Il numero crescente di proteste in Cina segnala una frattura tra leadership e popolazione che allontanerebbe gli obiettivi prefissati dal PCC per il 2050. È necessario che i cinesi, soprattutto le nuove generazioni, ritrovino la fiducia verso il futuro
Durante il XX Congresso del Partito Comunista Cinese, tenutosi a Novembre 2022, Xi Jinping ha rievocato la narrativa del “Sogno Cinese”. Si tratta di un concetto ricorrente nella dialettica di Xi. La prima volta che ne parlò era appena salito al potere, la Cina cresceva inarrestabilmente da più di vent’anni (tra il 1980 e il 2010 il Pil è cresciuto, in media, circa il 10% l’anno) e tutti i cinesi avevano fiducia che il futuro sarebbe stato radioso. Fece una promessa: entro il 2050, il Grande Dragone Asiatico avrebbe riconquistato la grandezza di un tempo e si sarebbe affermato come un Paese forte, moderno e rispettato. Per i cittadini questa prospettiva si sarebbe concretizzata in una crescita del benessere, sociale ed economico. Eppure, ad oggi, queste parole hanno un sapore amaro per molti cinesi. Lo dimostrano le proteste che hanno segnato la fine del 2022 in Cina.
Le prime proteste dopo Tiananmen
Decine di migliaia di persone, appartenenti ad ogni fascia della popolazione, sono scese per le strade a manifestare. Si tratta delle prime proteste su scala nazionale dal 1989, l’anno del massacro di Tiananmen. Se a scatenarle è stata la fallimentare politica ZeroCovid perseguita dal governo nell’ultimo anno, ben presto le proteste hanno assunto un carattere più generale, chiedendo le dimissioni di Xi e maggiore libertà. Guardando oltre la facciata, si vedono dei cittadini frustrati, il cui malcontento risale a ben prima della Pandemia. L’ultimo decennio è stato complicato per Pechino e il Covid non ha fatto altro che esasperare problemi già esistenti. Per questo motivo, anche davanti alla graduale riapertura della Cina disposta dalle autorità per calmare i disordini, difficilmente spariranno i malumori.
Disoccupazione in aumento e salari in diminuzione
La Cina di oggi, non è quella di 10 anni fa. Dopo un periodo di inarrestabile ascesa, l’economia è rallentata e sono emerse diverse questioni che, nella foga della scalata, erano state ignorate. Le persone, soprattutto i più giovani, hanno meno fiducia ed entusiasmo verso il futuro. Riecheggia un diffuso senso di incertezza e disillusione: la disoccupazione è aumentata, i salari sono troppo bassi per stare al passo con la crescente inflazione e trasferirsi in città è diventato sempre più difficile. Secondo una stima di Bloomberg, attualmente sono circa 15 milioni i giovani senza lavoro. È una cosa strana se pensiamo che stiamo parlando delle generazioni più istruite nella storia moderna della Cina, proprio quelle che dovrebbe realizzare il “Sogno Cinese”, innovando e modernizzando il Paese. La demotivazione di chi ha in mano il futuro della Cina, rischia di essere un cane che si morde la coda: “L’aggiustamento strutturale che l’economia cinese sta affrontando in questo momento ha bisogno di un maggior numero di persone che diventino imprenditori e si impegnino”, ha dichiarato Zeng Xiangquan, direttore del China Institute for Employment Research di Pechino. Per compiere la transizione in atto nel Paese – da un’economia fondata sulle industrie low skill ad una fondata sull’innovazione tecnologica, i servizi e il consumo – serve un capitale umano ambizioso; altrimenti, il Dragone rischia di rimanere incastrato nella trappola del medio reddito.
Oltre il Covid
Attualmente il settore privato è quello in maggiore difficoltà e, anche in questo caso, i problemi vanno oltre il Covid. Negli ultimi anni, il Partito ha progressivamente inasprito la regolamentazione di settori un tempo molto prosperi, dominati da aziende private che, in passato, hanno dato lavoro a milioni di laureati. Diverse aziende tech (es. Didi Chuxing e Alibaba) sono state sanzionate per comportamenti illeciti, molte imprese immobiliari sono state private dei finanziamenti e il settore del tutoraggio privato è stato quasi completamente eliminato. Tutti questi settori, secondo il partito, stavano diventando un rischio per la stabilità sociale ed economica della Cina. Il risultato è stato spingere diverse compagnie ad effettuare numerosi tagli occupazionali e degli stipendi. Ad oggi, secondo un sondaggio fatto da un’azienda di reclutamento cinese e riportato da Bloomberg, il livello del salario iniziale nel settore privato è sceso del 6% rispetto al 2021. Ciò ha spinto sempre più giovani ad abbandonare le proprie ambizioni e ripiegare nella sicurezza offerta dal settore pubblico. Nel 2022, quasi 2,6 milioni di persone si sono iscritte agli esami per il servizio civile nazionale, un grande aumento rispetto all’anno precedente. A lungo termine, le ambizioni deluse dei laureati rappresentano un grande rischio non solo economico, ma anche politico. Nell’era post-Mao, dove l’ideologia ha perso il suo appeal sui cinesi moderni, la legittimità a governare del Partito Comunista si fonda sulla sua performance economica. Il supporto delle persone al PCC, è strettamente legato alla capacità di quest’ultimo di creare benessere economico per i suoi cittadini. Deludere le aspettative di carriera dei giovani vuol dire inimicarsi non solo loro, ma anche i loro genitori, maturati con l’idea che i loro figli avrebbero avuto prospettive brillanti in una Cina in continua ascesa.
Cosa sta cambiando nella società
La frustrazione delle nuove generazioni, e di gran parte della popolazione, non è però il risultato solo di un’economia più stagnante. L’incredibile scalata Cinese ha dato vita negli anni ad un consistente ceto medio, sempre più critico; si tratta di persone istruite, con accesso ad internet, cresciute in un clima generale molto più sereno rispetto al passato. E’ risaputo che un popolo povero è più facile da controllare: prima di ragionare su questioni astratte, etiche e morali, è necessario aver soddisfatto i bisogni primari. Ne deriva che maggiore è la fascia di popolazione che vive in uno stato di relativo benessere, maggiore sarà il numero di persone che iniziano ad allargare i propri orizzonti. Chi è cresciuto nella Cina post-maoista aveva un solo obiettivo: arricchirsi e lasciarsi alle spalle la miseria che le follie di Mao avevano portato al Paese. Questo ha spinto le persone a lavorare a testa bassa, accettando ritmi estenuanti e una competizione spietata.
Le nuove generazioni chiedono maggiore libertà…
Oggi, per molti, le priorità stanno cambiando. Sono sempre di più i cinesi che ricercano un maggiore equilibrio tra lavoro e vita personale, tra bene collettivo e sviluppo individuale. Non a caso, nella top 10 delle parole più cercate su Internet nel 2021 in Cina c’era “tang ping”, traducibile come “stare sdraiati”: ha un significato ampio ed esprime il rifiuto verso la cultura del super-lavoro e della sfrenata competizione in nome del successo economico. Ad un ripensamento del rapporto individuo-lavoro, si aggiunge un desiderio di libertà, insito nelle nuove generazioni. Chi è cresciuto nel nuovo millennio, ha goduto di libertà personali che avrebbero sconcertato genitori o nonni cresciuti durante le frenesie xenofobe Maoiste. Hanno potuto guardare film stranieri, giocare a videogiochi online provenienti dall’America, studiare e viaggiare all’estero. Tutto questo ha contribuito a creare una società più consapevole del mondo esterno e, dunque, più insofferente alla dura censura del governo di Pechino.
…e il governo risponde con un maggior controllo
Il PCC e Xi si sono accorti di questa emancipazione del popolo e ne sono rimasti spaventati. Le scelte di apertura che hanno permesso alla Cina di integrarsi nell’economia mondiale, trarne beneficio e diventare la seconda economia del mondo hanno messo a repentaglio il monopolio del Partito “sui cuori e le menti” dei cinesi. Dal 2015, Xi si è impegnato a riaffermare tale monopolio, riducendo progressivamente lo spazio per la libertà individuale. Lo ha fatto, per esempio, intensificando il controllo e la censura del web, mettendo al bando gli insegnanti di lingue operanti dall’estero e rimuovendo sempre più film stranieri dai cinema. Tutto questo ha alimentato la frustrazione dei cittadini e il Covid, con le ulteriori privazioni che ha portato, l’ha esasperata.
Ritrovare la fiducia verso il futuro
Il “Sogno Cinese” è in crisi. Le proteste che hanno segnato la fine del 2022 sono il segno di un contratto sociale tra Partito e cittadini da ripensare. Si tratta di uno step necessario per permettere all’economia cinese di ripartire e completare la transizione verso un modello di sviluppo che sia sostenibile nel lungo periodo. La sfida è anche politica: l’instabilità che ha caratterizzato le relazioni internazionali per tutto il 2022 è, probabilmente, destinata a restare, dunque, diventa ancor più cruciale riuscire a ripristinare la stabilità interna. Affinché la Cina possa raggiungere gli obiettivi prefissati dal PCC per il 2050 e competere alla pari con le grandi potenze, in primis gli Usa, è necessario che i cinesi, soprattutto le nuove generazioni, ritrovino la fiducia verso il futuro.
Durante il XX Congresso del Partito Comunista Cinese, tenutosi a Novembre 2022, Xi Jinping ha rievocato la narrativa del “Sogno Cinese”. Si tratta di un concetto ricorrente nella dialettica di Xi. La prima volta che ne parlò era appena salito al potere, la Cina cresceva inarrestabilmente da più di vent’anni (tra il 1980 e il 2010 il Pil è cresciuto, in media, circa il 10% l’anno) e tutti i cinesi avevano fiducia che il futuro sarebbe stato radioso. Fece una promessa: entro il 2050, il Grande Dragone Asiatico avrebbe riconquistato la grandezza di un tempo e si sarebbe affermato come un Paese forte, moderno e rispettato. Per i cittadini questa prospettiva si sarebbe concretizzata in una crescita del benessere, sociale ed economico. Eppure, ad oggi, queste parole hanno un sapore amaro per molti cinesi. Lo dimostrano le proteste che hanno segnato la fine del 2022 in Cina.
Decine di migliaia di persone, appartenenti ad ogni fascia della popolazione, sono scese per le strade a manifestare. Si tratta delle prime proteste su scala nazionale dal 1989, l’anno del massacro di Tiananmen. Se a scatenarle è stata la fallimentare politica ZeroCovid perseguita dal governo nell’ultimo anno, ben presto le proteste hanno assunto un carattere più generale, chiedendo le dimissioni di Xi e maggiore libertà. Guardando oltre la facciata, si vedono dei cittadini frustrati, il cui malcontento risale a ben prima della Pandemia. L’ultimo decennio è stato complicato per Pechino e il Covid non ha fatto altro che esasperare problemi già esistenti. Per questo motivo, anche davanti alla graduale riapertura della Cina disposta dalle autorità per calmare i disordini, difficilmente spariranno i malumori.