La Corea del Nord torna a testare nuovi missili alla vigilia della stagione elettorale in Giappone e in Corea del Sud. Preoccupati i vicini asiatici
Il dossier Corea del Nord torna sul tavolo di Washington, Pechino, Tokyo e ovviamente Seul. Lo fa all’improvviso, dopo che quasi i rispettivi Governi speravano che l’attesa recrudescenza post elezioni americane non avvenisse più. E invece Pyongyang ha atteso un momento particolarmente delicato per gli equilibri dell’Asia orientale per tornare a effettuare test balistici, a poche settimane dalla scelta del nuovo leader del Partito liberaldemocratico in Giappone (con a seguire in programma le elezioni generali) e a pochi mesi dalle cruciali elezioni presidenziali in Corea del Sud.
Il nuovo test balistico
Nella giornata di lunedì 13 settembre è stato infatti reso noto che, durante il fine settimana, il regime di Kim Jong-un ha testato un nuovo tipo di missile da crociera a lungo raggio, a pochi giorni di distanza dalla parata notturna con la quale si era celebrato il 73esimo anniversario della fondazione del Paese. Secondo quanto ha riportato l’agenzia di stampa di Stato della Corea del Nord, la Kcna, i missili hanno viaggiato per poco più di due ore, 7.580 secondi, sopra le acque territoriali, prima di colpire il bersaglio in mare aperto a una distanza di 1500 chilometri.
Il test è stato dunque condotto “con successo” e lo sviluppo dei missili rappresenta “un’arma strategica di grande importanza”, scrive il Rodong Sinmun, organo di stampa ufficiale del Comitato centrale del Partito del lavoro di Corea. Il test è avvenuto alla presenza di alti funzionari del Governo, tra i quali l’astro nascente Pak Jong-chon, ma Kim era assente. Si tratta del primo lancio dallo scorso marzo, quando erano stati testati due missili balistici. Ma in quel caso si trattava di armi a corto raggio, con una gittata molto più breve rispetto a quello lanciato in questa occasione.
Le motivazioni dietro il test
Secondo la maggior parte degli osservatori, si tratta di un segnale per provare a rilanciare il dialogo sul dossier nucleare, che è del tutto arenato dal summit di Hanoi del febbraio 2019 tra Kim e l’allora Presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Dopo quell’incontro infruttuoso, c’è stato solo quel fugace e molto fotografato estemporaneo incontro nella zona demilitarizzata del 30 giugno dello stesso anno. Poi più nulla, con l’amministrazione Biden che ha tardato ad approntare una strategia chiara sul dossier nordcoreano.
Allo stesso tempo, la provocazione potrebbe anche funzionare per riavviare le discussioni, che la Casa Bianca ha già fatto sapere di essere disposta a riprendere. Per ora, Pyongyang ha però sempre ufficialmente rifiutato, chiedendo come precondizione agli Stati Uniti di abbandonare le proprie politiche “ostili”, riferendosi alle sanzioni economiche che hanno colpito un Paese già affamato da una profonda crisi esito anche della pandemia da Covid-19 (anche se il regime continua a sostenere che il Paese ne sia sostanzialmente immune).
Al regime non piace neanche il rafforzamento dei rapporti difensivi operato dagli Stati Uniti con la Corea del Sud. Durante gli anni di Trump il rinnovo del trattato difensivo era sembrato in bilico, dopo il mancato accordo sulle spese militari. Ma subito dopo l’arrivo di Biden l’accordo è stato trovato e in territorio sudcoreano permangono ancora poco meno di trentamila truppe americane.
Le preoccupazioni dei vicini asiatici
Il segnale dato dal nuovo Presidente americano è stato forte per i partner asiatici. Il Primo Ministro (ora dimissionario) giapponese Yoshihide Suga e il Presidente sudcoreano Moon Jae-in sono stati tra i primi leader mondiali a ricevere una telefonata da Biden, e i primi in assoluto a essere ricevuti alla Casa Bianca. Sintomo del tentativo di rinnovare il dialogo trilaterale per porsi in maniera congiunta sul dossier nordcoreano.
Il lancio del missile ha causato inquietudine più che altro ai vicini asiatici, già intenti a cercare rassicurazioni dall’alleato americano dopo la vicenda afghana. Il portavoce del Governo giapponese Katsunobu Kato ha espresso “preoccupazione” e ha affermato che Tokyo sta lavorando insieme a Washington e Seul per monitorare la situazione. Sono intervenuti sulla questione anche i candidati alla guida del Partito liberaldemocratico. Il favorito Taro Kono ha affermato che “è giunto il momento di discutere su come rafforzare la deterrenza nel quadro dell’alleanza Giappone-Usa. Anche se si tratta di abbattere i missili”. Ancora più aggressiva Sanae Takaichi, considerata la candidata più nazionalista, che ha definito il lancio una “minaccia” per il territorio giapponese “che giustifica la corsa a chi riesce a disarmare per primo le basi nemiche”. Stessa preoccupazione anche per la Corea del Sud, che tra poco entrerà in piena campagna elettorale per il voto presidenziale di marzo 2022. Il fronte coreano è riaperto.
Nella giornata di lunedì 13 settembre è stato infatti reso noto che, durante il fine settimana, il regime di Kim Jong-un ha testato un nuovo tipo di missile da crociera a lungo raggio, a pochi giorni di distanza dalla parata notturna con la quale si era celebrato il 73esimo anniversario della fondazione del Paese. Secondo quanto ha riportato l’agenzia di stampa di Stato della Corea del Nord, la Kcna, i missili hanno viaggiato per poco più di due ore, 7.580 secondi, sopra le acque territoriali, prima di colpire il bersaglio in mare aperto a una distanza di 1500 chilometri.