Xi Jinping riunisce a porte chiuse i principali leader cinesi con l’obiettivo di dare una direzione precisa allo sviluppo finanziario dei prossimi 5 anni, in un momento in cui la crescita economica della Cina sembra aver rallentato il passo.
L’ultima volta era ancora il 2017. Sembra quasi un’altra epoca. Prima del Covid, prima della guerra in Ucraina e di quella tra Israele e Hamas, prima persino della guerra commerciale tra Cina e Stati Uniti. O ancora: prima della rimozione del vincolo dei due mandati presidenziali nella Repubblica Popolare. Ecco, quella fu l’ultima volta in cui Xi Jinping avviò la Conferenza quinquennale sulle politiche finanziarie. A sei anni di distanza, lunedì 30 e martedì 31 ottobre il leader che nel frattempo ha ottenuto e avviato il suo terzo mandato, riunisce a porte chiuse i principali leader cinesi, i dirigenti statali, le autorità di regolamentazione e i banchieri di alto livello. Obiettivo: dare una direzione precisa allo sviluppo finanziario dei prossimi cinque anni.
Un’altra differenza rispetto al passato è che la conferenza si svolge in un momento in cui la crescita economica della Cina sembra aver rallentato il passo e le turbolenze (esterne e interne) hanno in qualche modo scosso l’ecosistema finanziario del gigante asiatico. La crisi immobiliare e l’aumento del debito sono le due preoccupazioni principali, inserite in un contesto in cui il Partito comunista sta provando a rivedere il proprio modello di sviluppo. Dall’alta esposizione debitoria portata da giganteschi progetti infrastrutturali e dagli investimenti a debito dei colossi immobiliari, si sta provando ad arrivare a una crescita di più alta qualità e soprattutto con meno rischi. Provando dunque a schermarsi sia dalle problematiche esterne (leggasi sanzioni, interruzioni delle catene di approvvigionamento, crisi economiche), sia da quelle interne.
La conferenza si dovrebbe non a caso concentrare principalmente sulla risoluzione del debito. Già nel 2018, il governo centrale ha chiesto alle autorità locali di smettere di accumulare i cosiddetti debiti nascosti, canali informali di prestito spesso attraverso veicoli di finanziamento del governo locale. Obiettivo non del tutto raggiunto, anche perché la stretta e l’avvio della conversione del modello di sviluppo cinese sono coincisi con la pandemia prima e la guerra poi. Le difficoltà per il settore immobiliare (su tutti), che erano state già preventivate quando Xi tracciò le cosiddette “tre linee rosse” per ridurre l’esposizione debitoria, sono state acuite dagli eventi esterni. E le casse locali sono strettamente correlate, così come i fondi fiduciari, proprio ai costruttori immobiliari.
Il governo non ha sin qui predisposto mastodontici piani di salvataggio, ma proprio la scorsa settimana è arrivata una mossa piuttosto rilevante, quando Pechino ha approvato l’emissione di 1.000 miliardi di yuan (137 miliardi di dollari) di obbligazioni sovrane, i cui fondi saranno trasferiti ai governi locali per sostenere la ricostruzione e migliorare le capacità di prevenzione e soccorso in caso di disastri. Metà delle obbligazioni dovranno essere emesse e spese prima della fine del 2023 e l’altra metà entro il 2024. La nuova emissione porterà il rapporto tra deficit di bilancio e prodotto interno lordo a circa il 3,8%, ben oltre l’obiettivo del 3% fissato a marzo durante le cosiddette “due sessioni”.
La parola chiave della conferenza sarà come sempre quella: stabilità.
Nell’ultimo anno Pechino ha chiesto alle maggiori banche cinesi di assumersi una parte della responsabilità, fornendo sostegno creditizio ai costruttori in difficoltà e ai veicoli di finanziamento degli enti locali, che hanno un debito di 9 mila miliardi di dollari. La loro crescente esposizione ha suscitato l’allarme di alcuni analisti. Verrà probabilmente chiesto ai governi locali di rispondere della risoluzione del debito nascosto esistente e della prevenzione di nuove passività illecite. In questo senso potrebbe giocare un ruolo importante il nuovo ministro delle Finanze, Lan Foan, nominato al posto di Liu Kun dal Comitato permanente dell’Assemblea Nazionale del Popolo una settimana fa. Lan è il primo titolare delle Finanze in 40 anni a non essere stato prima viceministro. La rapida ascesa è dovuta alla sua esperienza da governatore provinciale, in un momento in cui la priorità del partito è impedire il contagio della crisi immobiliare sulle casse locali.
Nel corso della riunione a porte chiuse ci si aspetta che venga ribadito il principio secondo cui il settore finanziario deve essere al servizio dell’economia reale. Ciò potrebbe significare una spinta a concedere più prestiti a settori chiave come l’alta tecnologia, le nuove energie e la protezione dell’ambiente, mentre potrebbero essere prese in considerazione anche iniziative per stimolare i consumi e i settori dei servizi.
E poi c’è ovviamente l’aspetto politico. Rispetto all’ultima conferenza quinquennale del 2017, la presa del Partito e dunque di Xi sul settore privato si è molto amplificata. La campagna di rettificazione delle grandi piattaforme digitali è servita come esempio a mostrare che le grandi imprese non possono ammassare eccessivo potere e possibilmente devono contribuire a perseguire i principali obiettivi strategici della politica.
A riprova del mai sopito impulso a “pulizia” e “controllo”, anche i dati diffusi dalla Commissione centrale per la Disciplina e la Supervisione del Partito, secondo cui tra gennaio e settembre del 2023 sono stati puniti per corruzione 405 mila funzionari, di cui 34 con incarichi di alto livello. Tra di loro, l’ex segretario del Partito nella città di Hangzhou (la sede centrale di Alibaba) e l’ex vice governatore della Banca Popolare Cinese. La riforma dell’apparato governativo e statale prevede peraltro una maggiore supervisione centrale e partitica. Xi ha dato un ulteriore messaggio nei giorni scorsi, quando prima della conferenza ha compiuto la sua prima storica visita nei panni di leader alla sede della banca centrale.
La Cina deve continuare a crescere ma deve farlo seguendo un altro dei concetti mantra dell’era di Xi: la sicurezza.
L’ultima volta era ancora il 2017. Sembra quasi un’altra epoca. Prima del Covid, prima della guerra in Ucraina e di quella tra Israele e Hamas, prima persino della guerra commerciale tra Cina e Stati Uniti. O ancora: prima della rimozione del vincolo dei due mandati presidenziali nella Repubblica Popolare. Ecco, quella fu l’ultima volta in cui Xi Jinping avviò la Conferenza quinquennale sulle politiche finanziarie. A sei anni di distanza, lunedì 30 e martedì 31 ottobre il leader che nel frattempo ha ottenuto e avviato il suo terzo mandato, riunisce a porte chiuse i principali leader cinesi, i dirigenti statali, le autorità di regolamentazione e i banchieri di alto livello. Obiettivo: dare una direzione precisa allo sviluppo finanziario dei prossimi cinque anni.
Un’altra differenza rispetto al passato è che la conferenza si svolge in un momento in cui la crescita economica della Cina sembra aver rallentato il passo e le turbolenze (esterne e interne) hanno in qualche modo scosso l’ecosistema finanziario del gigante asiatico. La crisi immobiliare e l’aumento del debito sono le due preoccupazioni principali, inserite in un contesto in cui il Partito comunista sta provando a rivedere il proprio modello di sviluppo. Dall’alta esposizione debitoria portata da giganteschi progetti infrastrutturali e dagli investimenti a debito dei colossi immobiliari, si sta provando ad arrivare a una crescita di più alta qualità e soprattutto con meno rischi. Provando dunque a schermarsi sia dalle problematiche esterne (leggasi sanzioni, interruzioni delle catene di approvvigionamento, crisi economiche), sia da quelle interne.