Coronavirus, Cile: il silenzio di Santiago
Il coronavirus ha messo a tacere le proteste che da mesi scuotono il Cile. Ora c'è solo silenzio e disagio. Ce ne parla Federico Nastasi nel suo video-reportage
Nella quarantena ci siamo sopresi ad ascoltare il silenzio delle nostre città. Non è un silenzio di quiete, nasconde angoscia, voglia di uscire, tornare alla normalità.
A Santiago del Cile il silenzio ha preso il posto delle voci della protesta, il sottofondo urbano degli ultimi cinque mesi. Da ottobre, il popolo cileno protesta contro il modello sociale che regge il Paese dal ritorno della democrazia, contro il sistema di mercato dell’istruzione, della salute e delle pensioni. Non più abusos gridavano le voci nelle piazze. Abusos ha un significato più ampio della parola abusi in italiano: significa ingiustizia, scandalo, sopruso.
Le voci si concentravano nella plaza Italia, ribattezzata plaza de la dignità, dove volavano pietre, si respirava aspro l’odore dei lacrimogeni, suonava la musica di Victor Jara e Los Prisoneros, ci si scambiava sguardi di intesa tra una moltitudine di sconosciuti. In quella piazza ha perso entrambi gli occhi Gustavo Gatica, uno studente di psicologia di 21 anni, uno dei 350 feriti oculari degli spari dei carabinieri.
Quella piazza aveva ottenuto un risultato storico: un referendum per aprire il cammino a una nuova costituzione.
Questo era prima del coronavirus. Il referendum è stato rinviato, la piazza è vuota, silenziosa, nessuno può entrare. Quasi nessuno…
Qualche giorno fa, il Presidente Piñera si è fatto accompagnare da un corteo della sicurezza per farsi una foto nella piazza vuota. Un gesto incomprensibile per molti, una provocazione per tutti i cittadini comuni, i quali possono uscire di casa solo per andare a fare la spesa. Piñera, come molte volte in passato, ha dovuto fare marcia indietro e scusarsi.
Foto a parte, oggi è l’ora della verità per il Paese.
È un test per il sistema di salute, il quale finora regge, si fanno molti test e le morti sono limitate. Ma c’è un senso di disagio, il peggio deve ancora venire, dicono gli scienziati.
Intanto le leggi di mercato si applicano implacabili: il prezzo delle mascherine è aumentato fino a dieci volte, da 1 a 10 euro al pezzo. I test per il coronavirus erano arrivati fino a 170 euro, prima di un intervento del Governo per abbassarli a 27e, comunque tra i più cari della regione.
Alle sottovalutazioni del Governo e alla deregulation si è opposto il collegio medico, attraverso la sua Presidente Izkia Siches. Il giovane medico di discendenza Aymara, ex militante comunista, classe 1986, è una delle figure pubbliche forti nella crisi. Ha chiesto di socializzare la gestione della crisi e ha ottenuto la costituzione di una cabina di regia, ove insieme al Governo, siedono sindaci, accademici e personale sanitario. Ma il bersaglio grosso di Izkia, del suo discorso calmo ma autorevole, è cambiare il sistema sanitario. “Questa pandemia potrebbe essere una grande opportunità per implementare un sistema di sanità pubblica più robusto", ha paragonato la situazione attuale con la riforma del sistema sanitario del regno unito dopo la seconda guerra mondiale. "Questa potrebbe diventare la nostra guerra."
Nel silenzio della notte di Santiago, c’è chi non rispetta il coprifuoco: dalla precordigliera che abbraccia la città sono arrivati alcuni puma, passeggiando nelle strade vuote della metropoli in cerca di cibo. Insieme all’acqua azzurra dei canali di Venezia e i cieli limpidi, il puma in città è uno dei tanti schiaffi che la natura sta dando alla nostra modernità, troppo sicura di sé e del potere della ragione. Come a dire: siete ospiti, non proprietari del pianeta.