Kiev lo commenta tiepidamente, mentre Stati Uniti e Unione Europea lo criticano apertamente. Tra i 12 punti del piano cinese: sì al rispetto della sovranità, no alle armi nucleari, fine delle sanzioni e ripresa del dialogo
Ad un anno e un giorno dall’inizio dell’invasione della Russia in Ucraina gli addetti ai lavori si interrogano ancora sul ruolo interlocutorio della Cina, accusata, da una parte, di non aver stigmatizzato a sufficienza l’intervento militare della Federazione e, dall’altra, persino di agevolare quella ribattezzata da Mosca “operazione militare” con armi e aiuti economici. Ma la formulazione di un piano della pace in 12 punti pubblicato nelle scorse ore dal Ministero degli Esteri di Pechino, che segue il tour europeo di Wang Yi conclusosi con una tappa nella capitale russa, racconta semmai l’importanza strategica che la Repubblica Popolare detiene, insieme agli Stati Uniti, per la fine del conflitto.
È evidente che per la pace in Ucraina saranno necessari passi indietro da parte degli schieramenti coinvolti. Perché è impensabile diplomaticamente la gestione di una Russia sconfitta e annichilita, così come risulta quantomeno complicato immaginare una completa resa dell’esercito ucraino e concessioni territoriali che vadano a sacrificare obtorto collo la sovranità della nazione guidata da Volodymyr Zelensky. Nel mezzo dell’equilibrio, una popolazione allo stremo, che ha subito un lungo anno di violenze e vessazioni, alla ricerca di una reale via d’uscita dall’incubo iniziato il 24 febbraio 2022.
Ciò considerato, è plausibile immaginarsi una fine del conflitto sotto l’egida di Washington e Pechino, con possibile coinvolgimento di un organismo ormai nel suo pieno declino come l’Onu, lontanissimo da quelle Nazioni Unite auspicabili viste le fratture sul piano internazionale, che andranno ad accentuarsi inesorabilmente nei prossimi anni. E partendo dal piano di pace cinese, già in parte vessato dagli Usa, leggiamo che la Repubblica Popolare pone al primo dei 12 punti il rispetto della sovranità, prosegue con la richiesta di abbandono della mentalità da Guerra fredda, si articola con la necessità della fine delle ostilità, propone la ripresa del dialogo e del trovare una soluzione alla crisi umanitaria.
Tra i punti elencati dai cinesi, lo stop alle ipotesi di uso dell’arma nucleare, mettere in sicurezza le centrali nucleari, fine delle sanzioni unilaterali e il mantenimento della stabilità della catena di approvvigionamento globale. Proposte che parzialmente possono essere ricevute dalla comunità occidentale, che ha fatto dell’arma sanzionatoria il caposaldo delle sue politiche di natura estera, che vedono la stessa Cina — con alcuni dei suoi funzionari — colpiti per la gestione dei diritti umani nella regione dello Xinjiang. Tra le altre indicazioni, la protezione umanitaria ai civili, lo scambio di prigionieri, la facilitazione all’export del grano e la promozione della ricostruzione dell’Ucraina post guerra.
L’Ucraina, tramite Zhanna Leshchynska, Charge d’Affaires dell’Ambasciata ucraina a Pechino, ha escluso un cessate il fuoco che rischierebbe di sancire, in sostanza, nuovi confini. “Per noi la Russia deve incondizionatamente ritirare tutte le sue forze dal territorio dell’Ucraina”, ovvero i confini internazionalmente riconosciuti, Crimea compresa. L’inviata diplomatica di Kiev in Cina ha chiesto alla Repubblica Popolare di dimostrare la sua neutralità convincendo Mosca a lasciare il Paese e avviare un vero dialogo con Zelensky.
Jorge Toledo, Ambasciatore dell’Ue in Cina, ha già stigmatizzato il documento, definendolo “non una proposta di pace”, ricordando i rischi che si correrebbero se Pechino fornisse armi alla Russia. È infatti di ieri la notizia che la Repubblica Popolare, secondo Der Spiegel, starebbe trattando la vendita di droni del prototipo ZT-180, voci che seguono le indiscrezioni già trapelate in settimana sul possibile coinvolgimento diretto con armamenti da parte cinese nel conflitto ucraino. Una realtà che, se confermata, cambierebbe repentinamente la portata delle problematiche in essere, ponendo di fronte la comunità internazionale ad un concreto bivio, uno dei quali porta direttamente alla terza guerra mondiale.