Questa edizione è popolata soprattutto da figure dei Paesi emergenti e in via di sviluppo più che dei Paesi occidentali, tranne rare eccezioni. Una Via della Seta a due velocità: una con sempre più ostacoli in Occidente, l’altra più spedita nel Sud globale.
L’ultima volta era stata l’aprile del 2019. Quattro anni e mezzo fa, un’eternità. Prima della pandemia di Covid-19, prima della guerra in Ucraina, prima della visita di Nancy Pelosi a Taiwan, prima del nuovo conflitto tra Israele e Hamas. Prima di tutto questo, a Pechino si era tenuto il secondo forum sulla Belt and Road Initiative (BRI), nome ufficiale del colossale progetto cinese noto in Italia con la più romanticheggiante alternativa di “Nuova Via della Seta”. Quattro anni e mezzo fa, a Pechino c’era anche l’allora premier italiano Giuseppe Conte. Stavolta, c’è un rappresentante della Farnesina. Già, perché l’Italia si prepara a uscire dalla BRI, seppure abbia rispettato l’etichetta istituzionale attendendo lo svolgimento della terza edizione del forum per non rovinare la festa del presidente Xi Jinping.
Tra martedì 17 e mercoledì 18 ottobre sono attesi all’evento rappresentanti di oltre 130 Paesi. Xi partecipa alla cerimonia di apertura del forum e terrà un discorso programmatico, oltre a organizzare un banchetto di benvenuto ed eventi bilaterali per i vari ospiti. Il bilaterale più atteso è ovviamente quello con Vladimir Putin. Anticipato da un colloquio tra i due ministri degli Esteri, Wang Yi e Sergej Lavrov, i due leader si ritrovano a Pechino venti mesi dopo l’ormai celebre incontro del 4 febbraio 2022 a margine dei Giochi Olimpici Invernali.
In quell’occasione fu forgiata quella “partnership senza limiti” che la Cina ha poi rapidamente disconosciuto con la guerra in Ucraina. Quantomeno a livello lessicale, facendola depennare da tutti i successivi incontri e dal documento congiunto dello scorso marzo durante la visita di Xi a Mosca. Gli analisti si attendono novità più concrete sul fronte energetico. Secondo i dati doganali cinesi, a settembre il valore degli scambi bilaterali è salito a 21,18 miliardi di dollari, il valore più alto dal febbraio 2022. Il mese scorso, il ministro del Commercio cinese Wang Wentao ha dichiarato che la cooperazione economica e commerciale tra Cina e Russia si è approfondita ed è diventata più “solida” sotto la “guida strategica” dei due leader.
Mosca esporta circa 2 milioni di barili di petrolio al giorno in Cina, pari a più di un terzo delle sue esportazioni totali di greggio. Circa il 40% delle forniture passa attraverso l’oleodotto East Siberia Pacific Ocean (ESPO), lungo 4.070 km e finanziato con prestiti cinesi per un valore stimato di 50 miliardi di dollari. Le forniture attraverso il gasdotto Power of Siberia, invece, sono iniziate alla fine del 2019 e dovrebbero salire a 38 miliardi di metri cubi all’anno entro il 2025. Sono attese novità più precise sul secondo gasdotto verso la Cina, il Power of Siberia 2, che dovrebbe avere una capacità di 50 miliardi di metri cubi all’anno e passare per la Mongolia. Xi e Putin hanno menzionato più volte il progetto nei loro recenti incontri, ma non sono ancora chiari contorni e tempistiche del progetto.
I titoli dei media internazionali saranno senz’altro dominati dall’incontro Xi-Putin, ma a Pechino ci sono diversi altri attori. Più di una dozzina di leader provenienti da Africa, Asia e Medio Oriente sono già arrivati a Pechino, tra cui il presidente cileno Gabriel Boric, il primo ministro ungherese Viktor Orbán, il primo ministro etiope Abiy Ahmed, il presidente dello Sri Lanka Ranil Wickremesinghe, il presidente della Repubblica del Congo Denis Sassou Nguesso, il primo ministro della Papua Nuova Guinea James Marape e il primo ministro cambogiano Hun Manet.
Presente anche il presidente indonesiano Joko Widodo. Proprio lui, a inizio ottobre ha inaugurato il treno Giacarta-Bandung, la linea ferroviaria ad alta velocità del Sud-Est asiatico. Un progetto che rientra sotto l’ombrello della BRI, lanciata esattamente dieci anni fa da Xi appena asceso al potere. Lo sviluppo della rete ferroviaria del Sud-Est asiatico è da sempre uno dei primi obiettivi della Belt and Road. Nel 2021 è entrato in funzione il collegamento tra Kunming, capoluogo della provincia cinese dello Yunnan, e Vientiane, capitale del Laos. Il primo passo di un tracciato che in futuro dovrebbe arrivare fino a Singapore passando per Thailandia e Malesia.
Presenti anche emissari del governo dei talebani in Afghanistan. Alla Cina interessano i giacimenti non sfruttati di rame e litio, mentre i talebani vorrebbero entrare a far parte del Corridoio economico Cina-Pakistan.
Negli ultimi anni i progetti targati BRI hanno perso un po’ di slancio. Non solo per la pandemia, ma anche per il rallentamento della crescita cinese e le tensioni geopolitiche che hanno provocato ritardi, rallentamenti e sospensioni di diversi progetti. Fino al 2019 sono stati investiti circa 100 miliardi di dollari all’anno, da allora la cifra si aggira tra i 60 e i 70 miliardi. E alcuni Paesi sono in difficoltà o del tutto impossibilitati a ripagare i debiti accumulati nei confronti della Cina. Questo non significa che il progetto è destinato ad arenarsi. Anzi, l’idea è quella di passare dai mastodontici progetti portatori (anche) di debito a obiettivi più specifici e di alta qualità.
Qualche tempo fa, Wang Yi aveva auspicato “progetti piccoli e belli” in ambito BRI. Non a caso il nome ufficiale del terzo forum richiama questo concetto: “High-quality Belt and Road Cooperation: Insieme per lo sviluppo e la prosperità comuni”. Il richiamo è in realtà anche ad altri due concetti chiave della retorica della “nuova era” di Xi: prosperità comune e destino condiviso. Il primo tradizionalmente all’interno, il secondo all’esterno. Citato per la prima volta proprio nel discorso con cui da Giacarta lanciò la Via della Seta marittima il 2 ottobre 2013, nelle scorse settimane Pechino ha rilasciato un documento che sistematizza la teoria della “comunità globale con destino condiviso”, che mira a presentare la Cina come un attore responsabile e garante di stabilità. Una retorica adottata su diverse crisi di questi anni, spesso in contrapposizione agli Stati Uniti, presentati invece dalla narrazione cinese come portatori di instabilità e di una “mentalità da guerra fredda” che rischia di dare forma a una nuova “logica di confronto tra blocchi”. Si tratta di una narrazione che trova consensi soprattutto nel cosiddetto Sud globale. E non è un caso che il terzo forum sia pensato e popolato soprattutto da figure dei Paesi emergenti e in via di sviluppo più che da figure dei Paesi occidentali, tranne rare eccezioni.
In futuro, si può prevedere una Via della Seta a due velocità: una con sempre più ostacoli in Occidente, soprattutto nei settori strategici come infrastrutture e telecomunicazioni, l’altra più spedita nel Sud globale.