Una figura rilevante nel dialogo potrebbe essere Elon Musk, quasi presidente-ombra durante la campagna elettorale e apparentemente molto influente nel circolo di Trump. Musk ha enormi interessi in Cina e si è più volte espresso a favore delle rivendicazioni di Pechino su Taiwan
Donald Trump, dunque. Sarà di nuovo lui l’inquilino della Casa Bianca, a partire dal prossimo gennaio. L’Asia inizia a studiare le possibili conseguenze del ritorno del tycoon come presidente degli Stati Uniti dopo le elezioni vinte la scorsa settimana. Di certo, non ci sarà la continuità con Joe Biden che avrebbe invece garantito Kamala Harris. Ma è da capire il grado della potenziale discontinuità.
Nel frattempo, arriva un segnale molto rilevante sul fronte delle nomine. In un post sui social media, Trump ha fatto sapere che non inviterà l’ex ambasciatrice Nikki Haley, né l’ex segretario di Stato Mike Pompeo. “Ho molto apprezzato e gradito lavorare con loro in precedenza e vorrei ringraziarli per il loro servizio al nostro Paese”, ha aggiunto, dandogli di fatto il benservito. Si trattava di due nomi molto quotati. Pompeo sembrava il favorito per andare a dirigere il Pentagono in veste di segretario della Difesa. Un ruolo assai delicato e che secondo diversi analisti cinesi avrebbe potuto portare a un netto aumento delle tensioni tra le due potenze. Pompeo è infatti noto per le sue posizioni molto ostili nei confronti di Pechino e assai favorevoli nei confronti di Taiwan, così come Haley. L’ex segretario di Stato ha visitato due volte Taipei negli scorsi anni, chiedendo persino all’amministrazione Biden di riconoscere la sovranità della Repubblica di Cina, nome ufficiale con cui Taiwan è indipendente de facto. Anche Haley ha visitato più volte Taipei, attaccando a più riprese la Cina con una retorica molto colorita.
L’esclusione di questi due nomi dà un segnale rilevante, anche se va considerato che entrambi sono entrati in rotta di collisione con Trump in passato, soprattutto Haley. Dunque, la loro esclusione potrebbe dipendere più da logiche interne che esterne. Nonostante questo, Pechino interpreta la loro assenza come un problema in meno nel riaprire il dialogo con la nuova amministrazione. Attenzione, però, perché potrebbero comunque entrare figure note per la loro ostilità al Partito comunista, come Tom Cotton o Marco Rubio.
In realtà, al momento la preoccupazione numero uno nei rapporti è il commercio. Il presidente eletto ha proposto una tariffa del 60% su tutte le importazioni statunitensi dalla Cina. Se dovesse mantenere queste promesse, ciò ridurrebbe in modo significativo la competitività dei prodotti cinesi, pesando sulle esportazioni e sulla crescita economica di Pechino. Se Robert Lighthizer, rappresentante del commercio americano nel primo mandato di Trump e grande sostenitore dei dazi, dovesse tornare come sembra, la Cina potrebbe interpretarla come una volontà di disaccoppiamento. È probabile che l’amministrazione Trump separi ulteriormente i settori high-tech, puntando in particolare a nuove restrizioni sui semiconduttori, sulla tecnologia quantistica e sull’intelligenza artificiale. Secondo Caixin, le sanzioni potrebbero estendersi ad altre forme di produzione avanzata e alla tecnologia biomedica. Questa volta ci si aspetta una Cina in grado di reagire diversamente all’ipotetico muro contro muro, ben più aggressivamente del passato, usando anche diverse leve come: vendita dei titoli del Tesoro americano, svalutazione yuan, blocco delle terre rare e risorse cruciali a tecnologia e industria verde.
Ma c’è anche chi crede che Trump, la cui amministrazione ha negoziato la prima fase dell’accordo commerciale sino-statunitense, potrebbe anche continuare a spingere per accordi economici e commerciali nel suo secondo mandato, anche sugli investimenti. Potrebbe dare ordine alla sua amministrazione entrante di avviare nuovi negoziati con la Cina sulle politiche di sovvenzione, sui problemi di sovraccapacità e sugli squilibri commerciali. E potrebbe condurre negoziati per accordi commerciali di seconda o terza fase sulla base della prima.
Come ha scritto Wang Huyiao, presidente del think tank non governativo Center for China Globalization, Trump ha inoltre stretti legami con la comunità imprenditoriale, comprese molte aziende come Tesla, Blackstone e Apple. “Queste aziende hanno investimenti a lungo termine in Cina e questo potrebbe indurre un po’ di razionalità nella nuova amministrazione Trump, che potrebbe anche eliminare alcuni limiti sulle aziende di proprietà cinese, come TikTok, e le sanzioni sui singoli individui”, sostiene Wang. Una figura rilevante nel dialogo potrebbe essere Elon Musk, quasi presidente-ombra durante la campagna elettorale e apparentemente molto influente nel circolo di Trump. Musk ha enormi interessi in Cina e si è più volte espresso a favore delle rivendicazioni di Pechino su Taiwan. La sensazione è che possa fare da tramite tra il governo cinese e la presidenza Trump, elemento che preoccupa non poco Taipei. Anche Giappone e Corea del Sud hanno qualche timore. Tutti nella regione sanno che, soprattutto con Trump, le parole sono una cosa e i fatti un’altra. In questo caso, è un fattore positivo perché nonostante le ripetute minacce durante il suo primo mandato il tycoon non ha mai davvero spaccato il sistema di alleanze americano. Certo, il rinvigorimento ottenuto da Biden potrebbe essere a rischio sfilacciamento, con le più che probabili richieste di aumenti di spese della difesa e una retorica meno salda. Ci sono anche altri due aspetti importanti. Il desiderio di arrivare alla fine della guerra in Ucraina potrebbe spingere Trump a riaprire ufficialmente il dialogo con la Russia, togliendo molta della pressione presente in questi anni sulla Cina per i suoi rapporti con Mosca. Questo potrebbe rimuovere un ostacolo fondamentale alle relazioni tra Pechino e l’Europa, ma anche inserirsi in un contesto più ampio in cui la contrapposizione ideologica tra le due potenze potrebbe affievolirsi, dando uno spazio di manovra politico più flessibile.
Non si possono certo escludere turbolenze, visto che una delle caratteristiche di Trump è la parziale imprevedibilità. Sulla stessa Taiwan, potrebbero arrivare uscite retoriche forti e sostanziose vendite di armi. Ma sulla svolta americana Xi Jinping vede anche qualche possibile opportunità.
Donald Trump, dunque. Sarà di nuovo lui l’inquilino della Casa Bianca, a partire dal prossimo gennaio. L’Asia inizia a studiare le possibili conseguenze del ritorno del tycoon come presidente degli Stati Uniti dopo le elezioni vinte la scorsa settimana. Di certo, non ci sarà la continuità con Joe Biden che avrebbe invece garantito Kamala Harris. Ma è da capire il grado della potenziale discontinuità.
Nel frattempo, arriva un segnale molto rilevante sul fronte delle nomine. In un post sui social media, Trump ha fatto sapere che non inviterà l’ex ambasciatrice Nikki Haley, né l’ex segretario di Stato Mike Pompeo. “Ho molto apprezzato e gradito lavorare con loro in precedenza e vorrei ringraziarli per il loro servizio al nostro Paese”, ha aggiunto, dandogli di fatto il benservito. Si trattava di due nomi molto quotati. Pompeo sembrava il favorito per andare a dirigere il Pentagono in veste di segretario della Difesa. Un ruolo assai delicato e che secondo diversi analisti cinesi avrebbe potuto portare a un netto aumento delle tensioni tra le due potenze. Pompeo è infatti noto per le sue posizioni molto ostili nei confronti di Pechino e assai favorevoli nei confronti di Taiwan, così come Haley. L’ex segretario di Stato ha visitato due volte Taipei negli scorsi anni, chiedendo persino all’amministrazione Biden di riconoscere la sovranità della Repubblica di Cina, nome ufficiale con cui Taiwan è indipendente de facto. Anche Haley ha visitato più volte Taipei, attaccando a più riprese la Cina con una retorica molto colorita.