Ad oggi, gli Usa restano all’avanguardia nella ricerca su AI, mentre la Cina è in vantaggio nell’implementazione di queste tecnologie in prodotti e servizi. Sullo sfondo della contesa emerge la Corea del Sud, sempre più in grado di competere con gli innovatori cinesi e statunitensi
“La Cina ha già vinto la battaglia sull’intelligenza artificiale. Non abbiamo alcuna possibilità di combattere contro la Cina tra 15 o 20 anni. In questo momento, è già un affare fatto; a mio parere, è già finita”. Ottobre 2021. A pronunciare queste parole al Financial Times è Nicolas Chaillan, il primo responsabile del software del Pentagono che si era dimesso pochi giorni prima per protestare contro la lentezza della trasformazione tecnologica delle forze armate statunitensi. Una presa di posizione illuminante su quanto venga ritenuto strategico il ruolo dell’intelligenza artificiale nella competizione tra Stati Uniti e Cina. E stando alle previsioni di Chaillan ma anche di diversi servizi di intelligence occidentali, Pechino è destinata a dominare molte delle principali tecnologie emergenti, in particolare l’intelligenza artificiale, la biologia sintetica e la genetica, entro un decennio o poco più. Anche per questo Washington sta reagendo con vigore, per provare a stoppare o rallentare questa ascesa.
La Cina è già il primo paese al mondo per numero di brevetti di intelligenza artificiale: tra il 2011 e il 2020 sono state depositate quasi 390 mila domande, pari al 74,7% del totale. Non si tratta di una leadership solo quantitativa ma anche qualitativa. Nel 2020, per la prima volta, gli articoli accademici cinesi sono stati più citati di quelli americani nelle pubblicazioni scientifiche mondiali di settore. Si stima che l’industria cinese dell’AI abbia un valore di oltre 150 miliardi di dollari e il governo si è impegnato a investire più di 150 miliardi di dollari in industrie legate all’AI entro il 2030.
Punti di forza e piani di sviluppo
Alla base di questa tendenza ci sono diversi punti di forza. Il primo è quello che riguarda la sua grande popolazione e le sue vaste risorse di dati. Con oltre 1,4 miliardi di persone, la Cina dispone di un enorme mercato per i prodotti e i servizi di AI, che può essere sfruttato per promuovere l’innovazione e la crescita. Inoltre, le vaste risorse di dati della Cina, combinate con le norme sulla privacy relativamente rilassate, offrono alle aziende cinesi un vantaggio significativo nello sviluppo di modelli e applicazioni. Non solo. Come accade in altri settori, l’industria AI cinese è caratterizzata da un alto grado di integrazione tra governo, industria e università, che ha permesso un progresso più rapido.
I piani di sviluppo messi in campo dal Partito comunista cinese sono notevoli. Dopo aver lanciato il piano Made in China 2025, che conteneva in nuce le ambizioni di autosufficienza tecnologica che sono ora invece state rese esplicite, nel 2017 il governo cinese ha pubblicato il piano nazionale di sviluppo dell’AI. Obiettivo dichiarato: diventare un leader mondiale dell’AI entro il 2030. Nel 2019, il Ministero della Scienza e della Tecnologia ha annunciato un piano per investire 1,4 miliardi di dollari nella ricerca di base sull’AI fino al 2024. Secondo un rapporto previsionale della società di consulenza IDC dello scorso anno, gli investimenti cinesi nell’AI dovrebbero raggiungere 26,69 miliardi di dollari nel 2026, pari a circa l’8,9% degli investimenti globali, diventando così la seconda destinazione di investimento al mondo.
La strategia di “intelligentizzazione”
Le applicazioni sono entrate in maniera vasta in diversi settori chiave individuati dai documenti governativi: sanità, trasporti e finanza, con l’obiettivo di migliorare l’efficienza, la produttività e l’innovazione. Pechino persegue quella che gli esperti chiamano strategia di “intelligentizzazione”, che prevede l’integrazione delle tecnologie dell’AI in tutti gli aspetti della società, compresi governo, industria e vita quotidiana. Basti vedere l’avanzamento dei progetti su veicoli a guida autonoma e smart cities, sulle quali Pechino ha negli anni scorsi già fissato un punto di riferimento.
Ma c’è ovviamente anche un imponente versante di applicazione in campo militare. La Cina ha investito molto nello sviluppo di veicoli senza pilota gestibili attraverso tecnologie AI, come droni e veicoli terrestri senza pilota. Questi sistemi d’arma autonomi sono progettati per svolgere una serie di compiti militari, dalla ricognizione e sorveglianza alle operazioni di combattimento. Un’altra area in cui la Cina sta applicando l’AI alle forze armate è lo sviluppo di capacità di guerra informatica. È considerato molto importante lo sviluppo di strumenti basati sull’intelligenza artificiale per lo spionaggio, l’hacking e il sabotaggio informatico. Oltre a questi settori, la Cina sta applicando l’AI anche alla logistica militare e ai processi decisionali. Le forze armate cinesi utilizzano già le tecnologie AI per ottimizzare le catene di approvvigionamento, tracciare le attrezzature e pianificare le operazioni. Ma anche per analizzare i dati provenienti da diverse fonti, tra cui immagini satellitari, social media e altre fonti di intelligence aperte, e per supportare i processi decisionali.
Dall’altra parte, gli Stati Uniti provano ad arrestare il processo e a mantenere una leadership che già nel corso del 2023 appare condivisa. Anzi, è probabile che già ora la Cina sia in vantaggio nell’implementazione delle tecnologie in prodotti e servizi. Come ha spiegato recentemente l’esperto Kaifu Lee, gli Stati Uniti rimarranno all’avanguardia nella ricerca sull’AI. Ma la Cina guiderà l’implementazione di queste tecnologie.
La reazione anticinese degli Stati Uniti
Si stima che il settore dell’intelligenza artificiale negli Stati Uniti abbia un valore di oltre 300 miliardi di dollari, con aziende come Google, Microsoft e Amazon in testa. La reazione “anti cinese” di Washington è sia propositiva che in qualche modo confrontazionale. Seguendo la prima logica, sono aumentati gli investimenti. Nel 2020, la National Science Foundation (NSF) statunitense ha annunciato un finanziamento di 140 milioni di dollari per gli istituti di ricerca sull’AI. Nel 2019, il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti ha annunciato un investimento di 2 miliardi di dollari nell’AI, con l’obiettivo di mantenere la superiorità militare. Investimenti ai quali ne sono seguiti altri negli anni successivi. Seguendo invece una logica di confronto, gli Stati Uniti hanno imposto restrizioni all’esportazione di tecnologie di intelligenza artificiale in Cina, aumentando sul fronte interno il controllo delle aziende tecnologiche cinesi che operano negli Stati Uniti, esprimendo timori sulla privacy dei dati e sulla sicurezza nazionale. Prima del caso di attualità legato a TikTok, era già capitato a diverse altre aziende cinesi finite nella lista nera delle “entità” che rappresenterebbero un pericolo alla sicurezza nazionale statunitense.
Come accade anche sul fronte dei semiconduttori, oltre alle restrizioni sulle singole aziende il governo statunitense ha attuato anche politiche più ampie volte a limitare l’esportazione di tecnologie di AI in Cina. Nel mirino, soprattutto quelle riguardanti il riconoscimento facciale e la sorveglianza. In base alle regole, le aziende statunitensi devono ora ottenere una licenza per esportare determinati tipi di software di AI in Cina. Allo stesso tempo, in un altro parallelo con quanto accade sui microchip, la Casa Bianca ha inoltre esortato altri paesi a limitare le esportazioni di tecnologie AI verso la Cina. Nel 2019, il governo statunitense ha rilasciato una dichiarazione congiunta con diversi altri paesi, tra cui Giappone e Australia, chiedendo reti 5G “sicure e resilienti”. Il pressing sulle infrastrutture di rete di Huawei si è fatto incessante a ogni latitudine, Italia compresa. Ora questa manovra continua su semiconduttori e, appunto, intelligenza artificiale.
La Cina persegue l’autosufficienza tecnologica
Non è certo un caso che la Cina stia accelerando sulla strada del perseguimento dell’autosufficienza tecnologica. I segnali in tal senso sono stati moltissimi, sia dal XX Congresso del Partito comunista dello scorso ottobre sia dalle “due sessioni” legislative di marzo. Il forte senso di urgenza della missione arriva anche dalle nomine: sia in ambito partitico che statale sono stati promossi tantissimi tecnocrati. Funzionari con esperienza in settori a cui Xi Jinping assegna grande rilevanza per lo sviluppo tecnologico e strategico della Cina. Ci sono tanti componenti di quel “cosmos club” che ha vissuto un’ascesa esponenziale durante l’era di Xi. Provenienti dai programmi di difesa e dai programmi spaziali, si tratta di figure in sintonia con l’ambizione di Xi di trasformare la Cina in una superpotenza tecnologica. La presenza di un numero sempre maggiore di tecnocrati negli organi decisionali del Partito può cambiare i connotati dell’élite politica cinese e rafforzare ulteriormente la già forte fusione delle industrie civili e militari.
Ci sono poi, ovviamente, gli investimenti. Nell’annunciare il budget per il 2023, l’aumento più deciso dei capitoli di spesa è, in proporzione, quello sui finanziamenti speciali a sostegno dello sviluppo dei semiconduttori e di altre industrie strategiche: una crescita quasi del 50%. Secondo Reuters, è previsto un ulteriore maxi pacchetto da 143 miliardi di dollari per microchip e intelligenza artificiale. La necessità di perseguire una complicata (e forse utopistica) autosufficienza tecnologica ha permeato tutti i discorsi più recenti di Xi. In tale direzione va anche la ristrutturazione del Ministero di Scienza e Tecnologia. Come si prevedeva sin dalla conclusione del secondo Plenum del XX Comitato centrale del Partito, è stata approntata una riforma profonda che investe soprattutto i settori scientifico e tecnologico con l’obiettivo di razionalizzare la gestione delle risorse e snellire la struttura normativa. E, ovviamente, consente al governo di accentrare e velocizzare il processo decisionale su tutti i settori ritenuti prioritari. A partire da quello che investe la contesa tecnologica su intelligenza artificiale e non solo.
C’è ancora un elemento sul quale la Cina è però in ritardo rispetto agli Usa: la ricerca di base. L’insegnamento e la ricerca in Cina non possono ancora competere con gli stipendi del settore privato, né le università possono attrarre talenti accademici di alto livello dall’estero. Anche per questo, negli obiettivi del terzo mandato di Xi c’è quello non solo di spendere e lanciare nuovi progetti, ma anche costruire una rete efficace e capillare di formazione e ricerca dei talenti. Il governo non deve solo aumentare gli investimenti, ma anche dirigere come un’orchestra le altre componenti della società civile come gli istituti di ricerca, le università e le imprese private: tutti chiamati a collaborare in maniera stretta e sotto la guida della sfera politica.
Proprio nelle scorse settimane, è arrivata l’ennesima accelerazione con il lancio di un nuovo piano chiamato “Intelligenza artificiale per la scienza”. Il progetto si concentrerà sui principali problemi delle discipline di base e sulle esigenze di ricerca nei settori chiave della scienza e della tecnologia, come lo sviluppo di farmaci, la ricerca genetica e l’allevamento biologico, allo scopo di favorire l’apertura e la convergenza delle risorse e potenziare le capacità di innovazione.
Il terzo competitor: la Corea del Sud
Mentre infuria la contesa tra le due potenze, sullo sfondo emerge un altro attore sempre più in grado di competere con gli innovatori cinesi e statunitensi. Si tratta della Corea del Sud, che a sua volta si è posta l’obiettivo di diventare un leader mondiale nell’AI entro il 2030. Uno dei principali punti di forza di Seul è l’avanzata infrastruttura di telecomunicazioni e gli alti livelli di penetrazione di Internet. Una solida base per lo sviluppo e la diffusione di tecnologie basate sull’AI, come l’Internet delle cose e i veicoli autonomi. Il governo ha investito oltre 2 miliardi di dollari nella ricerca e nello sviluppo dell’AI negli ultimi 4 anni. Sono stati poi istituiti il Korea AI Research Institute e il Korea Institute for Artificial Intelligence per coordinare e promuovere la ricerca e lo sviluppo. Anche il settore privato è stato coinvolto attivamente: colossi come Samsung, LG e Naver, che hanno investito molto nella ricerca e nello sviluppo dell’AI. Queste aziende si stanno concentrando sullo sviluppo di applicazioni e servizi basati sull’AI in settori quali la sanità, la finanza e la vendita al dettaglio. Oltre a queste grandi aziende, c’è anche una galassia in espansione di startup attive nel settore. La Corea del Sud è una potenza anche nello sviluppo della robotica alimentata dall’intelligenza artificiale, in particolare nel campo dei robot di servizio, che si prevede svolgeranno un ruolo importante nell’invecchiamento della popolazione.
Finora, la relazione tra Seul e Pechino è stata non solo di competizione ma anche di partnership. I due paesi asiatici hanno collaborato a una serie di iniziative sull’AI. Ad esempio, il Korea Advanced Institute of Science and Technology e la cinese Tsinghua University sono legate da un memorandum d’intesa per collaborare nella ricerca e nello sviluppo dell’AI, con particolare attenzione ad aree quali l’elaborazione del linguaggio naturale, la computer vision e la robotica. Inoltre, diverse aziende coreane, come Samsung e SK Telecom, hanno aperto centri di ricerca e sviluppo nella Repubblica Popolare, avviando diverse collaborazioni con aziende e ricercatori cinesi.
Visti però gli ultimi sviluppi politici, geopolitici e strategici, è altamente probabile che la relazione assuma tratti di maggiore rivalità. Con l’arrivo del Presidente conservatore Yoon Suk-yeol, ma soprattutto dopo la recente escalation di tensioni con la Corea del Nord e gli effetti collaterali della guerra in Ucraina, Seul ha molto rafforzato i rapporti con gli Usa. Sia sul fronte militare sia su quello tecnologico, che ormai sono ritenuti entrambi cruciali e sempre più intrecciati. Nonostante le perplessità, la Corea del Sud è entrata nella cosiddetta Chip 4, un’alleanza sulla produzione di semiconduttori che include anche Giappone e Taiwan, con l’obiettivo di ridurre l’accesso cinese alle tecnologie più avanzate. Lo stesso sta accadendo anche sul fronte dell’intelligenza artificiale. D’altronde, la tecnologia non è solo tecnologia.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di aprile/giugno di eastwest
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