Coronavirus: in Brasile la vera emergenza è Bolsonaro. Per il Presidente populista si tratta di una semplice influenza e spinge per la ripresa delle attività economiche. Sindaci e governatori protestano
Coronavirus: in Brasile la vera emergenza è Bolsonaro. Per il Presidente populista si tratta di una semplice influenza e spinge per la ripresa delle attività economiche. Sindaci e governatori protestano
I casi di contagio da coronavirus in Brasile sono oggi oltre 3400, quando all’inizio della settimana erano quasi 1900: è la nazione più colpita dalla pandemia di Covid-19 di tutta l’America latina. Ma il suo Presidente – il populista di estrema destra Jair Bolsonaro – continua a minimizzare la crisi come nessun altro capo di Stato al mondo sta facendo. Non solo: è anche entrato in polemica con i governatori delle varie regioni del Paese, criticando le misure di quarantena e sostenendo che i dati relativi alle morti siano stati manipolati apposta per danneggiarlo.
Lo Stato di San Paolo è il più ricco e popoloso del Brasile (ha più abitanti di tutta l’Argentina), ma è anche quello più colpito dalla Covid-19, con oltre 1200 casi e circa 70 morti. Secondo Bolsonaro – che non ha però fornito prove – il numero delle vittime sarebbe “troppo grande”, e pertanto deve essere stato ritoccato al rialzo per “interessi politici”.
Il governatore di San Paolo, João Doria, considerato un potenziale rivale di Bolsonaro alle elezioni del 2022, ha criticato il Presidente per aver diffuso disinformazione sul virus. Non è tuttavia l’unico governatore a essersi lamentato con il Governo federale e ad aver richiesto più risorse per affrontare l’epidemia, in maniera simile a quanto sta succedendo negli Stati Uniti, diventati il Paese con più contagi al mondo.
Nella gestione della crisi Bolsonaro sta in effetti seguendo un approccio anti-scientifico e “trumpiano”. Proprio come il Presidente americano Donald Trump, cioè, vuole dare priorità al proseguimento delle attività economiche piuttosto che alle misure restrittive.
Lo sta facendo però in maniera molto più aggressiva: non soltanto continua a sostenere che la Covid-19 sia soltanto una “leggera influenza”, ma ha anche dichiarato che “alcune persone moriranno, è la vita” e che “non si può chiudere una fabbrica di auto a causa delle morti per incidente stradale”. Ha accusato i sindaci e i governatori che hanno imposto il lockdown di commettere “un crimine” e di “stare distruggendo il Brasile”.
L’amministrazione Bolsonaro ha anche lanciato una campagna sui social media per attaccare le misure di distanziamento sociale: il motto è “Il Brasile non si può fermare”. Alcuni governatori – quelli degli Stati di Mato Grosso, Rondonia e Santa Catarina – hanno seguito le parole del Presidente e riaperto gli spazi commerciali.
Secondo Bolsonaro, “sono più grandi il panico e l’isteria del virus stesso”. Ma potrebbe anche ricredersi e stravolgere completamente il suo messaggio, qualora la crisi dovesse farsi più grave e il suo indice di popolarità continuare a scendere. Negli Stati Uniti questa inversione si è già verificata e la popolarità di Trump è in risalita.
I casi di contagio da coronavirus in Brasile sono oggi oltre 3400, quando all’inizio della settimana erano quasi 1900: è la nazione più colpita dalla pandemia di Covid-19 di tutta l’America latina. Ma il suo Presidente – il populista di estrema destra Jair Bolsonaro – continua a minimizzare la crisi come nessun altro capo di Stato al mondo sta facendo. Non solo: è anche entrato in polemica con i governatori delle varie regioni del Paese, criticando le misure di quarantena e sostenendo che i dati relativi alle morti siano stati manipolati apposta per danneggiarlo.
Lo Stato di San Paolo è il più ricco e popoloso del Brasile (ha più abitanti di tutta l’Argentina), ma è anche quello più colpito dalla Covid-19, con oltre 1200 casi e circa 70 morti. Secondo Bolsonaro – che non ha però fornito prove – il numero delle vittime sarebbe “troppo grande”, e pertanto deve essere stato ritoccato al rialzo per “interessi politici”.
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