Quaranta anni dopo la riforma epocale di Deng Xiaoping, Xi prende di nuovo in mano il controllo della Storia cinese, per arginare l’espansione disordinata del capitale
Quando si pensa di averla compresa, sorprende sempre. La Cina sta di nuovo cambiando volto. Non è ancora chiaro quali saranno le sembianze finali, ma si iniziano a intravederne i tratti. “Prosperità comune” è il concetto chiave che torna più spesso. Il discorso del 17 agosto di Xi Jinping promette di essere un manifesto politico in vista del fondamentale congresso del 2022 che dovrebbe consegnargli il terzo mandato, nonché il pilastro della nuova era che il Partito comunista è pronto a lanciare.
L’adozione di una nuova “risoluzione sulla storia”, al plenum di novembre, rappresenta un passaggio fondamentale. In passato, tale operazione era stata compiuta solo nel 1945 e nel 1981. In entrambi i casi fu funzionale a una maggiore assunzione di potere dei leader dell’epoca, Mao Zedong e Deng Xiaoping, che imposero la propria linea archiviando l’era precedente. Se il “piccolo timoniere” aveva rinnegato la Rivoluzione Culturale e lanciato la stagione della Riforma e Apertura, ora Xi vuole dare nuovo impulso al suo sogno cinese di “ringiovanimento nazionale”. Obiettivo da perseguire attraverso un maggiore controllo dell’economia privata, come già anticipato dal sistema della doppia circolazione lanciato nel 2020, una redistribuzione della ricchezza e un modello di sviluppo più controllato. Anche a patto di provocare un “rallentamento strutturale” alla crescita, come spiegato da Giuliano Noci del Politecnico di Milano. I primi segnali sono arrivati dai dati sul Pil del terzo trimestre, influenzati dalla doppia crisi immobiliare ed energetica ma anche dalla stretta sui colossi digitali.
L’altra (omessa) faccia della medaglia della “prosperità comune” è infatti un potere sempre più concentrato nelle mani del Partito comunista che si fa ancora più pervasivo in tutti i gangli della vita economica e sociale della Cina. La priorità, come sempre, è la stabilità e l’imposizione di una narrativa nella quale il Partito resta sempre al centro, unico possibile garante dell’ordine e agente propulsore di una società più equa. Dopo l’epoca delle privatizzazioni e del capitalismo sfrenato, il Partito torna un po’ più comunista (non a caso negli ultimi anni le citazioni di Marx da parte di Xi sono aumentate) per intercettare qualche segnale di malessere e insoddisfazione nella popolazione cinese. Entrano così nel mirino le grandi concentrazioni di denaro, le azioni spericolate a debito fatte sulla pelle dei piccoli investitori, gli orari di lavoro massacranti imposti dai “capitalisti cattivi”.
L’episodio di Jack Ma sembrava rispondere al classico metodo “colpirne uno per educarne cento”. In realtà, si è poi compreso che la vicenda di Ant Group e Alibaba era solo l’inizio di un processo nel quale il Partito ne colpisce tanti per educare tutti. Improvvisamente, i campioni tecnologici nazionali sono diventati esempi di avidità, chiamati a condividere il proprio successo con le piccole e medie imprese, entità alle quali si sta pensando di dedicare una nuova borsa da aprire a Pechino. La stretta a tenaglia sui colossi digitali è duplice: politica e normativa. Ed ecco allora la triade di leggi su privacy, cybersecurity e protezione dei dati personali, o ancora l’applicazione più severa delle regole antitrust a contrasto di posizioni dominanti in realtà sedimentatesi nel corso del tempo. O ancora la sentenza del Supremo Tribunale Popolare che ha messo fuorilegge il cosiddetto “996”, la massacrante prassi lavorativa imposta dalle grandi piattaforme. Il Partito si propone di correggere e standardizzare comportamenti e pratiche che “pregiudicano gli interessi della popolazione e impediscono una competizione giusta sulla strada dello sviluppo, prevenendo il monopolio delle piattaforme e l’espansione disordinata del capitale”, come ha spiegato Xi in uno dei suoi discorsi pre-plenum.
Sotto la patina di una linea politica popolare (c’è anche chi direbbe populista, con caratteristiche cinesi), scorre il petrolio dei dati. La gran parte del nuovo arsenale normativo di cui si stanno dotando le autorità gravita intorno al controllo di quella miniera di informazioni che il Partito sta provando a togliere dalla disponibilità esclusiva dei privati. Succede per esempio sul fronte dei pagamenti digitali, con la recente richiesta di spacchettamento delle attività di Alipay e la contestuale consegna dei dati dei clienti utilizzati dall’unità dei servizi di microprestito a una nuova joint-venture di valutazione del credito che sarà in parte di proprietà statale. Sono inoltre state dichiarate illegali tutte le attività collegate alle criptovalute, mentre la banca centrale si prepara a lanciare la sua moneta digitale tracciabile e centralizzata.
Attraverso questo “smembra et impera” si raggiunge un triplo obiettivo: rafforzare la nuova retorica della redistribuzione e il ruolo del Partito, togliere il controllo dei dati ai giganti privati e, infine, impedirne la potenziale evoluzione in centri di potere non solo finanziario ed economico ma anche come portatori di istanze politiche. Non a caso la vicenda di Jack Ma è partita proprio da degli appunti mossi dal fondatore di Alibaba su alcune politiche finanziarie portate avanti dal Governo. Non possono più essere celebrate nemmeno figure come quella di Xu Jiayin, il fondatore di Evergrande, il colosso immobiliare che barcolla sull’orlo del default. Xu si è arricchito sfruttando due tendenze storiche della Cina degli ultimi decenni: urbanizzazione ed estensione della classe media. Ma lo ha fatto con un modello esposto a rischi finanziari e all’accumulazione di debito. Un modello che gli ha consentito di diventare prima l’uomo più ricco di Cina e poi l’uomo più ricco d’Asia, traguardi ostentati con l’acquisto di squadre di calcio, jet privati e mega yacht. Se fino a qualche tempo fa tutto questo rendeva Xu un simbolo della crescita cinese, ora lo rende un perfetto bersaglio nei tempi dello sviluppo “controllato” e della “prosperità comune”. Anche a questo, oltre che agli oggettivi problemi economici, si deve il mancato salvataggio di Evergrande, sulla quale invece il Partito sembra voler operare un ennesimo spacchettamento degli asset.
Nella nuova era cinese sembra esserci sempre meno spazio anche per qualsiasi forma di associazionismo. In questo senso vanno letti, per esempio, gli interventi sui gruppi a difesa dei diritti della comunità LGBT+, che negli scorsi mesi sono stati cancellati e chiusi a decine sulla rete cinese. Non si tratta tanto di omofobia, quanto della necessità di tenere sotto controllo qualsiasi movimento possa creare elementi di instabilità attraverso il perseguimento di istanze sociali. La “sicurezza nazionale”, altro mantra della Cina di Xi, viene prima di tutto. Parallelamente, è in corso una “campagna di rettificazione” dello star system e della fan culture. A fine agosto, la Commissione centrale per l’ispezione disciplinare ha annunciato di voler mettere ordine alla “caotica” industria dell’entertainment, colpendo le abitudini “malsane” che “instillano valori scorretti” nei giovani. Dopo il caso del cantante sinocanadese Kris Wu, arrestato con l’accusa di molestie, erano apparsi sui gruppi di suoi fan messaggi di solidarietà e persino ipotetici piani per liberarlo dal carcere. Nel giro di pochi giorni sono stati cancellati più di 150mila post, oltre 4 mila account e circa 1300 gruppi, mentre sono state rimosse 39 app legate a celebrità o a competizioni tra star.
Non a caso, nel “decalogo” della nuova campagna è inclusa anche la messa al bando delle “idol competition“, programmi in cui le star si sfidano per conquistare i voti degli utenti. In diversi articoli degli scorsi mesi, i media di stato hanno descritto la fan culture come un “culto” che può facilmente diventare un bersaglio di “forze straniere che vogliono dividere la società cinese”. Le celebrità devono proporre un’immagine “sana” e “patriottica” e non proiettarsi, anche involontariamente, al di sopra delle regole o del ruolo del Partito.
La “prosperità comune”, ha spiegato da Xi, “è il requisito essenziale del socialismo e una caratteristica importante della modernizzazione in stile cinese” e ostacolo all’estremizzazione delle “disparità sociali” come invece accaduto in Occidente. La sfida, non semplice, sarà quella di mantenere un equilibrio tra efficienza ed equità. A 40 anni dall’ultima volta, la Cina si sta preparando a un passaggio fondamentale. Non si sa ancora come ne uscirà, ma di certo ne uscirà diversa.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di novembre/dicembre di eastwest.
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Quando si pensa di averla compresa, sorprende sempre. La Cina sta di nuovo cambiando volto. Non è ancora chiaro quali saranno le sembianze finali, ma si iniziano a intravederne i tratti. “Prosperità comune” è il concetto chiave che torna più spesso. Il discorso del 17 agosto di Xi Jinping promette di essere un manifesto politico in vista del fondamentale congresso del 2022 che dovrebbe consegnargli il terzo mandato, nonché il pilastro della nuova era che il Partito comunista è pronto a lanciare.
L’adozione di una nuova “risoluzione sulla storia”, al plenum di novembre, rappresenta un passaggio fondamentale. In passato, tale operazione era stata compiuta solo nel 1945 e nel 1981. In entrambi i casi fu funzionale a una maggiore assunzione di potere dei leader dell’epoca, Mao Zedong e Deng Xiaoping, che imposero la propria linea archiviando l’era precedente. Se il “piccolo timoniere” aveva rinnegato la Rivoluzione Culturale e lanciato la stagione della Riforma e Apertura, ora Xi vuole dare nuovo impulso al suo sogno cinese di “ringiovanimento nazionale”. Obiettivo da perseguire attraverso un maggiore controllo dell’economia privata, come già anticipato dal sistema della doppia circolazione lanciato nel 2020, una redistribuzione della ricchezza e un modello di sviluppo più controllato. Anche a patto di provocare un “rallentamento strutturale” alla crescita, come spiegato da Giuliano Noci del Politecnico di Milano. I primi segnali sono arrivati dai dati sul Pil del terzo trimestre, influenzati dalla doppia crisi immobiliare ed energetica ma anche dalla stretta sui colossi digitali.