Cina: l’anno del Drago si presenta turbolento
Il 2024 è il 75esimo anniversario della Repubblica Popolare Cinese. Come sta la seconda potenza mondiale? Rallentamento economico, disoccupazione giovanile, crisi demografica e turbolenze geopolitiche.
Il 2024 è il 75esimo anniversario della Repubblica Popolare Cinese. Come sta la seconda potenza mondiale? Rallentamento economico, disoccupazione giovanile, crisi demografica e turbolenze geopolitiche.
L’anno del drago. Il 10 febbraio comincia il conto alla rovescia che porterà al 75esimo anniversario della fondazione della Repubblica Popolare Cinese, che ricorre il prossimo 1° ottobre. L’avvicinamento avverrà all’ombra del segno più amato dell’astrologia cinese, quel drago simbolo di potenza e che da sempre contraddistingue la simbologia del gigante asiatico, sin dai tempi imperiali. Mancheranno dunque solo 25 anni al centenario del 2049. Sì, “solo”, perché il Partito comunista è abituato a pensare sul lungo termine, a maggior ragione se all’orizzonte si intravede la data limite individuata per completare il “grande ringiovanimento nazionale” e rendere la Cina una “moderna potenza socialista”. D’altronde, all’alba del terzo millennio l’ex presidente Jiang Zemin aveva profetizzato un “ventennio di opportunità strategiche”, prontamente materializzatosi tra post 11 settembre, crisi finanziaria soprattutto occidentale e deterioramento del sistema democratico. Un ventennio finito forse con qualche anticipo, tra pandemia di Covid-19 e guerra in Ucraina, che hanno accelerato le dinamiche della competizione strategica con gli Stati Uniti.
Eppure, nell’ultimo quarto di secolo che la Repubblica Popolare fondata da Mao Zedong nel 1949 ha davanti prima dello storico giro di boa, le sfide sembrano più delle opportunità. Basti rileggere il rapporto di lavoro di Xi Jinping al XX Congresso del Partito comunista cinese dell’ottobre 2022, quello in cui ottiene il suo terzo mandato da segretario generale, così come il suo discorso di chiusura: la “nuova era” è fatta da “acque turbolente” e “sfide senza precedenti”. O ancora: “Lungo il percorso, siamo destinati a incontrare dei venti contrari. Alcune imprese hanno avuto difficoltà. Alcune persone hanno avuto difficoltà a trovare lavoro e a soddisfare i bisogni primari”, ha detto Xi nel suo discorso di fine anno lo scorso dicembre, quando tutti i media internazionali si sono concentrati soprattutto sulle dichiarazioni (per la verità tutt’altro che inedite) a proposito di Taiwan e alla “riunificazione” come “necessità storica”.
Il presidente cinese ha di fatto ammesso che la Cina sta incontrando e incontrerà ancora dei problemi sulla strada della ripresa economica. Una ripresa che è stata più lenta del previsto dopo la fine delle restrizioni anti Covid, rimosse da gennaio 2023. La crescita del Pil è stata del 5,2%. Il dato è in linea con l’obiettivo “superiore al 5%” fissato dal governo, considerato però molto cauto dopo che nel 2022 il target era stato mancato di parecchio. Pechino rivendica che la sua crescita è la più alta tra le grandi economie mondiali. Vero, ma se si escludono gli anni della pandemia è il dato più basso dal 1990, l’anno dopo piazza Tiananmen.
Significativo che nel discorso tradizionalmente dedicato ai risultati conseguiti nell’anno appena trascorso, Xi non si sia tirato indietro nel citare anche alcune difficoltà. “Alcuni luoghi sono stati colpiti da inondazioni, tifoni, terremoti o altri disastri naturali. Tutti questi aspetti rimangono in primo piano nella mia mente. Quando vedo che le persone sono all’altezza della situazione, che si tendono la mano nelle avversità, che affrontano le sfide a testa alta e superano le difficoltà, mi commuovo profondamente”, ha proseguito. “Ricorderemo quest’anno come un anno di duro lavoro e perseveranza”, una delle parole chiave della retorica di Xi negli ultimi due anni.
D’altronde, gli ostacoli che sembrano pararsi di fronte a Pechino non sono pochi. Secondo le principali banche d’investimento internazionali, nel 2024 la crescita del Pil cinese sarà inferiore al 5%. “Turbolenze esterne e scarsa fiducia dei cittadini: abbiamo di fronte diversi rischi e incognite”, ha ammesso l’Ufficio nazionale di statistica presentando i dati del 2023. Sul piano interno, c’è da affrontare una crisi immobiliare che non sembra accennare a concludersi. Fin qui il governo ha evitato maxi interventi di salvataggio. D’altronde, fu lo stesso Xi a tracciare alcune “linee rosse” per l’operato del settore immobiliare, abituato a crescere in modo poco regolato e, soprattutto, con un modello di investimenti a debito altamente rischioso.
Pechino è intervenuta in modo intenzionale, consapevole di poter perdere qualche decimale a fronte di un cambio di paradigma per rendere settore e crescita più stabili. Ma dopo la caduta di Evergrande anche tanti altri colossi sono finiti in difficoltà, contagiando il sistema bancario ombra e dei fondi fiduciari, tradizionalmente legati a doppio filo proprio col settore immobiliare. Il gigante tentacolare Zhongzhi è finito in bancarotta.
Tutto ciò si ripercuote in modo negativo sui consumi. L’obiettivo indicato da tempo di Xi, cioè trasformare la cosiddetta fabbrica del mondo in una società di consumi interna, è rimasto ancora parzialmente inevaso. Anche perché nel frattempo la fiducia di cittadini e imprese non sembra tornata ai livelli pre Covid. A completare il quadro, un problema che è forse tra i principali sul medio lungo termine: il calo demografico.
La popolazione della Repubblica popolare è diminuita nel 2023 per il secondo anno consecutivo. Nel 2022 si erano perse 850 mila persone, primo storico calo dal 1961, tempo di carestia in seguito al “grande balzo in avanti” di Mao Zedong. Nel 2023 il calo è stato di 2,08 milioni, con l’India che ha operato il sorpasso su Pechino laureandosi nazione più popolosa al mondo. L’alta disoccupazione giovanile e i prezzi delle case stanno affossando i tentativi del governo di invertire il trend negativo. Agevolazioni fiscali, sussidi per l’acquisto delle case e congedi di maternità prolungati non stanno fin qui bastando a sollevare un tasso di natalità che ha raggiunto il minimo di 6,39 nascite ogni mille persone.
Non pare sin qui funzionare nemmeno la cosiddetta “politica del terzo figlio”: non solo perché è difficile scalfire una prassi divenuta anche culturale come quella del figlio unico, ma soprattutto per un mutamento profondo nella società cinese che da rurale è diventata urbana. Con l’aumento esponenziale della classe media, sono anche cambiati gli stili di vita. Sebbene il numero di matrimoni nel 2023 sia aumentato, aumentano anche le separazioni. Sposarsi meno e più tardi è poi una conseguenza naturale di una società più sviluppata economicamente e culturalmente, come già visto in tante altre società asiatiche e occidentali.
Già oggi il 21% della popolazione cinese (circa 297 milioni di persone) ha più di 60 anni, ma nel 2040 la percentuale dovrebbe arrivare al 28%. L’Accademia cinese delle scienze sociali ha previsto qualche anno fa che nel 2035 si potrebbe arrivare al potenziale esaurimento del sistema pensionistico. Tanto che Xi Jinping potrebbe essere costretto prima o poi a operare delicate riforme e aprire il dossier delle pensioni. L’età pensionabile in Cina è d’altronde tra le più basse al mondo: 60 anni per gli uomini, 55 per le impiegate e 50 per le donne che lavorano nelle fabbriche. Norme non più in linea con l’andamento economico e demografico del gigante asiatico.
Oltre all’economia, che già rappresenta un dossier cruciale, non mancano questioni di politica interna. Dopo aver rimodellato Comitato centrale e Politburo a sua immagine e somiglianza al Congresso del 2022, Xi ha dovuto rimuovere in rapida successione due ministri e consiglieri di Stato promossi lo scorso marzo. Soprattutto, due figure che gli sarebbero state vicine.
A fine luglio è stato rimosso il ministro degli Esteri Qin Gang. Ex ambasciatore negli Stati Uniti, Qin era stato protagonista di una rapida ascesa politica dovuta anche e soprattutto ai suoi rapporti con Xi. Qin ha perso il posto in mezzo a insistenti voci di una relazione extraconiugale con una reporter televisiva cinese, con importanti agganci internazionali. Una relazione che sarebbe nata mentre si trovava a Washington a ricoprire il ruolo più delicato della diplomazia cinese, cioè quello di ambasciatore negli Stati Uniti. Poche settimane dopo è toccato a Li Shangfu, il ministro della Difesa. In questo caso, la decisione sarebbe legata a un’indagine scaturita sulla precedente posizione di Li come responsabile delle forniture militari. E sarebbe all’interno di una vicenda molto più ampia, la stessa che ha portato Xi a silurare all’improvviso i vertici delle forze missilistiche dell’Esercito popolare di liberazione a inizio agosto. Mossa a cui sono seguiti altri avvicendamenti e allontanamenti a fine dicembre sia nelle forze armate che a capo di alcune delle industrie chiave per lo sviluppo aerospaziale. Mentre Qin è stato sostituito subito col ritorno di Wang Yi, il buco di ministro della Difesa è rimasto aperto per diversi mesi prima di venire coperto nelle ultime ore del 2023 con Dong Jun. Per la prima volta la Cina sceglie un ministro proveniente dalla Marina. Per la prima volta viene scelto un ufficiale che non fa parte, per ora, della Commissione militare centrale. Prima del centenario della Repubblica Popolare ci sarà quello dell’Esercito popolare di liberazione, nel 2027. Entro allora Xi ha chiesto dei passi avanti concreti sulla modernizzazione delle forze armate e sulla prontezza di combattimento. I recenti sconvolgimenti e la campagna anticorruzione dimostrano che di lavoro da fare ce n’è ancora parecchio, anche se la forza di fuoco di Pechino (soprattutto sul fronte navale) è in rapida e netta espansione.
Non mancano ovviamente le sfide strategiche. Al centro dell’attenzione resta sempre Taiwan, a maggior ragione dopo la vittoria di Lai Ching-te del Partito progressista democratico (DPP, il più inviso a Pechino) alle elezioni presidenziali del 13 gennaio. Lo status quo sullo Stretto traballa da un po’ e sulla sua stabilità inciderà in modo rilevante anche il voto per la Casa Bianca del prossimo novembre, ma in generale anche l’andamento dei rapporti con Washington.
Sul fronte internazionale, resta caldo il confine con l’India. Come svelato nelle scorse settimane, anche nel 2022 ci sono stati diversi episodi di scontri tra le truppe dei due Paesi lungo la frontiera contesa, anche durante i colloqui per stabilizzare una situazione resa volatile dalle violenze del giugno 2020, quando per la prima volta dopo tanti anni ci furono diversi morti da entrambe le parti.
Non da meno (anzi) le tensioni sul mar Cinese meridionale. In particolare, con le Filippine. Dall’estate del 2023 si sono succeduti scontri, incidenti, speronamenti e cannoni ad acqua tra le navi di Pechino e di Manila, quasi sempre in prossimità della secca di Second Thomas, ogni qualvolta le Filippine avviano missioni di rifornimento o sostituzione del piccolo drappello di militari di stanza sulla Sierra Madre, il relitto di una nave statunitense della Seconda Guerra Mondiale arenato volontariamente nei pressi di un atollo conteso e trasformato in una piccola base.
Attenzione poi al Myanmar, dove la guerra civile prosegue e anzi si è intensificata, coi gruppi ribelli armati che hanno conquistato diverse postazioni proprio al confine con la Cina. L’esercito birmano ha bombardato nei pressi della frontiera, facendo finire qualche colpo su territorio cinese come già accaduto in passato. Pechino non apprezza e pur mantenendo fitto il dialogo col regime golpista non disdegna la comunicazione coi gruppi etnicamente cinesi suoi rivali.
La Cina osserva con qualche apprensione anche quanto accade sui suoi mari orientali. La tensione crescente sulla penisola coreana pare destinata ad attirare ancora più attenzione degli Usa nell’area, con il rafforzamento delle manovre militari con Corea del Sud e Giappone. La Corea del Nord di Kim Jong-un rinsalda invece l’asse con la Russia, con Vladimir Putin che sembrerebbe presto visitare Pyongyang. Sarà interessante vedere i movimenti di Xi, che nel corso del 2024 dovrebbe incontrare il premier giapponese Fumio Kishida e il presidente sudcoreano Yoon Suk-yeol per riesumare il meccanismo di dialogo trilaterale rimasto inattivo dal 2019.
L’anno del drago si presenta turbolento e Pechino spera di non dover sputare fiamme.
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