Con la gestione della pandemia si è riconsiderato il ruolo dei tecnici nella decisione politica, dopo un decennio di contrapposizione tra populismo e tecnocrazia
Con la gestione della pandemia si è riconsiderato il ruolo dei tecnici nella decisione politica, dopo un decennio di contrapposizione tra populismo e tecnocrazia
A metà dello scorso aprile, la Cancelliera tedesca Angela Merkel si era trovata ad affrontare i malumori dell’opinione pubblica per la sua gestione dell’emergenza Covid-19. Da poco meno di un mese erano in vigore in tutta la Germania misure restrittive quali il distanziamento sociale e il divieto di assembramento, sebbene i numeri su contagi e decessi nel Paese fossero lontani da quelli drammatici che si registravano in Italia e Spagna.
Nel difendere le scelte del suo Governo in una conferenza stampa, si era affidata alla fredda scienza piuttosto che ad accorati appelli all’obbedienza civile: il lockdown sarebbe stato rimosso solo gradualmente per ridurre il potenziale impatto che il dilagare del virus avrebbe avuto sul sistema sanitario nazionale sovraccaricandolo. E per far comprendere meglio il concetto, aveva menzionato per la prima volta in un’occasione pubblica quell’indice Rt che descrive il tasso di contagiosità, spiegandone la funzione con toni semplici ma non semplicistici.
Il discorso di aprile
Il successo dello ‘spiegone’ di Merkel è immediato e viene subito riportato dalle principali testate di tutto il mondo, diventando trending topic sui social media. Appare evidente come, costretta a pesanti privazioni delle libertà individuali, la popolazione senta il bisogno di comprendere i motivi dei sacrifici chiesti anche come compensazione dell’autorità schiacciante che ogni Governo esercita in situazioni emergenziali.
Il discorso di Merkel piace perché permette di capire. Quasi un mese dopo, l’assessore al welfare della Regione Lombardia, Giulio Gallera, si cimenterà nella stessa opera di divulgazione dell’indice Rt durante una diretta Facebook, con risultati meno esaltanti. Se la stampa aveva parlato di vera e propria gaffe, l’assessore aveva ribattuto dicendo che il suo errore non era nell’esposizione ma nell’eccesso di semplificazione.
Merkel è un fisico di formazione, con dottorato in chimica quantistica. Insomma, è adusa a un linguaggio tecnico-scientifico. Ma Gallera, avvocato e laureato in giurisprudenza, non è uno sprovveduto. Al di là del chiacchiericcio politico generatosi, il confronto tra i due mostra piuttosto la disabitudine della politica italiana a servirsi di concetti complessi, quando per anni si è creduto che a parlare complicato si perdessero voti.
Ed è proprio su questo aspetto che l’emergenza Covid ha rimescolato, seppur parzialmente, le carte. L’incompiuta rivoluzione populista era riuscita a spostare il baricentro nella gerarchia dei punti di forza elettorali: nella logica anti-casta dell’uno vale uno, l’integrità del candidato riluceva rispetto alle sue competenze, che se pure c’erano rappresentavano un di più.
La competenza nella gestione della crisi
Con la gestione della pandemia fa il suo ritorno tra le categorie del politico la competenza, mentre la cittadinanza torna a voler comprendere il complesso e a fidarsi di chi ritiene possa sbrogliare matasse intricate. Il diretto corollario di queste nuove esigenze ha portato alla riconsiderazione del ruolo tecnico nella decisione politica. In sostanza, se si devono prendere scelte delicate, per intenderci quelle da cui si fanno dipendere la vita o la morte di migliaia di persone, tali scelte devono essere il più possibile informate.
Ma il ritorno dei tecnici sulla scena politica dopo un decennio di contrapposizione tra populismo e tecnocrazia ha più il sapore di una riconciliazione che di un golpe. Malgrado una certa tentazione, non si sono registrati veri e proprio Governi tecnici o emergenziali nel mondo anzi, per certi versi, il potere tecnico è diventato instrumentum regni. Il parere degli esperti, pur preso fortemente in considerazione, non è stato concepito come vincolante. In Italia, ad esempio, ciò è apparso evidente con i verbali desecretati del Comitato tecnico-scientifico: sebbene gli esperti chiedessero un lockdown localizzato, la politica ha optato per chiudere l’intero territorio nazionale.
Quello che si è ripresentato è piuttosto un approccio settecentesco del potere tecnico come consigliere del Principe, quando il “gabinetto” regio era davvero composto da esperti senza affiliazione politica ed esprimeva il meglio dell’ingegno civile in svariati campi. Il potere tecnico suggeriva all’orecchio del monarca, a cui spettava però la decisione finale.
L’approccio dei tecnici
Nella gestione della pandemia, gli approcci all’inclusione del tecnico nel politico sono stati di due tipi. In un primo modello, meno battuto, gli istituti di epidemiologia e i virologi sono entrati direttamente nel decision making emergenziale e nelle pubbliche relazioni di Governo. È il caso della Germania, dove è stato il prestigioso istituto Robert Koch a dettare i tempi di ritorno alla normalità e a stilare de facto il piano epidemiologico nazionale. Similmente in Spagna, il vero volto pubblico delle decisioni governative è stato quello di Fernando Simón, epidemiologo dal 2012 a capo del centro di coordinamento emergenziale del ministero della salute spagnolo.
L’altro tipo, seguito anche dall’Italia, ha previsto la creazione di cluster ad hoc per gestire le varie problematiche poste in essere dalla pandemia. La creazione di gruppi di esperti presenta tuttavia profili critici sia in termini di accountability dell’organo tecnico per via del rapporto strettamente fiduciario con il governo, sia per il processo di nomina.
Come da tradizione, la Francia si è distinta per la proliferazione di gruppi di scopo. Un comitato di esperti con compiti simili a quello italiano e presieduto dall’immunologo Jean-François Delfraissy si è insediato l’11 marzo, pochi giorni prima della nascita di un comitato analitico guidato dalla virologa Françoise Barré-Sinoussi incaricato di dare consigli su approcci innovativi nella gestione dell’emergenza. Un terzo gruppo, che ha invece lavorato sulle modalità di uscita dal lockdown, è stato coordinato da Jean Castex, ex gollista ora macroniano dalla carriera anonima che, proprio per essersi guadagnato i galloni di Monsier Déconfinement, è stato scelto per guidare il governo francese dopo le dimissioni di Édouard Philippe in luglio.
Per chi ha fatto carriera politica con il credito maturato in comitati tecnici, c’è chi da tecnico ha subito il trattamento di esposizione mediatica riservato normalmente ai politici. Il caso di specie è quello di Neil Ferguson, epidemiologo dell’Imperial College di Londra i cui modelli venivano usati anche dal Governo francese e consigliere del ministro della salute britannico Matt Hancock. Per quanto apprezzato nel suo ruolo ‘tecnico’, è stato costretto a dimissioni ‘politiche’ per aver violato il lockdown, andando a trovare la propria compagna nella di lei abitazione.
L’incompetenza smascherata
Se dunque la competenza ha avuto la propria rivincita, mantenendo tuttavia un ruolo ancillare, a essere smascherata è stata soprattutto l’incompetenza di decisori politici incapaci di adottare per tempo misure necessarie o a prevenire l’aumento dei casi. In questo senso, hanno fatto scuola in negativo le irresponsabili dichiarazioni del Presidente americano Donald Trump sulle iniezioni di disinfettanti e candeggina o sull’utilizzo di raggi ultravioletti e luce solare come cura.
Nel giro di un mese, due ministri della salute, entrambi medici, hanno criticato la scelta del Presidente brasiliano Jair Bolsonaro di insistere sui rischiosi farmaci per la malaria idrossiclorochina e clorochina per il trattamento del virus. Il Primo Ministro è stato allontanato forzatamente da Bolsonaro, mentre il secondo si è dimesso in meno di un mese, venendo sostituito in qualità di ministro ad interim da un generale dell’esercito. Anche in Marocco, il conflitto tra potere politico e tecnico ha portato alle dimissioni di un tecnico, il direttore del dipartimento di epidemiologia del ministero, Mohamed El Youbi. I ritardi nell’adozione di misure di contenimento in Iran hanno anche portato critiche verso uno degli ultimi poteri teocratici, con le accuse da parte di attivisti nei confronti dell’ayatollah Ali Khamenei e del Presidente Rouhani di aver coperto la diffusione del contagio.
A Bruxelles, invece, il consiglio degli esperti è riuscito a piegare la volontà politica dei legislatori europei. A inizio marzo si era riscontrata una certa ostinazione del Parlamento europeo di voler continuare i lavori e la chiusura dell’emiciclo era stata seccamente esclusa, con la sola abolizione delle plenarie a Strasburgo. Ma affidandosi ai rapporti del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC), anche le mini-plenarie di aprile spostate a Bruxelles sono state annullate e si è gradualmente iniziato a concepire una presenza virtuale dei deputati con sessioni di ‘televoto’ da casa.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di settembre/ottobre di eastwest.
A metà dello scorso aprile, la Cancelliera tedesca Angela Merkel si era trovata ad affrontare i malumori dell’opinione pubblica per la sua gestione dell’emergenza Covid-19. Da poco meno di un mese erano in vigore in tutta la Germania misure restrittive quali il distanziamento sociale e il divieto di assembramento, sebbene i numeri su contagi e decessi nel Paese fossero lontani da quelli drammatici che si registravano in Italia e Spagna.
Nel difendere le scelte del suo Governo in una conferenza stampa, si era affidata alla fredda scienza piuttosto che ad accorati appelli all’obbedienza civile: il lockdown sarebbe stato rimosso solo gradualmente per ridurre il potenziale impatto che il dilagare del virus avrebbe avuto sul sistema sanitario nazionale sovraccaricandolo. E per far comprendere meglio il concetto, aveva menzionato per la prima volta in un’occasione pubblica quell’indice Rt che descrive il tasso di contagiosità, spiegandone la funzione con toni semplici ma non semplicistici.
Il discorso di aprile
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