità. Grande spazio all’autosufficienza tecnologica.
L’ultimo giorno dell’appuntamento più importante del quinquennio, con le plenarie dell’Assemblea nazionale del popolo e della Conferenza politica consultiva del popolo, ha avuto come momento clou il discorso di Xi, bissato poi dalla prima conferenza stampa in veste di premier del suo fedelissimo Li Qiang.
In linea con la più classica delle strategie “poliziotto buono e poliziotto cattivo”, Xi e Li si sono divisi i compiti tra assertività e rassicurazioni. Normale che sia così, viste anche le diverse modalità dei due interventi e gli opposti momenti della loro espressione di potere. Al culmine, quella del segretario generale del Partito comunista appena confermato per un terzo storico mandato da Presidente della Repubblica popolare. Ai suoi primi bagliori invece, quella del nuovo Primo ministro, chiamato dunque a “farsi conoscere” a livello globale e soprattutto dal mondo imprenditoriale, visti i tradizionali compiti nelle politiche economiche richiesti dal suo ruolo.
Le prime due parole chiave del discorso finale di Xi sono sicurezza e stabilità. “La sicurezza è il fondamento dello sviluppo, mentre la stabilità è un prerequisito per la prosperità”, ha detto Xi ripetendo due dei mantra che hanno caratterizzato già il suo secondo mandato. Il presidente ha sottolineato la necessità di perseguire un approccio olistico alla sicurezza nazionale, ampio ombrello sotto il quale Pechino fa ricadere non solo il settore della difesa, ma anche la sicurezza sanitaria, alimentare e sociale.
L’apparato governativo di sicurezza è stato confermato in toto, con la permanenza del fidato Chen Yixin come ministro della Sicurezza di Stato. Un alleato chiave di Xi, in particolare per le campagne anticorruzione degli ultimi anni.
Per quanto riguarda la “stabilità”, è un termine che è tornato moltissimo anche nell’ultimo discorso di governo del premier uscente Li Keqiang, che non a caso ha presentato un obiettivo di crescita del prodotto interno lordo più basso del previsto per il 2023: +5%. La Cina ha scelto la cautela, conscia delle difficoltà e turbolenze globali che rendono difficile il mantenimento di una crescita stabile.
Un’altra delle priorità individuate dal leader è quella dell’autosufficienza tecnologica. Un tema molto caro a Xi, sin dai tempi del Made in China 2025 e ancora di più ora che gli Stati Uniti stanno accelerando la corsa alle restrizioni per impedire le esportazioni di tecnologia avanzata verso Pechino, soprattutto quella relativa al settore strategico dei semiconduttori. Non è un caso che i fondi speciali a sostegno dello sviluppo dei microchip e di altre industrie strategiche siano stati aumentati di quasi il 50%.
Xi ha invitato ad “attuare pienamente la strategia per rinvigorire la Cina attraverso la scienza e l’istruzione, la strategia per lo sviluppo della forza lavoro e la strategia per lo sviluppo guidato dall’innovazione. La Cina dovrebbe lavorare per raggiungere una maggiore autosufficienza e forza nella scienza e nella tecnologia, promuovere la trasformazione e l’aggiornamento industriale, far progredire lo sviluppo urbano-rurale e regionale coordinato e promuovere uno sviluppo economico e sociale verde e a basse emissioni di carbonio”, ha affermato Xi.
In direzione di una gestione più diretta delle politiche sul settore tecnologico va la riforma dell’apparato statale approvata durante le “due sessioni”. Verrà infatti istituita anche una Commissione centrale per la scienza e la tecnologia “per rafforzare la leadership centralizzata e unificata del Comitato Centrale del Partito”. Il nuovo organo sarà responsabile del coordinamento delle politiche atte a perseguire l’autosufficienza tecnologica, una delle priorità assolute. Il Partito, che dallo scorso ottobre ha tra le sue figure apicali sempre più tecnocrati, punta a guidare in modo più deciso l’attività delle entità statali e private per colmare il ritardo sui semiconduttori e puntellare il vantaggio raggranellato in altri settori come l’intelligenza artificiale.
Obiettivo che si intreccia con quello dell’ammodernamento delle forze armate.
Sul fronte militare, la necessità è “rafforzare gli aspetti scientifici e tecnologici della difesa per un esercito forte e per vincere guerre”, ha detto Xi durante il suo discorso di lunedì 6 marzo di fronte all’organo consultivo.
Affermazioni che vanno lette insieme a quelle di lunedì 13 marzo in cui si invita l’Esercito popolare di liberazione a diventare una “Grande muraglia d’acciaio” (formula già utilizzata durante il suo discorso del 1° luglio 2021 in occasione del centenario del Partito) in gradio di “salvaguardare con efficacia la sovranità nazionale, la sicurezza e gli interessi di sviluppo”. Obiettivo sul quale si punta con decisione in vista del centenario della fondazione delle forze armate della Repubblica popolare, in agenda proprio nel 2027 in concomitanza col XXI Congresso che potrebbe consegnare a Xi un quarto mandato.
Negli anni che ci separano da quella data, Xi ha confermato che un’altra delle priorità sarà compiere passi avanti verso la “riunificazione” con Taiwan. Nessuna novità normativa su Taipei, né elementi di discontinuità nei discorsi di Xi e Li. Eppure, con l’emendamento che prevede l’approvazione lampo di leggi in “tempi d’emergenza” e alcune nomine, a partire da quella del generale He Weidong (con grande esperienza sul campo nello Stretto) a vicepresidente della Commissione militare centrale, si lascia intendere che il dossier sarà studiato con attenzione.
Anche perché la visione sui rapporti bilaterali con gli Stati Uniti è sempre più negativa, come dimostrato ampiamente dalla prima conferenza stampa del neo ministro degli Esteri Qin Gang, fresco ex ambasciatore cinese a Washington. A complicare il dialogo nel settore della Difesa, peraltro, potrebbe esserci anche la nomina di Li Shangfu come nuovo ministro della Difesa. Generale dell’esercito, Li è dal 2018 sotto sanzioni degli Stati Uniti per il suo ruolo nell’acquisto di aerei da combattimento SU-35 e di sistemi missilistici antiaerei S-400 dalla Russia.
In tal senso, a Li Qiang è stato destinato il ruolo di pontiere. “Cina e Usa devono cooperare e non separare le loro economie”, ha detto il premier. “Negli ultimi anni, alcune persone negli Stati Uniti vogliono il decoupling. Ma chi se ne avvantaggerà? Pechino e Washington devono collaborare”, ha ribadito. “Il contenimento e la repressione non giovano a nessuno”.
Una lettura che alimenta la prospettiva di Pechino, già espressa diverse volte, secondo cui a Washington ci sarebbe chi vuole sabotare il riavvio del dialogo sul quale avevano invece trovato un “consenso” Xi e Joe Biden. Prospettiva utilizzata per spiegare la visita di Nancy Pelosi a Taipei dello scorso agosto, così come la reazione giudicata “eccessiva” alla vicenda del presunto pallone-spia che ha portato alla cancellazione della visita del Segretario di Stato Antony Blinken a Pechino.
Dopo di che, Li ha provato a rassicurare investitori e privati garantendo che la Cina continuerà sulla strada delle riforme e dell’apertura internazionale. Non è detto che basti, considerando anche il potenziale ulteriore accentramento della gestione delle politiche economiche con la prossima annunciata istituzione di una Amministrazione nazionale di regolamentazione finanziaria, che sarà responsabile di tutti i tipi di politiche e attività finanziarie con esclusione del settore dei titoli. Tra le varie priorità della Cina di Xi ce n’è infatti anche un’altra: decidere in fretta.
L’ultimo giorno dell’appuntamento più importante del quinquennio, con le plenarie dell’Assemblea nazionale del popolo e della Conferenza politica consultiva del popolo, ha avuto come momento clou il discorso di Xi, bissato poi dalla prima conferenza stampa in veste di premier del suo fedelissimo Li Qiang.
In linea con la più classica delle strategie “poliziotto buono e poliziotto cattivo”, Xi e Li si sono divisi i compiti tra assertività e rassicurazioni. Normale che sia così, viste anche le diverse modalità dei due interventi e gli opposti momenti della loro espressione di potere. Al culmine, quella del segretario generale del Partito comunista appena confermato per un terzo storico mandato da Presidente della Repubblica popolare. Ai suoi primi bagliori invece, quella del nuovo Primo ministro, chiamato dunque a “farsi conoscere” a livello globale e soprattutto dal mondo imprenditoriale, visti i tradizionali compiti nelle politiche economiche richiesti dal suo ruolo.